luce
N.16 Dicembre 2020
Il metodo dell’appello che educa allo “scoprirsi”
Il protagonista dell'ultimo romanzo di Alessandro D'Avenia è Omero Romeo, insegnante cieco supplente in una classe "difficile"
Ogni nome è una porta d’accesso. È la soglia oltre la quale si spalancano vite, ambizioni, dolori, rassegnazioni, speranze. L’appello può diventare il modo con cui il groviglio e la vastità che ci portiamo dentro sono illuminate, vengono allo scoperto. Senza quella porta, però, niente entra e niente esce. «Per questo faccio l’insegnante», dice il protagonista del nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia, «per salvare un nome». Non i volti, non l’espressione degli occhi, ma il nome di ogni alunno conta, e il «timbro con cui lo si pronuncia».
Si parte da qui, nel libro di D’Avenia. Da un docente che per necessità, e interesse, vuole ascoltare innanzitutto. Supplente in una classe “difficile”, Omero Romeo è un non vedente da cinque anni. Ma è più quello che è cresciuto in lui, di ciò che è venuto meno. Una conoscenza di sé e del mondo: «Che cosa avrei visto se non fossi diventato cieco? Quello che vedono tutti. Invece vedo altro». Udito, tatto e olfatto sono i radar potentissimi di una esistenza che chiede il perché di tutto. E ogni scoperta ha un nome: «Sino a che non lo identifichi e non gli dai un nome, un fenomeno non esiste». Ecco perché a Omero l’appello a inizio lezione sta così a cuore. Si gioca tanto, forse tutto, proprio lì. In quella chiamata di sé.
Primo rimando: sbigottimento generale. Ai dieci ragazzi della sua classe, nervosi, tosti e feriti dalla vita, il nuovo prof di Scienze chiede qualcosa di inusuale: alzarsi, scandire il nome con voce chiara e raccontare che cosa lo definisce meglio, «come se doveste descrivere un minerale».
Sembra un gioco invece è il modo con cui ognuno mostra sé a se stesso, prima ancora che all’insegnante. Cesare, Oscar, Achille, Elena, Aurora e tutti gli altri raccontano brandelli del loro io. Prima a gocce, poi come torrenti di montagna. Settimana dopo settimana il metodo si impone, non per obbligo ma per fascino. Nel cammino che li porterà alla maturità, i ragazzi crescono. E con loro Omero: lo ammetterà lui stesso nelle pagine del diario che si intervallano alla narrazione.
E come accade in qualunque novità, alla maturazione di alcuni si affianca l’incomprensione di altri. Il resto dei docenti, il preside della scuola e persino qualche genitore rintuzzano e ostacolano un sistema che non ha nulla di tradizionale: dove sono le nozioni, le verifiche, i controlli, le competenze, le note e i voti? Il “contagio”, tuttavia, è inarrestabile. Il metodo dell’appello si propaga come un virus benefico in altri istituti. Prende piede, a poco a poco, una diversa prospettiva, un altro atteggiamento nella relazione maestro-allievo: «Per riuscire a insegnare devo concentrarmi sulla presenza dei ragazzi e non sulle mie aspettative – dirà Omero –; devo lasciare che siano loro a venire alla luce e non io a illuminarli».
Un buon romanzo che pesca dalla realtà, forse a tratti ridondante per i richiami al mondo classico da cui proviene l’autore, ma pregevole per gli spunti su cosa sia la relazione educativa: una trasmissione di sé, di un modo di vivere il mondo.
Il romanzo
A dieci anni da “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, Alessandro D’Avenia torna a raccontare la scuola come solo chi ci vive dentro può fare. E nella vicenda di Omero e dei suoi ragazzi distilla l’essenza del rapporto tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. E l’inizio di una rivoluzione? “L’Appello” è un romanzo che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi – dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all’allegoria politico-sociale e alla storia di formazione -, racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un’orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro.