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N.19 Marzo 2021

OUTSIDER ART

Amicizia e capolavori dalla Manica Lunga

Racconto in volti e opere dell'attività della Officina Creativa di Fondazione Sospiro Dove la capacità di ascoltarsi il talento e il bisogno espressivo spalancano le porte di una dimensione senza tempo

Appoggiata alla parete del corridoio, tra un busto spoglio e le fragorose espressioni d’arte che decorano le pareti della Manica Lunga, con le mani infilate nei tasconi del grembiule da lavoro, Paola si prende una pausa. Sta raccontando di quando la regina del Belgio ha voluto conoscere Antonio e la voce, così sicura e appassionata, ha un tremito. «È stata un’emozione…».

È il 2005 e dopo la prima mostra a Cremona nel 2000, dedicata ai lavori artistici degli ospiti di Fondazione Sospiro, Antonio Dalla Valle è ormai riconosciuto dalla critica come uno dei più importanti esponenti dell’art brut. Le sue opere sono richieste a Bruxelles per la mostra Vision Singulaires. Arriva l’invito e da Sospiro parte la delegazione. Antonio non entra nella sala dei ricevimenti, resta seduto sui gradini. È la regina del Belgio a cercarlo: gli si fa incontro, gli stringe la mano, complimentandosi. Lui gli scrive una dedica a suo modo.

Appoggiata alla parete, Paola Pontiggia, artista, terapeuta e guida per il laboratorio in Fondazione, guarda verso l’alto e sospira. Pensa ad Antonio che da qualche mese non c’è più, alle giornate in laboratorio proprio qui, nella Manica Lunga della Fondazione Sospiro, nella stanza dell’officina creativa, alle prime mostre. «Dovevamo capirci – ha scritto del suo rapporto con l’artista amico – metterci alla prova, amarci e sentirci necessari l’uno all’altra… Antonio è stata la mia crisi. Antonio è stata la mia paralisi. Antonio è stata la mia identificazione».

Questo si scopre (anche di se stessi) varcando la soglia della Manica Lunga. Paola e Anna Maria si muovono discrete tra i tavoli dove artisti e frequentatori (gli ospiti che partecipano al laboratorio come attività dell’Istituto) creano le loro opere.

Alberto non ha gli occhiali, sta aspettando che vengano riparati. «Bisogna dirlo a loro – dice con un sorriso che non recrimina – qui si fa fatica a vedere». Ma dalle sue mani che impugnano uno dopo l’altro i pastelli colorati, sul foglio sta prendendo forma una delle sue tavole inconfondibili: una figura femminile allegra, con lunghi capelli e orecchini pendenti. Ce ne sono altre esposte in corridoio, accanto alle automobili aggrovigliate e scientifiche disegnate a mano libera con una biro da Daniele Bertanzetti, autore esposto alla Collection de l’art brut di Losanna, ai nudi abbaglianti di Emilio Luvié. «Era sordomuto – racconta di quest’ultimo Anna Maria Perri, collega di Paola che ha seguito il percorso di Luvié – e molto diffidente. Ho dovuto guadagnare la sua fiducia. Abbiamo lavorato sull’amicizia: che cosa era suo amico e che cosa no. All’inizio è stata dura, ci sono stati scontri, poi sono diventata una delle sue amiche. Aveva bisogno di un riferimento stabile… che lo avvisasse quando andava in ferie». Emilio disegnava due montagne triangolari con in mezzo un sole, poi – con un’amica e gli incontri del laboratorio – è cambiato. La sua arte è sbocciata. Inconfondibile. «All’inizio i suoi nudi di donna dovevano restare nascosti. Poi è arrivata la fiducia»

Accade qui, nella Manica lunga, in un luogo diverso dai reparti dove alloggiano. C’è lo spazio, ci sono i materiali, i tavoli incrostati di colore: tempera, pastelli, scatole e gomitoli, cartone e rotoli di scotch.

«Il Laboratorio – spiega Gianluca Rossi, coordinatore delle attività dei laboratori di Fondazione Sospiro – risponde a un bisogno di espressione che in queste persone esiste già. Si tratta di trovare un ambiente favorevole alla creatività e un percorso che permetta di riconoscere il valore autentico di queste opere».

