bambini

N.21 Maggio 2021

EDITORIA

Parole, immagini (e voci) che fanno letteratura

Un editore "matto da rilegare" e una illustratrice raccontano come fa una storia a diventare... dei ragazzi

illustrazione di Margherita Allegri

La letteratura per bambini è una forma espressiva antica, che si rinnova a due velocità: da un lato funzionano sempre i grandi classici, perché i bambini sono in fondo sempre gli stessi; dall’altro servono continue novità, per tenere il passo dei tempi e interagire con altre forme e linguaggi: web e social media, televisione, cinema, radio, oltre che per catturare l’attenzione del bambino che è presente in ogni adulto e, soprattutto, in ciascun genitore.
Per capire cosa serva per produrre oggi buona letteratura per bambini ci siamo rivolti ai ragazzi di Matti da Rilegare, un progetto editoriale pensato da Vittorio Venturini, seconda generazione della storica legatoria cremonese Venturini, con oltre mezzo secolo di storia alle spalle. Il progetto è dedicato ai bambini di ogni età ed è votato al racconto di storie che vengono portate ai bambini con la parola, l’illustrazione, la musica, la danza e i laboratori creativi. «Matti da rilegare è un progetto con il quale “rileghiamo” assieme differenti modalità comunicative, per raccontare storie ai bambini” ci dice Vittorio Venturini. «Parole e immagini da cui nascono Albi illustrati, canzoni scritte ad hoc per ogni storia, il movimento del corpo attraverso interpretazione della musica, i laboratori creativi che nascono dal riutilizzo dei materiali di avanzo della Legatoria, sviluppando competenze manuali e creative che prendono spunto dall’esperienza Montessori».
Una delle voci di questo progetto è Margherita Allegri, illustratrice e cartoonist che ha collaborato a diverse realizzazioni. Con lei cerchiamo di capire quale sia la strada per creare delle buone storie per bambini, ma prima di tutto approfondiamo un aspetto fondamentale: conosciamo i bambini perché lo siamo stati o perché abbiamo dimenticato ciò che eravamo e da grandi lo riscopriamo (almeno in parte) attraverso i nostri figli, nipoti e conoscenti in giovane età?
Secondo “Marghe” Allegri non è corretto pensare che il nostro “essere bambini”, in un punto qualsiasi del passato, possa coincidere con l’essere un bambino oggi: «Nel tempo tutto cambia, è troppo lo stacco temporale tra la fanciullezza e l’età adulta e sono troppo diverse le opportunità e gli strumenti di lettura. Eppure ci sono ancora punti di contatto che personalmente trovo, con i miei figli e con i bambini che incontro nelle scuole, nel momento del gioco libero e del disegno libero. Il bambino rispolvera nell’adulto la capacità di sperimentare linguaggi. E l’adulto, su questo punto, rincorre, arranca, è sempre in affanno».

Quindi a parlare ai bambini è il bambino che c’è in ogni adulto o l’adulto che conosce bene il bambino che è in sé?
«Il tema della scuola e della genitorialità mi sono molto cari e sono spesso presenti nelle vignette e nelle strisce che disegno. Come il tema dell’adulto incapace di comunicare al bambino. Genitori e insegnanti si palleggiano responsabilità di una progressiva disaffezione alla lettura. Purtroppo molti docenti non conoscono il fermento della realtà editoriale destinata all’infanzia, propongono da anni i medesimi libri alle classi (unicamente nel periodo estivo) e fondano la lettura su un’idea coercitiva, che la priva irrimediabilmente di magia e di bellezza. Com’è possibile che la scuola deleghi alle sole famiglie questo tema così importante? Vien da sé che i figli di famiglie con meno risorse o meno attente alla crescita culturale dei loro ragazzi, si ritrovino in una situazione davvero penalizzante».

