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N.14 Ottobre 2020

RUBRICA

Salviamo l’eredità
dei “film di famiglia”

Da sempre la settima arte culla il desiderio di fissare i momenti felici con le persone care Oggi tutti registrano con lo smartphone il proprio punto di vista sulla vita familiare Ma si perde il rito della proiezione comune

“Repas de bebé” (1895), Auguste e Louis Lumière

Nel campo sterminato del cinema, quella del “film di famiglia” (home movie) è una forma minore e indubbiamente laterale, che tuttavia accompagna da sempre la cosiddetta settima arte. Tra i brevi filmati proiettati dai fratelli Lumière all’indomani dell’invenzione del cinematografo, durante la prima proiezione pubblica il 28 dicembre 1895 al Grand Café del Boulevard des Capucines, si trova Il pasto del bambino (Repas de bébé): una scena familiare ripresa da Luis Lumière che immortala il fratello Auguste, la figlia Andrée e la moglie Marguerite mentre fanno colazione in giardino in una giornata primaverile.

Perché il desiderio di rappresentare la vita, il movimento, di fissare sulla pellicola l’immagine delle persone care – e tanto più quell’immagine sfuggente dei bambini che crescono rapidamente – ha alimentato nel tempo un cospicuo bacino di invenzioni e scoperte volte ad “addomesticare” il cinema, a renderlo disponibile a tutti, seppure in un formato più piccolo e maneggevole: le cinéma chez soi, il cinema a casa propria, come recitava negli anni Venti del Novecento il claim della Pathé baby che aveva messo sul mercato un apparecchio domestico con una pellicola ininfiammabile di 9 millimetri e mezzo.

Formati amatoriali di cineprese e proiettori, da 16 o 8 millimetri, o ancora superotto, si sono succeduti fino all’avvento del vhs che ha facilitato sensibilmente le pratiche di ripresa e di proiezione, anche attraverso la possibilità di cancellare e sovrascrivere il nastro.

Ma per quanto si sia evoluto nelle tecniche, il cinema di famiglia è rimasto una forma stabile nei contenuti. Al centro vi sono sempre feste e celebrazioni, vacanze, momenti chiave della vita dei membri della famiglia. Anche se “mal fatti”, spesso privi di un inizio e una fine, o girati da mani inesperte, i filmini hanno un ruolo importante nel tramandare la memoria familiare. Perché – come osserva Roger Odin, che ha consacrato una parte importante dei suoi studi a questo tema – la finalità del film di famiglia è la celebrazione della famiglia stessa: al di fuori del suo perimetro, questi filmati perdono significato e importanza.

Tra i tanti esempi possibili, basti guardare alle bambine e alla moglie riprese da Giacomo Cavazzoni alla fine degli anni Cinquanta, durante una gita al luna park: l’operatore registra lo sguardo delle bimbe ad un tempo curioso e sperduto in una girandola di colori, di luci e movimento; o ancora a questa passerella di membri della famiglia i quali si rivolgono imbarazzati all’operatore che sigla con la ripresa di volti noti “la [sua] prima bobina”.

I film di famiglia tramandano un’immagine gioiosa e coesa della piccola comunità che celebrano: i lutti, le malattie, gli eventi tragici, o anche solo le difficoltà delle relazioni tra i membri rimangono fuori campo, confinati in uno spazio invisibile perché “irraccontabile”. E infatti il rito della proiezione, che si celebra con la riunione di tutto il clan, e che comprende necessariamente i commenti ad alta voce, è una parte essenziale e attiva della creazione e trasmissione della memoria familiare.

Anche se “mal fatti”
i filmini hanno un ruolo importante
nel tramandare la memoria familiare

Alla luce di questo patrimonio minore, ma indubbiamente essenziale, sorgono oggi due domande che mettono in discussione l’eredità della “piccola forma” del cinema familiare.

Da una parte l’avvento del digitale e l’uso generalizzato dello smartphone, che hanno ulteriormente semplificato e reso disponibile a tutti una videocamera, hanno messo in crisi l’idea di un cinema di famiglia: oggi ciascuno fa il “suo” video, riprende eventi e cerimonie dal proprio punto di vista, rendendo spesso superfluo un momento collettivo di re-visione, nel quale insieme si coltiva e si alimenta una memoria familiare. Come restituire, allora, il senso di una ritualità collettiva?

Dall’altra parte l’obsolescenza dei formati e il rischio della perdita di un tale patrimonio hanno dato vita a iniziative meritorie di conservazione e diffusione del cinema amatoriale come “Home Movies. Archivio nazionale del cinema di famiglia” che ha sede a Bologna. Qui l’instancabile opera di raccolta, trasferimento e valorizzazione di filmati familiari operata da Paolo Simoni e da uno stuolo di collaboratori ha favorito l’accesso di queste fonti audiovisive a un altro ambito, non più privato ma pubblico, come quello della “public history”, fondamentale risorsa di conoscenza e promozione della storia per la costruzione della società.

Ciò fa del cinema di famiglia una forma minore ma essenziale del nostro approccio alle immagini in movimento. Nell’osservare identità “altre”, nel vedere la loro storia, nel percepire l’autenticità del loro racconto, anche noi possiamo riconoscerci. Così ha fatto – con grande maestria e con un interrogativo profondo da perseguire – Alina Marazzi in Un’ora sola ti vorrei (2002), un film fatto di filmati amatoriali e dedicato alla madre scomparsa prematuramente.

Nelle pieghe di racconti per immagini privati e familiari, la regista trova un modo che le è necessario per conoscere la sua identità, per elaborare la malattia e il lutto della madre; infine, per consegnarla a noi.