città

N.03 Settembre 2019

ISLANDA

La mia città vista da quassù

Un giovane ricercatore cremonese nato il 13 novembre ha riscoperto dall'Islanda la città in cui è nato «La storia, la musica, il caffé... e persino l'arte di lamentarsi»

Ho lasciato Cremona cinque anni fa, ma in un certo senso non me ne sono mai andato per davvero. Ho avuto la mia buona dose di problemi con la mia città, che vanno da quella che percepivo come una certa chiusura mentale, agli insegnanti a scuola che non mi capivano, fino alla vicina di casa che faceva la pattuglia al balcone per controllare se avessi posteggiato la mia bicicletta sotto al portico del condominio, contro quanto previsto dal regolamento. Ho anche creduto, per un periodo, di essermi lasciato Cremona completamente alle spalle.
Poi ho iniziato a guardarmi meglio intorno; gli islandesi, gli americani, i britannici, gli scandinavi. È stato imparando a conoscere loro che ho capito tante cose di me stesso. E quanto fossi, profondamente e fondamentalmente, cremonese.
Sono nato il 13 Novembre, e già questo basterebbe. Ero sempre a casa da scuola per il mio compleanno, e sono cresciuto sentendomi dire da mio padre che non aveva la borsa di S. Omobono. Tutti i miei vecchi compagni di classe possono (o almeno potevano) esibire un’expertise sulla liuteria che uno riesce a immaginarsi solo in qualche salotto elegante, in qualche cerchia specializzata…o a Cremona. Con la scuola, fin dalle elementari, ho visitato siti archeologici e palazzi antichi… Diamine, lo stesso liceo in cui studiavo era sito in un palazzo più vecchio di qualsiasi edificio sopravvissuto qui in Islanda!
In effetti è stato più o meno così che ho imparato ad apprezzare Cremona: attraverso gli occhi della mia fidanzata islandese, per la quale tutto ciò che per me era quotidiana banalità sembrava meraviglia.

Ho imparato ad apprezzare Cremona
attraverso gli occhi 
della mia fidanzata islandese
Ciò che per me era scontato
per lei diventava meraviglia

Quando si vive in un luogo per lungo tempo, si incominciano a dare troppe cose per scontate: il poter andare con la classe a visitare una bottega liutaia, un museo civico con tesori come l’ortolano dell’Arcimboldo, o gli affreschi di Boccaccino, Bembo e Melone in cattedrale, fare colazione in un bar come Ebbli, con gli interni che fanno invidia al Gran caffè Quadri, ma con prezzi accessibili a tutti…
Ora vivo in Islanda, in una città il cui palazzo comunale è una scatola di cemento armato con qualche inserto in vetro o acciaio. E la mia ragazza vuole sempre andare da Ebbli ogni volta che veniamo a Cremona.
Purtroppo ho constatato che quando i bambini non sono cresciuti circondati da tutta questa bellezza poi quando crescono pensano che essa sia appannaggio di altri gruppi sociali, che non sia un patrimonio collettivo, degno di essere goduto e tutelato. Nella mia classe c’erano la nipote del sindaco, la figlia del dirigente della latteria Soresina, ma anche i figli degli operai calabresi, il ragazzino albanese, il rumeno… e tutti siamo stati messi a parte di questo tesoro immenso che è la storia della nostra città, che è sempre stata partecipe delle dinamiche culturali europee, fuggendo al provincialismo che spesso le viene attribuito nelle incessanti lamentele dei cittadini.

…poi ho conosciuto persone
che non sanno
nemmeno andarci,
in bicicletta!

