pace

N.45 Dicembre 2023

rubrica

«Anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra»

Da Rossini a Bob Dylan, così l'armonia di musica e parole lavora sulle emozioni per diventare armonia tra i popoli

Le parole contengono il mondo e sono in grado di unire o di dividere e, come ogni strumento, possono essere usate in modo costruttivo o distruttivo. Però, se le parole sono espresse in musica, di norma sono destinate a creare relazioni positive fondendo punti di vista, idee, sensazioni e c’è sempre quell’arma dell’emozione creata dal bello a rendere l’insieme parola/musica un subdolo mezzo di seduzione. Certo, la condizione è che le parole siano in qualche modo semplici, condensino alla bell’e meglio quel che si vuole dire e lascino fare alle note. Oggi il connubio musica e testo deve essere risolto alla pari sul piano della semplicità, della presa diretta, di ciò che deve essere detto nei fatidici 3 minuti.

In mezzo ai tanti temi che la musica ospita, da non molto vi è quello della Pace, divenuto oggi così urgente e drammatico, che proprio nelle semplici e vivide parole delle nostre icone pop diventa vocabolario comune. Si potrebbe partire da lontano, da quando comparve la prima Società per la Pace in Europa nel 1830 con il dichiarato scopo di prevenire e contrastare le guerre, eliminare gli eserciti permanenti, favorire l’autodeterminazione dei popoli, con adesioni di Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, oltre che di politici; la musica, che non è mai indifferente a ciò che le sta intorno, ce ne lasciò l’eco in Italia in pagine di Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi. Il primo si lascò ispirare dalle parole di Giuseppe Arcangeli componendo nel 1850 con la sua consueta vena brillante l’Inno alla Pace:

È foriera la pace ai mortali
d’ogni ben che più s’ama e s’apprezza.
È foriera di lieta ricchezza
è degl’inni delizia del cor.

Il secondo ha composto nel 1862 una cantata dal titolo Inno delle Nazioni su testo di Arrigo Boito, in cui troviamo tutta la posa pomposamente retorica dell’epoca tanto nelle parole che nella musica:

Balzi di gioia il mondo, Perchè vicino agli uomini
È il regno dell’Amor. Oh Italia, oh Italia, oh Patria mia tradita,
Che il cielo benigno ti sia propizio ancora…

Il pacifismo continuò per tutto l’Ottocento e fino alla Prima guerra mondiale si spesero parole ed energie per la Pace. Johannes Brahms, nel suo Lied op. 48 n. 2 eseguito nel 1890, fa cantare a un Disertore:

Noi vogliamo andare in giardino,
dove son le belle rose,
là esse sono davvero troppe,
ne spezzo una dove voglio.

Solo qualche anno dopo, nel 1907, Arnold Schönberg usa tutto il suo complicato lessico armonico per un coro a cappella (Friede auf Erden op. 13) che ci canta le parole:

Però rimane la speranza

che il debole non debba cadere
in eterno
sotto ogni atto omicida.
Qualcosa come la giustizia
agisce ed opera nell’assassinio e nel terrore
e vuol erigere un regno,
che realizzi pace sulla Terra.

All’inizio del Novecento il pacifismo subì in Europa una battuta d’arresto di fronte ai totalitarismi degli anni Venti e Trenta. Appena prima, in mezzo al soverchiante coro degli interventisti fecero da controcanto le canzoni dei pacifisti come Ninna Nanna su testo di Trilussa (1914): Ninna nanna, pija sonno

ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili;

o le canzoni dei neutralisti (La ragazza neutrale, 1915) o le filastrocche dei giovani trentini contro l’arruolamento forzato o nei travestimenti di canzoni folk (Fuoco e mitragliatrici, 1915-16).

Solo dopo i disastri della seconda guerra mondiale hanno ripreso vita i movimenti pacifisti divenendo di volta in volta mobilitazioni contro l’atomica e contro i rischi delle guerre nucleari, contro la guerra in Vietnam, contro i missili posizionati da una parte e dall’altra, contro le guerre nel Golfo, contro la guerra “a pezzi” dopo l’11 settembre 2001.

