cibo
N.15 Novembre 2020
Tra le righe del Padre Nostro
c’è un pane «uguale a Dio»
Dalla disputa sui cibi impuri al "rito" della convivialità: un biblista ci aiuta a capire che cosa c'entra il cibo con l'anima
Marco, nel capitolo sette del suo Vangelo, inserisce in un complicato discorso di Gesù, un suo commento: “purificando tutti i cibi” o “dichiarando puri tutti i cibi”.
È stato poi Paolo a diffondere la notizia che le antiche regole mosaiche sul modo di cucinare i cibi puri, escludendo gli impuri accuratamente elencati, erano state abolite.
Gli ebrei e non solo i più ortodossi le considerano ancora, almeno in parte, significative e degne di rispetto. Paolo, nella lettera ai Galati, si vanta di aver strapazzato Pietro anni prima perché, per cortesia verso ebrei divenuti cristiani, aveva condiviso la loro attenzione ai cibi impuri.
Paolo stesso poi si rese conto della serietà del problema quando dovette risolvere i dissidi tra cristiani favorevoli e contrari al consumo di carni provenienti da sacrifici a divinità pagane.
Ai cristiani di oggi queste divergenze possono apparire infantili, ma forse non è così. Oggettivamente il fatto di ingoiare bocconi di cibo che si trasformerà in cellule dei nostri organi vitali o influirà sulla loro funzione (neuroni cerebrali compresi), giustifica l’attenzione crescente alla dietologia e alle scienze della nutrizione.
È anche vero che tutto ormai è inquinato dall’ossessiva necessità di ottenere vantaggi economici, anche a costo di alterare dati scientifici per meglio commercializzare i prodotti.
In ciò che è umano si insinua sempre qualche impurità. Ma, in ogni modo, si sta affacciando qualcosa di interessante.
Abbandonato il tabù del l’impuro, si diffonde oggi una fiducia, non priva di fondamento, nella possibilità di migliorare non solo la salute, ma la convivenza umana, fruttando l’innocuo piacere del gusto che, a sua volta più che dal cibo deriva dall’arte di cucinarlo e presentarlo in moduli scaturiti dalla competenza e dalla fantasia del cuoco.
Diventa obsoleta la pratica del digiuno, ma anche la riduzione del pasto a fastidiosa necessità nutrizionale.
Questo nuovo modo di assaporare più che mangiare diventa un’occasione di rilassamento benefico anche per lo spirito e facilita la socializzazione.
È una sorta di Grazia sanante ed elevante, quasi come un sacramento che agisce con una sua efficacia prodigiosa ex opere operato.
In più ha il pregio che si può ottenere anche con cibi a buon mercato che il cuoco riesce a rendere attraenti. Sarebbe una manna non più celeste, ma umana anche per le popolazioni più povere.
Ho usato di proposito termini religiosi per suggerire la possibilità di una analogia con l’uso metaforico del cibo come nutrimento della mente o dell’anima. La moltiplicazione dei pani e dei pesci soprattutto in Giovanni è finalizzata alla ascesa verso Dio mediante la fede in Gesù. Chi ha mangiato quel pane viva in eterno, cioè vive già in Dio perché eternità non è biblicamente durata temporale ma introduzione nella illimitata perfezione della vita divina.
Concludo mostrando come questo accesso a Dio sia fondato sul cibo nel Padre Nostro, così come lo ha scritto Luca, senza l’aggettivo “nostro”, rispettando probabilmente la forma più antica della preghiera, ampliata poi da Matteo, così come l’aveva pronunciato Gesù.
Con una perfetta simmetria Luca chiede la santificazione del nome e la venuta del regno di Dio nelle prime due domande, e nelle ultime due il perdono e l’esenzione dalla prova (non da tentazioni), ma al centro pone come richiesta più importante che ogni giorno ci venga dato un pane non quotidiano, ma epiousion, termine greco raro che può significare qualcosa che sta per accadere, successivo, quindi il pane non di domani ma del domani, del futuro ultimo, oppure “sopra sostanza”, natura, realtà cioè un pane trascendente eterno superiore… uguale a Dio!
L’Eucaristia è l’unione con Dio, tramite il Figlio, trasfigurato dallo Spirito in cibo e bevanda.