In effetti ne avevo avuto abbastanza anche del continuo lamentarsi dei miei concittadini: metteva di cattivo umore, sfiancava. Poi mi sono reso conto che anche quell’instancabile lamentarsi per questioni apparentemente inconsistenti, in realtà ha una sua valida funzione di propulsione per il progresso sociale. Gli islandesi tendono a crescere in un ambiente dove vige il dogma della loro superiorità, cosa che viene sfortunatamente rinforzata dai media internazionali, interessati a fare pubblicità ai tour operator, o a capitalizzare sull’insoddisfazione di chi sogna che esista da qualche parte nel mondo un’isola felice. Il risultato è che nessuno si lamenta, o almeno non per questioni che conterebbero davvero, perché per quanto cattiva la situazione possa essere, si dà per scontato che comunque altrove debba essere per forza peggio. L’esatto opposto di quanto accade in Italia, dove per quanto possiamo essere all’avanguardia su determinate questioni, all’estero devono per forza essere più bravi di noi. Ma non è così, e ho dovuto trasferirmi all’estero per capirlo davvero.
Ma non è soltanto un forziere di tesori culturali; Cremona è anche una città inclusiva, e questa è un’altra questione che ho imparato a non dare per scontata. Ho conosciuto persone di altre nazionalità che provano imbarazzo o difficoltà di fronte a certe disabilità. Non sanno come comportarsi, si sentono a disagio. In altri Paesi i bambini con difficoltà fisiche e mentali vengono messi in scuole speciali, cosa che rende il lavoro molto più semplice agli insegnati, ma che finisce inevitabilmente per creare preoccupanti casi di ghettizzazione sociale. Cremona è la città del Baskin, lo sport per tutti, che ho praticato per un anno in seconda media alla scuola Virgilio.

Roberto Luigi Pagani è nato a Cremona e vive a Reykjavík dal 2014. Nella capitale islandese si occupa di ricerca in linguistica e paleografia islandese. Cura il blog “Un italiano in Islanda” Per un viaggio visivo non perdetevi il suo profilo instagram, una raccolta di scatti suggestivi tra la città del Torrazzo e la terra del ghiaccio

Eravamo cresciuti a pane e serie TV americane, ragion per cui ci sembrava che le nostre vite fossero particolarmente poco interessanti se raffrontate a quelle dei nostri beniamini televisivi. Il meglio che avevamo era girare in bici per le campagne, leggere libri complicati per farne poi discorsi pretenziosi e, infine, innamorarci sull’erba vicino al fiume Po. Poi ho conosciuto persone che non sanno nemmeno andarci, in bicicletta! Io non ricordo nemmeno quando avevo iniziato ad andarci. Per quello che ne so, sono nato in sella. Un cremonese non può dirsi tale se non ha o non usa una bicicletta.
Se me lo avessero detto anni fa non ci avrei creduto, ma Cremona è degna di essere visitata anche da chi non è cresciuto sotto l’ombra imponente del Torrazzo: l’anno scorso ho consigliato di visitarla quasi per scherzo a una professoressa Americana che si occupa di agiografie, adducendo come scusa la tradizione di S. Omobono, le reliquie del duomo e le numerose chiese. Non credevo mi avrebbe ascoltato, ma lo ha fatto, ed è tornata estasiata.
Cremona poi mi è rimasta dentro in tanti altri modi. Quelle rare volte in cui sale la nebbia qui in Islanda, sono sempre l’unico a non agitarsi. Quando arriva l’estate mi concedo ancora almeno una volta la torta fritta, e quando torno in Islanda dalle vacanze di Natale non manco mai di portare nell’istituto per gli studi islandesi qui in università una bella scorta di torroncini, friabili e morbidi.
Dopo questi anni passati in Islanda, in mezzo al ghiaccio, ai boschi di betulle e alle aurore boreali, ho fatto pace con la mia vecchia città. Ho capito che davvero tanto di quello che sono lo devo a lei e alle tante menti e braccia che l’hanno resa ciò che è.
Così, anche dopo anni spesi parlando islandese, inglese, e un italiano neutro per l’insegnamento agli stranieri, ho comunque insegnato alla mia fidanzata a chiamare l’autobus “radiale”, parola che ogni tanto le esce anche quando sta parlando in islandese.