piaceri
N.11 Maggio 2020
L’istante unico della polaroid
La falange si abbassa con un piccolo fremito. Pensi che non si torna indietro.
Poi inizia l’attesa.
“Istantanea”. La chiamavano così, anche se il tempo in cui la pellicola nera dietro e ancora tutta bianca davanti esca dalla fessura della macchina è un secolo.
E aspetti ancora, l’immagine affiora lenta mentre è ormai fuori dalla portata dell’occhio e inizia ad avere a che fare con l’anima: sorpresa, ricordo, imperfezione.
Arte.
Potresti appoggiare l’indice altre dieci, cento volte sul touch di uno smartphone. Immortalare ed eliminare, cogliere e distogliere, adattare e filtrare.
E invece tieni tra le dita il cartoncino magico proteggendolo dalla luce violenta e da sfregi maldestri.
Ho una scatola nel cassetto di polaroid “sbagliate”: ombre nel nero, ferite di luce bruciante.
Sembra un vezzo da romantici fuori tempo. Ma non sfugge più. Non si rimpiazza ciò che non può essere replicato. Non si ripristina, non si formatta.
L’attesa e la cura lo rendono unico.
La chiamano istantanea, ma è un istante.
E dura per sempre