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N.52 Settembre 2024

rubrica

Dall’idea al restauro: le molte tappe nella vita di un film

Anche un film, alla stregua di tutti i processi biologici, e come gli stadi del ciclo di vita, presenta delle fasi, dalla produzione fino alla decomposizione dei supporti che interroga sull'impegno alla "messa in salvo" di un'arte fragile

Nella sontuosa cornice dell’ottantunesima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha fatto scalpore la vittoria del premio per il miglior restauro cinematografico di Ecce bombo, un film di Nanni Moretti del 1978 – dunque di “soli” 46 anni – rimesso a nuovo dall’équipe del Centro Sperimentale di Cinematografia guidata da Sergio Bruno, che ha trionfato su altri celebri e più datati titoli come Il grande caldo (di Fritz Lang, 1953) oppure Sangue e arena (di Rouben Mamoulian, 1941). Si tratta di premio che ha in parte contribuito a bilanciare il peso di un’altra (e questa volta cattiva) notizia che ha occupato le cronache, ossia l’incendio avvenuto l’8 giugno in uno dei cellari dell’ente romano, deposito di tutti i film nazionali, che ha distrutto circa 220 pellicole in gran parte degli anni Cinquanta conservate su supporto di nitrato di cellulosa, una sostanza altamente infiammabile.

Di là dalla cronaca – che merita opportuni approfondimenti soprattutto sulle politiche di conservazione delle pellicole, e sulla necessità assicurare alle cineteche spazi idonei – il tratto che lega i due episodi è l’estrema precarietà dei film, soprattutto se riferita alla loro dimensione materiale, quella della pellicola, il supporto sul quale sono stati “impressi” fino all’epoca del digitale. Il mito della eterna riproducibilità delle forme mediali, della loro permanenza in una forma stabile e della loro possibile ripetizione a oltranza, sul quale si era interrogato Walter Benjamin nel suo celebre saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), se indagato da vicino e in relazione alla componente materiale del supporto è assai fragile. Un film in pellicola, un’incisione su nastro, un negativo fotografico sono soggetti a una deperibilità molto maggiore di quella che ci aspetteremmo guardando o ascoltando le loro copie riprodotte in televisione o su un laptop. 

Per di più, come osservano gli studiosi di restauro cinematografico, a differenza di altri beni culturali di pregio, come un quadro o una scultura, i film impongono una forma particolare di preservazione che richiede di intervenire non sulla copia superstite, quanto di creare un nuovo oggetto, una sorta di duplicato che presenti caratteristiche il più possibile simili all’originale.

Ciò perché anche un film, alla stregua di tutti i processi biologici, e come gli stadi del ciclo di vita, presenta delle fasi, tappe di un percorso ascendente e discendente. Le fasi più note sono quelle relative alla realizzazione dell’opera: dallo sviluppo e pre-produzione (scelta del soggetto, trattamento, sceneggiatura) alla realizzazione vera e propria (riprese) fino alla post-produzione con il montaggio, l’aggiunta della colonna sonora, il missaggio e la stampa.

Ed è a questo punto, con la stampa del positivo e della copia per le sale, che il film raggiunge la sua piena maturità e dà inizio alle tappe di decadimento. Quella del declino è una progressione relativamente rapida per la pellicola sia per i supporti più infiammabili come il nitrato, che può dare luogo anche a fenomeni di autocombustione, sia per quelli cosiddetti safety, introdotti dopo gli anni Cinquanta, come il triacetato di cellulosa o più di recente il poliestere. Strappi, rotture delle perforazioni, giunte tra pezzi diversi di pellicola sono solo piccoli danni a cui si aggiungono funghi, muffe, colonie di batteri, o veri e propri processi di decomposizione, che portano a esiti talvolta irreversibili.

FOTO: Giunta di pellicola decomposta (https://www.anai.org/)

Anche i formati digitali che hanno sostituito la pellicola in sala cinematografica, e che consentono di disporre dei film via streaming o su supporti domestici non sono privi di rischi: i supporti si possono rovinare, cancellare, smarrire, o essere sostituiti da nuove tecnologie che li rendono obsoleti e non più accessibili. Per questo gli esperti stimano, in modo quasi paradossale, che la pellicola sia più duratura del digitale, e le major americane si sono affrettate a mettere al sicuro i grandi blockbuster ristampandone delle copie in pellicola, per garantire loro una sopravvivenza di oltre cinquecento anni.

Che fare, allora, di fronte alle inarrestabili (e inevitabili) tappe del degrado dei film?

La prima soluzione è quella del restauro: un’operazione delicata e dispendiosa, da compiere in laboratori specializzati che, attraverso un lavoro paziente, come viene illustrato nel video, ridona vita a originali degradati e li restituisce alla visione collettiva. 

Scegliere quali titoli restaurare, nella vastissima mole di film bisognosi di un intervento, significa operare una messa in valore di oggetti che diventano parte di un patrimonio culturale. Nonostante la giovane età del cinema, in rapporto ad altre arti, i “classici” (quelli restaurati per la mostra veneziana, per i grandi festival internazionali, o ancora i titoli della rassegna Il cinema ritrovato al cinema, che promuove la distribuzione di film restaurati dalla Cineteca di Bologna) hanno il merito di portare all’attenzione del grande pubblico e in sala cinematografica titoli datati ma di grande rilevanza, che consentono alle diverse generazioni di avvicinarsi anche al cinema del passato, e di apprendere così la storia della settima arte attraverso importanti tappe (i film) che ne hanno scandito lo sviluppo.

D’altra parte, in modo sorprendente, anche il degrado della pellicola è diventato materia di produzione artistica. Non mi riferisco soltanto a un documentario (Il museo dei sogni, 1949)

e a un più celebre film (La valigia dei sogni, 1953), entrambi diretti da Luigi Comencini, e incentrati sulla distruzione e la salvaguardia delle pellicole cinematografiche.

Vi sono oggi opere d’arte e installazioni che provocatoriamente ricorrono a materiali filmici decadenti per suscitare una riflessione sull’obsolescenza e il riciclo delle immagini. Così OxidAction / Relocating film decay, una mostra (curata da Simona Debernardis e Marianna Lembo), realizzata nel giugno 2024 a Roma dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, utilizzando fotografie e pellicole degradate della Prima guerra mondiale, propone una loro rilettura etica (rimettendo al centro il rifiuto, l’inutile) ed estetica, rivelandone la suggestione e la bellezza. La riflessione sul passato – in questo caso la Prima guerra mondiale – e sull’oblio che lo circonda si carica così di una nuova possibilità espressiva e simbolica.

Prima della fine, sancita dall’ultima tappa che precede la decomposizione della pellicola, la mano salvifica dell’artista torna a sottolineare l’importanza del materiale audiovisivo ridonandogli una nuova vita nei domini dell’arte.