E l’ambiente è fatto di spazi, di materiali, di relazioni. «Qui – racconta Paola Pontiggia – una persona coglie il valore di ciò che fa, acquisisce la consapevolezza di non costruire oggetti, ma di realizzare qualcosa di valore». Così, quando nel 2000 per la prima volta le opere sono uscite dalla Fondazione per la mostra “Arte oltre” a Santa Maria della Pietà, Antonio Dalla Valle si aggirava tra le sale con una delle sue borse trasparenti. Dentro si vedeva chiaramente il catalogo dell’esposizione: «Era il suo modo per dire “vedi, io ho fatto questa mostra”. E ha smesso di buttare via le sue sculture».

Già, perché qui nella Manica lunga le parole non sono sempre necessarie. Spesso il potere è negli sguardi e nei gesti. «Il trucco per noi che seguiamo queste attività è quello di interferire il meno possibile sull’identità di artisti e frequentatori del laboratorio». È dall’osservazione silenziosa di Paola e Anna Maria che si colgono le tracce del talento artistico. E allora si tratta di lasciarlo fluire, accompagnarlo: «Se vedevo che Antonio lavorava con pezzi quadrati di plastica glieli facevo trovare pronti sul banco. Se notavo che metteva tutto dentro un sacco, allora gli cucivo una borsa… Siamo come assistenti dell’artista».

Affiancare, non influire sull’estetica. Ecco il compito, non semplice di mettere da parte la propria sensibilità artistica, il proprio gusto estetico per lasciarsi avvolgere dal loro mondo.

«Sono loro, le persone la scoperta meravigliosa, il fulcro di tutto il lavoro» riflette Anna Maria Perri. «C’è chi ha bisogno di sostegno, chi preferisce immergersi nella propria ispirazione, e allora tu non devi far altro che fornire il materiale necessario».

La critica internazionale guarda a ciò che accade in questo corridoio con interesse, ne riconosce il valore autentico, richiede le opere per esposizioni internazionali. E intanto sui tavoli si continua a disegnare, cucire, modellare, dipingere. Senza sosta, come fa notare il presidente di Fondazione Sospiro Giovanni Scotti: «Qui si forniscono gli strumenti per dare spazio alla creatività, all’emozione. E questo è stato di grande sostegno per queste persone durante il lockdown: erano costretti a restare in reparto, ma continuavano a esprimere la loro arte. Questa è stata un’importante verifica del grande lavoro di sostegno svolto qui nell’officina creativa: l’arte li porta a credere tanto in se stessi da riuscire a superare meglio di noi (che ci pensavamo superuomini) una fase critica come quella della pandemia».

Gli artisti del turno intanto iniziano ad uscire dall’aula per tornare nei nuclei. Sorridono. Una signora sfoggia una coloratissima borsetta ricamata a mano, Alberto, sempre senza occhiali percorre il corridoio mano nella mano con un compagno di laboratorio. Passa davanti alle sue donne colorate appese alle pareti ma non ci fa caso. Sa che sono lì. Ci sono sempre state. Al sicuro.

C’è tempo per una foto in posa per Paola e Anna Maria. Sorridono ai lati di un suggestivo dipinto di Luciano Trebini: due tondi – un volto e il suo occhio forse – una X ne copre metà e le gocce di blu colano lungo il foglio. Colpisce. Un volto, un segno di scrittura. La tappa di un percorso artistico complesso sbocciato come un fiore sotto lo sguardo di Paola: segno grafico, racconto, pittura murale… Paola ricorda la meraviglia provata guardandolo mentre lasciava sgocciolare il colore sulla carta. «Capire? – ride lei – Già è difficile capire se stessi… Ascoltare, piuttosto. Non si tratta di interpretare; se poniamo regole e criteri non stiamo ascoltando davvero. Dobbiamo metterci da parte. Per questo non mi piace parlare di terapia. Preferisco l’empatia: così li aiutiamo a trovare la loro strada, a creare un progetto di vita». L’arte è una chance: la possibilità di incontrare l’altro, riconoscere il suo bisogno, entrare nel suo mondo.

«In questa dimensione che non ha tempo»

Art Brut, arte grezza

Il concetto di Art brut (in italiano, letteralmente, Arte grezza, ma tradotto anche come “arte spontanea”) è stato inventato nel 1945 dal pittore francese Jean Dubuffet per indicare le produzioni artistiche realizzate da non professionisti o pensionanti dell’ospedale psichiatrico.

«L’arte grezza – scrive Dubuffet – designa lavori effettuati da persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano tutto (argomenti, scelta dei materiali, messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo, modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda.

Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l’acclamazione e la promozione sociale non interferiscono – sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti».