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N.36 Dicembre 2022
Gli italiani non nascono più, «Ma non aspettiamo il 2050»
L'Istat ha registrato il nuovo record negativo di nascite per il nostro Paese (-30% dal 2008). E la popolazione inesorabilmente invecchia. Con lo studioso Alessandro Rosina indaghiamo le cause e le prevedibili conseguenze per la nostra società
Sui rami più alti degli alberi, seduti a cavalcioni, ci sono uomini armati di sega. Si affannano a tagliare il ramo su cui sono seduti, incitandosi a gran voce gli uni gli altri. Quando il lavoro arriva a termine e qualcuno precipita, gli altri si fermano un attimo, scuotono la testa e proseguono a segare.
Non è certo se la paternità della potente metafora sia del drammaturgo tedesco Bertold Brecht ma, senza dubbio, riassume efficacemente la sensazione che ci pervade al termine dell’incontro con Alessandro Rosina. Docente presso l’Università Cattolica di Milano, autore di molte pubblicazioni scientifiche e divulgative, pone al centro dei propri studi le trasformazioni demografiche e i mutamenti sociali. Insieme a lui cerchiamo di capire il motivo per il quale la demografia, scienza misconosciuta, sia di vitale importanza.
«I motivi sono sostanzialmente tre. Prima di tutto è portatrice, diversamente dall’economia e dalla politica, di uno sguardo di medio e lungo periodo. Studiando le grandi trasformazioni del passato, prospettando gli scenari futuri, la demografia aiuta ad alzare lo sguardo dal presente.
In secondo luogo è la scienza che fornisce maggiori informazioni rispetto al futuro, per esempio ci permette di conoscere quanti saranno in Italia gli over 65 nel 2050».
Quale sarà la situazione? «Nel passato gli over 65 erano meno del 5%, oggi arrivano al 22% mentre nel 2050 saranno un terzo della popolazione. La demografia ci mette sotto gli occhi questo processo. Non dobbiamo svegliarci nel 2050 chiedendoci come far fronte ad una situazione che sarà insostenibile».
«Il terzo motivo è la capacità di fornirci di chiavi di lettura del cambiamento».
A che dinamiche fa riferimento?
«Prima di tutto al rinnovo generazionale. Non mi riferisco esclusivamente al punto di vista quantitativo. I giovani sono fondamentali perché portatori di uno sguardo nuovo che consente al cambiamento di diventare miglioramento».
Eppure la nostra società fa sempre meno figli. È di pochi giorni fa il record storico negativo di nascite in Italia riferito dall’annuale report di Istat: nel 2021 le nascite della popolazione residente in Italia sono state 400.249, circa 4.500 in meno rispetto al 2020 (-1,1%). Dal 2008 le nascite sono diminuite di 176.410 unità (-30,6%).
«L’equilibrio tra generazioni, in una società con bassa mortalità, cioè dove un bambino che nasce ha ottime prospettive di vita, è di due figli per donna. Una soglia sotto cui l’Italia è scesa alla fine degli anni Settanta. A metà degli anni Ottanta eravamo sotto l’1,5; siamo poi giunti, agli inizi degli anni Novanta, a 1,3, uno dei livelli più bassi del mondo. Oggi siamo a 1,25 figli per donna».
Il trend storico è impietoso: «Se nel 1964 nascevano in Italia oltre 1.000.000 di bambini, oggi ne nascono meno della metà, potendo contare anche sull’immigrazione».
IL LIBRO
Politiche per un paese
che ha smesso di crescere
L’Italia è uno dei paesi al mondo in cui l’inverno demografico è più accentuato. Se gli attuali trend non verranno invertiti, inevitabilmente si andrà incontro a criticità irrimediabili. Quello che distingue il nostro dagli altri paesi avanzati con natalità più elevata non è un minor numero di figli desiderati, ma politiche meno efficienti a favore delle famiglie e delle nuove generazioni…
Come abbiamo fatto ad arrivare a valori così bassi?
«Il numero medio di figli per donna è inizialmente sceso perché, in un mondo diverso da quello agricolo, non è un comportamento semplicemente naturale avere figli, bensì una scelta deliberata. A chi nasce si vuole garantire una buona qualità di vita, si desidera investire sulla sua formazione. Quindi non solo una scelta, ma una scelta non scontata: è necessario essere messi nelle condizioni di poterla fare con successo».
E il trend della denatalità può essere invertito o, in qualche modo, arginato?
«Il figlio, dal punto di vista culturale, deve essere un valore condiviso su cui tutta la società investe, innanzitutto con politiche famigliari e misure di sostegno al reddito. Paesi come Francia e Svezia hanno investito su politiche di conciliazione come servizi per l’infanzia e congedi parentali. In Italia siamo molto indietro da questo punto di vista: le donne che lavorano rinunciano ai figli e quelle che hanno figli rinunciano al lavoro».
Esistono altri punti critici su cui intervenire?
«In Italia siamo carenti nelle politiche a favore dei giovani per quanto riguarda l’abitare ed il lavoro. Se i ragazzi non escono di casa, di conseguenza non fanno figli. Ricordiamoci che l’Italia ha record di numero di Neet in Europa. Questo implica una età tardiva per l’arrivo del primo figlio, in media a 31,5 anni, quando le coetanee francesi sono in attesa del secondogenito. L’Italia è anche il Paese dove è più alto il rischio di povertà per coloro che vanno oltre il secondo figlio».
Torniamo al futuro: come vede l’Italia nel 2050?
«Se le nascite continuano a ridursi, cadiamo nella cosiddetta trappola demografica: meno nati ieri, significa meno genitori oggi, e così di seguito. L’Ocse prefigura per il 2050 che l’Italia sarà a rischio 1:1. In pratica significa che una persona lavora per una che è in pensione, una situazione insostenibile. Più aspettiamo, più diventa difficile mettere in atto politiche che invertano la tendenza».
Il taglio del ramo non è ancora completo, ma il legno scricchiola paurosamente sotto le nostre gambe. Alessandro Rosina avvisa che non è ancora troppo tardi per aprire gli occhi e compiere scelte politiche che possano donare una speranza di futuro all’Italia. Ma il tempo, inesorabilmente, stringe.