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N.50 maggio 2024
Alba de Céspedes, “Il quaderno proibito”
Avere un diario tutto proprio e segreto su cui scrivere di sé, delle proprie emozioni, dei propri pensieri o progetti non è solo una cosa da adolescenti. È un bisogno, a volte profondo e travolgente, di parlare con se stessi. Valeria, in Quaderno proibito, fa proprio questa cosa: senza sapere il perché, risponde all’impulso di comprare un quaderno e annota lì le sue giornate. E mentre scrive compie il viaggio più bello che ci sia: quello alla scoperta di sé.
È strano: la nostra vita intima è ciò che più conta per ognuno di noi
eppure dobbiamo sempre fingere di viverla senza quasi avvedercene,
con disumana sicurezza. Inoltre, se portassi via il quaderno
mi sembrerebbe di non trovare più nulla di mio, in casa, quando ritorno.
Abbiamo provato a immaginare che cosa Valeria, la protagonista del romanzo, avrebbe detto pensando alla parola Pagine:
Ho fatto male a comperare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto. Non so neppure che cosa m’abbia spinto ad acquistarlo, è stato un caso. Ho anche dovuto insistere con il tabaccaio perché me lo vendesse. Che imbarazzo all’inizio! C’erano molti clienti davanti a me e io avevo preparato i soldi. «Non si può: è proibito» mi ha detto, una volta arrivato il mio turno. Fortunatamente ero rimasta sola nel negozio. Una forza allora si è impossessata di me: «Ne ho bisogno assolutamente». Chissà cosa avrà pensato. Sono uscita nascondendo il mio segreto sotto al cappotto. Ho iniziato nascondendolo e così continuerò. Chissà cosa penserebbe Michele, se sapesse del quaderno. Si sentirebbe tradito, probabilmente. «Un quaderno segreto! In un matrimonio non dovrebbero esserci segreti», mi direbbe. Ma in realtà più che la sua rabbia temo la derisione: e se nello scoprirlo si mettesse a ridere? Se mi prendesse in giro e mi dicesse che assomiglio a nostra figlia Mirella quando era adolescente? Che vergogna proverei. Ormai è fatta, a qualunque prezzo continuerò a scrivere qui: ne ho bisogno. Quando sono al lavoro e vedo che è quasi ora di tornare a casa le mie dita cominciano a fremere, il mio cuore comincia a battere forte, come quando da ragazza mi preparavo a fare qualcosa di proibito.
Appena arrivo a casa mi tolgo cappotto e cappello e mi metto a scrivere, pagine e pagine. Dimentico i miei doveri e mi metto a rassettare e cucinare di corsa, per non farmi scoprire. Oppure mi ci dedico di notte, quando tutti sono a letto. Finito di rigovernare la cucina mi siedo al tavolo e apro il mio quaderno.
Le lettere si succedono fino a formare le parole e le parole a formare le pagine. Tante e tante pagine, le mie pagine. Mie e di nessun altro. Qui posso usarne quante voglio e poi tornare indietro. Ci sono delle volte che invece di scrivere sfoglio le pagine, mi rileggo: la nostra vita intima è ciò che più conta per ognuno di noi e io voglio viverla appieno, non voglio lasciarmela sfuggire tra le dita. Le pagine mi servono per imprimere ogni pensiero, sentimenti, paura e desiderio su questo quaderno e farli vivere per sempre.
Ora sono le undici, sento Michele e il suo respiro pesante. Finalmente si è addormentato. Mi ha chiamata prima, mi ha chiesto perché non lo raggiungessi a letto, ma sono rimasta qui con una scusa. Riccardo è in camera a studiare, vedo la luce fioca che passa sotto la porta. Povero ragazzo, si impegna tanto per laurearsi e sposare la sua Marina. Mirella invece non è ancora rincasata. Sono preoccupata per la sua condotta. Non vorrei che facesse qualche sciocchezza e si rovinasse. Riccardo dice che si vede con un certo Cantoni, che fa l’avvocato. Escono la sera e poi lui la riporta a casa in macchina. Quando incrocio qualche vicina dal salumiere o in qualche negozio sto molto attenta a cosa dicono e se vedo due o tre di loro parlare fitto fitto tendo l’orecchio: voglio ascoltare le loro parole. Ho sempre paura che possano parlare di Mirella. Le parole possono fare del male, soprattutto se sussurrate e maligne, parole che restano poi indelebili perché scritte sulle pagine della memoria.
Ieri sera Mirella è rincasata dopo mezzanotte. Quando la guardo vedo un’espressione seria, priva di risentimento, che m’insospettisce. L’altro giorno, tornando a casa, l’ho vista scendere dalla macchina di Cantoni, fare un gesto affettuoso di saluto prima di scomparire nel portone. Durante il pranzo è rimasta silenziosa, poi è andata a letto subito, dicendo: «Sono stanca» e sembrava che questa frase le fosse sfuggita a sua insaputa.
Ancora parole, parole che mancano, parole che non riescono a uscire dalla mia bocca per raggiungere il suo cuore. A volte vorrei gridarle addosso e urlare «Guardami! Parlami! Sono qui! Sono qui e ti viglio aiutare! Ascolta le mie parole!» ma poi rimango in silenzio, a osservarla, impotente.
Come vorrei che ci fosse sempre il modo per usarle, queste benedette parole. Per adesso rimarranno qui, su queste pagine, aspettando il momento in cui troverò l’ardire per pronunciarle.
– in collaborazione con @poitelopresto
SCHEDA
Valeria Cossati, la protagonista di questo romanzo è una donna della classe media nell’Italia degli anni Cinquanta. Poco più di quarant’anni, due figli grandi, un marito disattento, un lavoro d’ufficio che svolge senza apparente passione, Valeria è assorbita dal ritmo “naturale” della quotidianità piccolo-borghese, schiacciata, senza quasi rendersene conto, tra i suoi ruoli di moglie, madre, impiegata. Un giorno però, colta da un impulso che a lei stessa appare irragionevole e inspiegabile, acquista un taccuino su cui comincia ad annotare fatti minuti e riflessioni… (oscarmondadori.it)
Autore: Alba de Cèspedes
Editore: Mondadori
Collana: Oscar moderni, Cult
Anno: 2022