Anche qui possiamo vedere in parallelo la presenza del tema della Pace nella musica prima sul filone cosiddetto “colto”, ossia quello che si poneva idealmente sul solco della tradizione beethoveniana e, dopo che questa si perse nel deserto dell’autoreferenzialità enigmatica contemporanea, nella cosiddetta musica “pop”, ossia in quella cultura che, parallelamente alla crescita economica, all’introduzione dell’istruzione per tutti e alla globalizzazione della comunicazione, è stata presente nella sostanza del dibattito politico.

Luigi Nono, musicista dell’avanguardia post-bellica, denunciò con forza attraverso i suoi grumi contorti di note e melodie stravolte i deliri delle guerre (Intolleranza, 1960):

Mai! Mai! Mai!
Cessate le perfide fatture!
Stormi di pazzi cormorani
girano lo spazio
ci proteggono
promettendoci morte.
Il fumo di Hiroshima si propaga
con mille nervature deliranti.
Vibrano
come fili di lampada
le vene della nostra vita.
Invece si potrebbe essere sereni,
scoprire
prodigi della natura,
dell’amore.

Benjamin Britten, altro grande protagonista del Novecento, ci ha lasciato una testimonianza profonda sui sentimenti e le speranze di un’intera umanità nei confronti della guerra. Il suo War Requiem, eseguito il 30 maggio 1962 in occasione della riconsacrazione di una chiesa distrutta durante la guerra e ricostruita, accosta testi latini e poesia moderna per denunciare le atrocità commesse dall’uomo contro l’uomo:

L’umanità sarà contenta adesso di tutto ciò che abbiamo devastato;
Se poi, non paga, farà ribollire il proprio
sangue, finirà svenata.
Rapido com’è rapida la tigre,
Nessuno i ranghi romperà, per quanto le
nazioni rinneghino il progresso.
Sottraiamoci alla marcia del mondo in ritirata
Dentro vane fortezze
senza mura.
Se poi molto sangue avesse inceppato le ruote ai loro carri
Sarei asceso per risciacquarle a dolci sorgenti,
Proprio alle sorgenti che abbiamo fatto sprofondare con la guerra,
Le più limpide che siano mai esistite.

Ma è sul versante popolare dagli anni Sessanta in poi che si fa viva, soprattutto fra i giovani e i loro musicisti di riferimento, la consapevolezza di manifestare un impegno a favore della pace. Da Bob Dylan a Bruce Springsteen, dai Black Sabbath ai Metallica, da Francesco Guccini a Jovanotti, da John Lennon ai Pink Floyd, moltissimi cantanti di Paesi diversi si sono espressi contro i conflitti armati, denunciandone errori ed orrori. Le loro sono frasi semplici (ma non i concetti contenuti), le loro rime tutt’altro che ricercate (sono le nostre stesse parole di tutti i giorni), le loro melodie sono agevoli, si comprendono al volo (in un mondo che corre, il tempo dell’arte si è accorciato, ma il nocciolo c’è tutto), si imprimono subito nella memoria (perché rispettano l’ascoltatore e il suo desiderio di sentirsi dire in modo artistico i suoi stessi desideri), colgono i punti deboli dell’anima e lì ci si intrufolano per sempre (potenza della melodia, così bella quando è bella).

E quante orecchie deve avere un uomo
Prima che possa sentire la gente piangere?
Sì, e quante/morti ci vorranno prima che lo sappia
Che sono morte troppe persone?
La risposta, amico mio, sta soffiando ‘nel vento
La risposta soffia nel vento


E così l’arte musicale, costruita attraverso l’armonia dei suoni, può diventare immagine di un’armonia superiore, quella dei popoli, addirittura «profezia di un nuovo umanesimo» (Antonella Lombardo), e chissà, magari un giorno… «un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra» (Jim Morrison).