Nelle stanze di quella casa
le bolle di sapone
evocano avventure

Margherita Allegri racconta storie attraverso le immagini ed è per questo che le chiediamo quale sia la differenza tra il linguaggio visuale e le parole.
«Credo si debba fare una riflessione attenta sul valore e sull’uso delle immagini. Viviamo in una società che delega alle immagini un compito sempre più esteso nella comunicazione e quindi nell’istruire, nell’informare, nell’orientare, nel sollecitare comportamenti e desideri.
L’adulto spesso ignora questo passaggio e fa poco perché ci si appropri nel modo più adeguato dei sistemi di comunicazione per immagini, definendone tecniche e regole, come una qualsiasi altra disciplina. Mentre il linguaggio verbale viene incoraggiato e sviluppato in ogni modo, l’attività grafica è per lo più espressione spontanea con uso di tecniche diverse, nel segno e nel colore. Perché invece non parlare di quello che le immagini dicono e raccontano? L’immagine facilita l’emergere dell’emotività, mentre la parola costringe a ragionare e a operare distinzioni. L’immagine è diretta e arriva dritta al punto».
Ma se l’immagine arriva dritta al punto, non c’è il rischio che a pagare il prezzo siano la fantasia e l’immaginazione dei bambini?
«Chi di noi, adulti amanti della lettura, non ha un ricordo ancora nitido del libro preferito che tenevano fra le mani da bambini? Io ricordo le tavole della Stefy di Grazia Nidasio sul Corriere dei Piccoli? Ricordo l’angolo di casa dove le leggevo, ricordo le tavole che arricchivano i testi dei miei libri preferiti e tanti piccoli dettagli… che hanno 40 anni di vita. Non ho mai pensato, né allora né tantomeno adesso, che le immagini potessero limitare la mia fantasia. Il linguaggio delle immagini ha tempi diversi di lettura rispetto a quelli della parola scritta. In un fumetto la magia nasce nello spazio bianco tra una vignetta e l’altra. È in quello spazio che il lettore si appropria della storia, crea collegamenti tra una vignetta e l’altra e si identifica nel protagonista».
Stili grafici: tratto, forma, colore, stile… lo stesso contenuto può assumere infinite forme, ma quando decidiamo di pubblicare qualcosa dobbiamo sceglierne una: da dove si parte? Come si sceglie il “mood” e lo stile di una storia da raccontare in formato grafico?
«Il disegnatore si trova sempre in mezzo a due fuochi: da una parte lo stile che gli viene riconosciuto, che lo rende riconoscibile. Dall’altro l’esigenza di sperimentare. Il tutto in una forma grafica che convinca anche l’editore e che sia in linea con chi ha scritto i testi. Impresa non facile!».
Cos’è tutto questo per una realtà come Matti da Rilegare? Come passano i temi cari ai suoi animatori e la loro idea di società attraverso le pagine dei suoi libri?
«La mia esperienza con Matti da Rilegare è legata alla realizzazione di un fumetto senza parole (“Le mani fan cic ciac”). Una storia abbiamo giocato continuamente sul processo di identificazione nelle immagini. Da una parte, come detto sopra, non ci sono parole a operare distinzioni e a incanalare il racconto dentro binari prestabiliti. La storia può essere narrata con parole sempre diverse, può essere letta dall’adulto e dal bambino, in piena autonomia.
Le storie narrate parlano della quotidianità vissuta in una famiglia, dove può accadere che sia il padre a cucinare e la mamma a risolvere un guasto alla lavatrice. Nelle stanze di quella casa fantasia e realtà si rincorrono, le bolle di sapone evocano avventure, ma non sono solo i bambini a fantasticare tra gli schizzi. Anche gli adulti hanno la possibilità di andare “oltre”, grazie all’immaginazione. Una risorsa che non dovremmo mai dimenticare di avere… a qualsiasi età».

Oltre il supporto fisico: anche quando un contenuto nasce per la stampa e per la carta, occorre mettere in conto che oggi non può esistere nulla che non debba essere declinato su altri strumenti e altre tecnologie. Un libro non si vende da solo e per farlo occorre progettare sin dall’inizio una sua scalabilità su altri mezzi.

«Credo che questa sia la vera “chiave di lettura” per potersi avvicinare alla filosofia di Matti da Rilegare. Si parte dal libro cartaceo e lo si utilizza come strumento per cantare, guardare un video collegato al testo, giocare a reinventare il testo. La mia esperienza di lavoro con Vittorio però non è stata una fredda pianificazione. Lo chiamerei un gioco che abbiamo costruito un po’ per volta in diversi mesi: prima una canzone che ha ispirato delle immagini, poi le immagini che hanno preso una strada parallela e poi complementare a quella della canzone, poi l’idea di un’animazione, di un gioco da tavolo, di un poster a supporto degli insegnanti».