cibo

N.15 Novembre 2020

RUBRICA

L’ esperanto del mondo

Mangiare con le mani
per assaporare meglio,
per tornare alle origini.

Ripristinare quel rapporto di rispetto

del cibo-nutrimento-prezioso,

non scontato.

Da celebrare.

Le sinestesie di profumi e sapori

che si mescolano

e ci portano dentro
uno scatto d’infanzia

o il nostro ultimo viaggio

a una latitudine lontana.

Madeleine che accendono

con il loro sapore

mille connessioni,

che raddoppiano la vita che viviamo

farcendola di ricordi

o attese.


Immergersi nel momento

assaporando

quello che stiamo assaggiando,

perché lo stomaco

non è l’unico che va nutrito.

La precisione che serve

per certi monumenti della pasticceria:

dosi, passaggi, temperature.

La pazienza dei mille tentativi

di chi crea combinazioni nuove,

la fortuna di chi con un errore

ha scoperto un’America

dei fornelli.

Da Artusi a Romito,

dalla rezdora emiliana

al ristorantino sotto casa…

La tradizione culinaria

di ogni Paese

– d’accordo -,

ma soprattutto d’Italia

– ovviamente –

è una forma d’arte

insostituibile e inopinabile.

Un megafono e traduttore

di culture di infiniti territori

e comunità,

sempre diverso e unico

eppure capace

di farsi capire a tutti. 
Le ricette

di ogni minuscolo borgo e villaggio

come esperanto del mondo.

La magia del latte
che esce dal seno della mamma
per istinto naturale
quando nell’aria
c’è la vibrazione di un pianto.
Il disprezzo
e l’attaccamento all’esistenza
che passa per gli hamburger XXL
buttati nell’umido nel Primo mondo
e il pugno di riso
che deve bastare per due,
per tutto il giorno,
dall’altra parte del globo.
La celebrazione
dei momenti importanti
che va incorniciata
da un piatto speciale,
un convivio
che mette attorno al tavolo
le persone che ci devono essere.
Il cibo diventa
testimonianza di gioia,
tributo ai sacrifici
e alle promesse.
E poi la pizza nel cartone,
un caffè al bar,
il gelato per strada,
il pranzo della domenica da nonna
e un bicchiere di vino
post lavoro, il venerdì sera:
riti laici essenziali
alla nostra quotidianità
perché la scandiscono,
le danno una forma
mentre scolpiscono
amicizie, legami e famiglie.

Mangiare troppo poco:
il rifiuto di nutrirsi
come grido disperato.
Scomparire per essere visti,
come il mito di Eco.
Mangiare troppo e male:
alimenti in sequenza
per riempire buchi
dentro i quali è difficile guardare.
A volte il cibo
sveste la sua funzione primaria,
perde gusto, piacere e nutrimento
per trasformarsi nel coltello
con cui frughiamo dentro i nostri dolori,
le nostre insicurezze.
Una comunicazione non verbale
che funziona usando in negativo
un elemento di gioia, di vita.
Per farsi aiutare,
per tornare a sentire.

Prendersi cura di qualcuno
sbucciando una mela,
tostando il pane.
Festeggiare un giorno di normalità
scegliendo gli spaghettoni quadrati
e il sugo al pomodoro.
Coprire il piatto
per non farlo raffreddare
mentre i ritardatari arrivano a tavola.
Comprare quelle caramelle preferite
cercandole per mezza città.
Il formaggio da provare assolutamente in due.
La ricetta da sperimentare insieme.
L’amore che passa per pacchetti,
formati, aromi, cotture, polpe e farine.
L’attenzione della condivisione,
la sensualità intrinseca dell’esperienza culinaria.
Come diceva Ornella,
per il cuore e per il palato.