acqua
N.09 Marzo 2020
Una Boston inaffondabile sulle rotte dei siluri
Vitaliano Daolio ci accompagna nel mondo della pesca professionale dove la passione sportiva si nutre di rispetto per la natura e chiama per nome ogni forma di vita
A Vitaliano Daolio non piace l’etichetta di sceriffo del Po. Anche se è un vestito che sembra gli sia stato cucito addosso dal miglior sarto, da sempre.
Di vite ne ha vissute parecchie. Sempre intensamente. Dopo aver corso tra cucina e sala nel ristorante di famiglia, per quindici anni si è speso come tecnico di produzione di piante tropicali in alcune cooperative sociali per portatori di handicap, in una comunità per il recupero di ex tossicodipendenti e in una coop sociale per il reinserimento di ex carcerati. L’amore per la natura, il richiamo del grande fiume ben presto sono tornati a bussare alla porta di uomo che non ha mai atteso che passasse la tempesta, ma ha sempre imparato a ballare sotto la pioggia.
Il sole tiepido di febbraio, in un venerdì come tanti nella bassa, riscalda un angolo di paradiso nel quale sorge, da quasi tre secoli, Cascina Ronchetto. Dove Vitaliano – reggiano trapiantato sulla sponda cremonese del fiume Po nel Comune di Motta Baluffi – ha costruito il suo pesca-turismo, il Po Fishing Center, e gestisce, insieme alla moglie Roberta, l’Acquario del Po. Siamo al confine della riserva naturale “Lanca di Giarole”, a duecento metri dal fiume ed a settecento dal porticciolo turistico.
Qui ogni animale ha un nome proprio: le oche si chiamano Pepe e Rina, le anatre Qui, Quo, Qua. Le sorelle nerine sono galline ovaiole, ma anche di compagnia. Puntano il dito mostra un’ansa dove al tramonto riposano un centinaio di gru: «Lo scorso anno, in questo periodo, erano già migrate in Africa. Il fiume offre agli animali la possibilità di vivere. Vi sono caprioli e cinghiali. I lupi li ho visti due volte».
La biodiversità di questo angolo dove terra e acqua sembra vivano, ogni giorno, una storia d’amore, è stupefacente. Nell’Acquario trovano casa, sicura, una settantina di vasche che riproducono gli ambienti acquatici del grande fiume ed ospitano un campionario completo di tutte le specie ittiche, autoctone ed alloctone, presenti nella Pianura Padana. Senza troppi giri di parole: è un gioiello da visitare una volta nella vita.
Vitaliano, 64 anni, custode di una storia ancestrale, è soprattutto un pescatore professionista. Ha capito lo sarebbe stato nel 1988 quando estrasse dall’acqua il primo siluro, lungo appena 40 centimetri, affascinato dalle leggende metropolitane che si raccontano ancora oggi ed entusiasta delle tecniche di pesca che questo pesce comportava e comporta: «Organizzo battute di pesca sportiva ricreativa in modalità catch and release. La mia barca è un Boston inaffondabile. Si chiama Carolina Skiff. Donne pescatrici poche, ma tutte molto accanite. Da me vengono pescatori da Milano, Torino, Firenze. Poco o nulla da chi abita vicino al fiume. Negli anni è cambiato il rapporto genitore figlio. Io andavo a pescare con mio nonno. Oggi il bambino sbircia su internet le catture di queste specie ed è lui a coinvolgere il padre». Racconta anche questo nel suo romanzo, La barca sul Po, dove è proprio il bambino a prendere per mano l’adulto e lo aiuta a ritrovare le proprie radici.
Ho sempre nutrito un sentimento misto di paura e diffidenza verso il fiume Po. Ci sono persone che si sono spese tutta la vita per tenerne vivo il ricordo, i valori, il fascino, ma anche, semplicemente, la conoscenza. Solo oggi lo comprendo. Ed il grande fiume lo vivo come qualcosa che mi è sempre appartenuto: «Ogni anno, diminuisce il numero di siluri ed aumenta la taglia. Nel 2000 il big fish, il pesce della vita per un pescatore, misurava un metro e novanta. Oggi si arriva anche a due metri e sessanta. Da qualche anno si può anche uscire e fare cappotto. In gergo significa non pescare nulla. Rispetto agli anni novanta i siluri sono calati di oltre il 60%».
I motivi sono diversi: «Abbiamo assistito ad una grande attività di bracconaggio, di gente proveniente dall’Europa dell’Est, soprattutto da quando sono stati cacciati dal delta del Danubio, diventato patrimonio dell’Unesco e riserva naturale. In un fiume dove non esiste polizia fluviale, da Cremona al mare il campo è libero tanti banditi senza uno sceriffo. L’altro guaio è la diminuzione della fertilità. I pesci sono diventati transgenici e l’inquinamento ha fatto la sua parte. Demonizzare questo predatore è restrittivo: seleziona la specie ed è indispensabile nella catena alimentare».
Chi è pescatore da bambino, lo è per sempre. È un po’ come andare in bicicletta: «La paura però esiste ed è intrinseca nell’uomo. Serve per difendersi. L’ho provata tante volte nelle immersioni subacquee. Ho perso anche due amici in mare. Quando è nato il primo pesca-turismo, a Borgoforte, dopo pochi mesi ho dovuto affrontare l’alluvione del secolo. Avevo un piccolo patrimonio da salvaguardare: tre house boat e cinque imbarcazioni. Ogni giorno sistemavo gli ormeggi. Nel momento più tragico, un amico voleva accompagnarmi, gli dissi di no. Con la mia prima barca, una Kezzi, centenaria, in larice, venni risucchiato in un vortice infinito. Il fiume urlava. Se solo il motore si fosse spento, non so cosa sarebbe potuto accadere. Ancora oggi, quando ne riparlo, mi viene la pelle d’oca».
Ma la barca ed il fiume sono anche vita. Nel 2018, Vitaliano e Roberta, hanno celebrato il proprio matrimonio, dopo la cerimonia ufficiale in Municipio, a bordo di una house boat attraccata al piccolo molo di Motta Baluffi: «La barca è il prolungamento del pescatore. È un microcosmo dove puoi vivere meravigliosi silenzi o costruire grandissime amicizie. Il fiume, poi, parla. Quando c’è una piena, comincia a schiumare. Non è inquinamento, è il caolino, un minerale, galleggiante, presente nella sabbia. Quando sparisce, il fiume sta calando. L’acqua ha i propri colori: pane cotto nella piena, verde azzurro in magra. Ne senti anche il profumo quando ti sfreghi le mani. Non è come descrivere un vino. Quando è pulita, mi ricorda l’infanzia: io dico, profuma di buono».
Dal pontone galleggiante di Lanca Ronchetto, lancia la canna da pesca. Il rumore del mulinello e del nylon rompono un silenzio bellissimo da ascoltare. Lo scrittore triestino Paolo Rumiz racconta in un passaggio del libro “Morimondo” l’incontro con questa “guida fluviale dai capelli selvaggi grigi, che pescava siluri con gli stranieri, ma solo per la foto, perché poi li mollava nella corrente”: «Anche il mondo della pesca si è accorto che il pesce, in acqua, ha un valore economico altissimo – mi confessa Daolio – maggiore rispetto ad un pesce sul banco di una pescheria. Muove una filiera, di cui fanno parte, aziende, negozi ed anche i pescatori come me che si muovono in queste terre straordinarie».