radici

N.29 Marzo 2022

INCONTRI

Un libro di fiabe, una chitarra e la guerra: «La mia Ucraina è radice e futuro»

Vlad è nato a Mariupol e oggi vive con la famiglia adottiva a Cremona. Ha donato la sua chitarra a una giovane profuga che ha dovuto interrompere i suoi studi al conservatorio di Leopoli: «Non credo che questi piccoli gesti possano far cessare la guerra. Penso, però, che possano salvare dal dolore»

Vlad Guercilena

«Il vento non ci aiuta». Vlad Guercilena cerca di appendere la bandiera della pace al balcone di casa. Anche controvento. La pace è un messaggio forte. Una parola, un’intenzione, un sentimento, che risponde alle esplosioni e alle armi con il bene. Con la mano di un giovane ventenne che annoda la speranza al balcone di casa. «La guerra è una scelta d’altri, ma i sentimenti e la forza dei piccoli gesti possono partire da noi. Ogni singolo giorno».
Il nome, Vlad, dice qualcosa delle sue origini: «Sono nato in Ucraina: l’Ucraina è parte di me. Una di quelle che non dimenticherò, che cercherò di riavere». Tra le mani stringe l’unico libro in lingua che ha conservato: «È una raccolta di storie per bambini. Non so più cosa c’è scritto: non ricordo più la lingua del mio paese. Ora, però, mi sono ripromesso di ristudiarla. Perché le radici raccontano chi siamo: sono alla base della vita».

La sua, di vita, è iniziata a Mariupol, nell’Ucraina sud orientale, oggi teatro di una guerra «senza senso». «Con la mamma vivevo in una casa di 17 metri quadri. Ero povero, ma non lo sapevo. Le mie giornate non erano organizzate: giocavo, uscivo, passeggiavo. Quando c’era da mangiare, mangiavo. Avevo i nonni e chi mi voleva bene. O almeno così credevo. Nella vita non serve altro, oltre all’amore, per andare avanti. Quando la mamma è morta mi hanno portato in orfanotrofio. E lì ho capito di essere solo. Per del tempo ho aspettato auguri che non sono mai arrivati, messaggi d’amore e vicinanza. La verità si è rivelata in tutta la sua crudezza: la mia famiglia d’origine non mi voleva più». L’arrivo di nuovi genitori è stato graduale: «Uscivo con loro per fare conoscenza, ma non mi avevano ancora spiegato il perché. Ora, a 20 anni, posso dire di avere due famiglie: una in Ucraina e una in Italia, che mi ha dato l’opportunità di ripartire, donandomi tutto. Mi sento ricco perché so che la famiglia non è un luogo: sta nel cuore, sta dove ci si ama, dove si ha il coraggio di fidarsi anche dopo una vita di stenti. Di andare controcorrente, con la forza di due genitori che si sono trovati ad accudire uno sconosciuto».

Sta anche lontano. «Sta anche in Ucraina. Perché le radici sono più forti dei conflitti. Dei silenzi lunghi anni». Della guerra. «Sono legato a quella terra. Sono felice per l’opportunità che mi è stata data in Italia, ma il mio destino è là. Il mio passato non è passato. L’Ucraina è casa mia. E mi sento in dovere di aiutarla. Di fare qualcosa in un momento così complicato. Mi ero ripromesso di tornare per rivedere quei luoghi. Ora non lo potrò più fare perché là c’è solo devastazione, morte e terrore. Allora devo poter fare qualcosa oggi». Il desiderio di aiutare batte forte. Come un cuore pieno di vita, che risponde al silenzio della morte. «Con i miei genitori ci siamo attivati per mettere a disposizione la casa della nonna, ora vuota, a due nuclei familiari provenienti dall’Ucraina. E poi io ho donato una chitarra ad una ragazza che è scappata e là ha lasciato la sua passione per la musica». Studiava al conservatorio, è arrivata in Italia senza strumenti: «Ho pensato di aiutarla di nuovo a suonare».
Una chitarra, le corde e due plettri usati. «Quando mi ha visto si è messa a piangere: era felice fino alle stelle. Ed io con lei perché non mi piace vedere sui volti degli altri la sofferenza che ho patito io. Il mio passato può servire per cambiare il futuro agli altri». Per seminare gioia, tra le radici della sofferenza.
«Non credo che questi piccoli gesti possano far cessare la guerra: è una cosa troppo grande, una scelta che non dipende da noi. Penso, però, che possano salvare dal dolore. E questo mi basta».