città

N.03 Settembre 2019

LIBRI

Il senso di Holt per la compassione

Kent Haruf canta la forza delle relazioni dentro una comunità che anche di fronte al dolore trova salvezza nel "patire insieme"

illustrazione di Francesco Matticchio

Il primo guadagno, nel lettore che si accosta a Kent Haruf, scrittore americano scomparso nel 2014, sta in un verbo: vedere. È ciò che, in fondo, la letteratura ha come suo primo scopo: mostrare, condurre gli occhi di chi legge davanti a quel che si muove nella storia. Come se fosse lì presente. Lo stile, in Haruf, è una sostanza potentissima, non un contorno. È l’anima gemella di trame semplici, ordinarie, e quindi reali.
Benedizione – il terzi capitolo (il primo tradotto e pubblicato in Italia) di una trilogia di successo – racconta le ultime settimane di vita di Dad Lewis, interrotte da alcuni flash back che ci riportano al suo passato macchiato da qualche inciampo. Proprietario del negozio di ferramenta della città in cui vive, Dad si rassegna a un declino fisico appesantito da alcuni rimorsi. Sono ombre ancora da dissolvere. Errori per cui chiedere perdono. Qui sta il nocciolo della storia: un destino che sta per compiersi, ancorato a un desiderio di misericordia.

«L’inizio e la fine
di tutte le nostre vite
sono ambientate
fianco a fianco»

KENT HARUF

Accanto a Dad c’è Mary, moglie solida e premurosa; la figlia Lorraine, che rientra dalla città in cui lavora per stare accanto al padre. E un manipolo di personaggi che, via via, Haruf presenta con descrizioni finissime e dialoghi essenziali.
La provincia americana fa da cornice al racconto. Holt è una cittadina silenziosa, un contesto di comunità fatto di relazioni sufficientemente strette, ma mai invadenti, sempre discrete anche se talvolta refrattarie alle novità. Un luogo immaginario, ma così reale da essere riproposto in tutte e tre le opere della trilogia, dove onnipresente è il tratto della compassione, che è più della generosità: è un patire insieme, uno starsi accanto pur nell’impotenza di fronte al dolore.
Tra le figure presentate, anche una bimba di otto anni, una sorta di contraltare alla morte imminente di Lewis. I ripetuti incontri tra i due sono la fotografia magistrale di una realtà che mette vita e morte insieme, in un fazzoletto di spazio, nel medesimo istante di tempo. Haruf lo spiega così, nella sua ultima intervista prima della scomparsa: «Spero che il lettore veda che la storia (in Benedizione, ndr) è un ritratto della vita così com’è. Che in una casa, un vecchio sta morendo senza risolvere tutti i suoi problemi, o essere in grado di porre fine ai suoi rimpianti. Ma nella casa accanto c’è questa bambina di otto anni che è la rappresentante della speranza e della promessa, della giovinezza e della gioia. E quindi quello che voglio che le persone sentano è che l’inizio e la fine di tutte le nostre vite sono ambientate fianco a fianco. Non sono distinti l’uno dall’altro. Sono uniti come vicini».
Leggere Benedizione è immergersi nelle relazioni umane più intime. È accostarsi a un’esistenza fatta di cose minute, dentro lacerazioni grandi, come malattia e morte. In questo ordito scorre il filo rosso della pietà, del farsi compagni di strada non per scelta, ma per condizione. Per una realtà accettata.