segni

N.51 Giugno/Luglio 2024

rubrica

Tra letteratura e cinema, qual è il segno dell’autore?

Quali sono i segni dell’autore (letterario) nel film? Come parla, come si manifesta? Il caso de "La vita agra" di Luciano Biancardi

Chi è l’autore di un film? Difficile individuarlo in una pluralità di figure che contribuiscono alla sua realizzazione, al punto che in alcuni studi si preferisce utilizzare come categoria descrittiva l’idea di una “funzione autore”, suggerita da Foucault, ossia un’istanza astratta che presiede alla realizzazione di testi complessi, o la cui circolazione prevede fonti autoriali diverse.

Su un piano storico, l’attribuzione della paternità di un film ha risentito di usi e tradizioni diverse. Al tempo del cinema muto, negli apparati pubblicitari la firma era spesso quella dell’autore del soggetto, secondo la formula «un film di Dante Alighieri», usata, per esempio, in occasione dell’Inferno della Milano Film (1911, con la regia di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan). Nelle epoche (o con riguardo a particolari figure) in cui la componente divistica ha avuto un ruolo cruciale, è invalso l’uso di attribuire la paternità di un film alla star: così si è andati a vedere un film di Marcello Mastroianni o Sophia Loren (oppure, oggi, si va a vedere un film di Johnny Depp). Gli stessi produttori dei film rivestono un’indubbia funzione autoriale: a loro viene consegnata la statuetta per il miglior film nella cerimonia degli Oscar.

Ma nella maggior parte dei casi, e soprattutto dopo che l’author theory (già ampiamente elaborata e diffusa in Francia) è stata portata oltreoceano dal critico Andrew Sarris, l’autore ha coinciso con il regista: la preposizione “di” ha identificato il responsabile delle operazioni di organizzazione, ripresa e assemblaggio del film. Quando si parla di un film di Federico Fellini o Alain Resnais e, oggi, di Quentin Tarantino, ci si riferisce a tratti stilistici riconoscibili, che danno luogo a precise aspettative nel pubblico. Certo, si tratta di generalizzazioni molto ampie, che andrebbero puntualizzate sulla base di una serie di casi precisi, ma rimando per approfondimenti ad alcune monografie sul tema[1].

È un caso particolare, quello a cui mi vorrei riferire. Quello in cui l’autore di un testo letterario che pre-esiste al film, si rende presente nel testo derivato. Quali sono i segni dell’autore (letterario) nel film? Come parla, come si manifesta?

Vorrei prendere come esempio un romanzo (se così si può definire) molto famoso, uscito nel 1962, di Luciano Bianciardi, dal titolo La vita agra: una storia quasi autobiografica, ad opera di uno scrittore non omologato, della sua partenza dalla provincia (anche in seguito alla tragedia della miniera di Ribolla, dove erano morti 43 minatori) per la città di Milano e del suo faticoso inserimento in una realtà spersonalizzante negli anni del boom economico. Il romanzo ha un successo strepitoso, al punto che la televisione dedica un servizio (Dove la vita è agra) nel corso della trasmissione Arti e scienze il 20 novembre 1962, con la presenza dello stesso Bianciardi.

L’anno seguente, una volta acquistati i diritti del romanzo, viene messo in cantiere un film con la regia di Calo Lizzani, interpretato da Ugo Tognazzi nei panni del protagonista. È evidente, nel film, la necessità di tradurre su un piano visivo e in forma narrativa quello che nel romanzo può essere anche accantonato, alluso, accennato, ecc. 

A differenza di altri letterati, molto gelosi della propria creatura, e che intervengono con pubbliche polemiche, Bianciardi accetta il gioco, e sostiene che nel passaggio dal romanzo al film il “testo” diventi materiale in mano ad altri, che lo possono rielaborare con libertà.

Luciano Bianciardi – Luciano sul set de La vita agra – 1964 (LINK)

E così il film La vita agra film diventa un’opera con molti apporti. Vi si respira un’aria milanese, di quella Milano vivace e in movimento tra gli anni Cinquanta e Sessanta. È la Milano di Carlo Lizzani, dei tempi de Lo svitato (1956, con Dario Fo), ma anche di Ugo Tognazzi, che ha vissuto nella capitale lombarda dal dopoguerra; è però la Milano delle latterie, dei bar, di cantanti come Enzo Jannacci, che non a caso è presente nel film, di pittori, teatranti, pubblicitari… Sembra assente solo Bianciardi, relegato nel fuori campo. Ma lo scrittore compare, in verità, in un cameo, nella scena in cui Tognazzi, con i suoi amici, va a cercare gli operari, i pendolari che si riversano nella città dei quali vuole farsi interprete e cantore. Ma le risposte degli operai … sono di tutt’altro tipo.

Certo, la presenza “fisica” nel film dello scrittore è un segno evidente di quell’autorialità che fa da matrice al nuovo testo. Ma è un’autorialità ormai compartita con altri. E, soprattutto, si tratta di un caso abbastanza raro.

Non c’è altra via, per leggere i “segni” della presenza dello scrittore nel film, che quella di una lettura attenta del romanzo (anzi dei romanzi, perché anche i due testi che precedono La vita agra fanno da incubatori per il film, Il lavoro culturale, 1957 e L’integrazione, 1960) seguita dalla visione del testo audiovisivo. E, si badi, non per trovare corrispondenze “esatte” (perché la replica è sempre un atto imitativo, non autoriale), ma per sentire risuonare la voce di Bianciardi anche nella scelta dei toni, delle inquadrature, nei gesti, insomma nell’universo audiovisivo del film. E per capire, soprattutto, che non si tratta di una voce stentorea, predominante, singola, urlata. Quella di Bianciardi è una voce che si unisce a un coro di altri apporti (Lizzani, Tognazzi, Jannacci …) e forma un coro di apporti multipli, interagenti, ben amalgamati.


[1] G. Pescatore, L’ombra dell’autore. Teoria e storia dell’autore cinematografico, Roma, Carocci, 2006; C. Gautier e D. Vezyroglou (a cura di), L’auteur de cinéma. Histoire, généalogie, archéologie, Paris, Association Française de Recherche sur l’Histoire du Cinéma, 2013; L. Gandini, La regia cinematografica. Storia e profili critici, Roma, Carocci, 1998.