ombre

N.34 Ottobre 2022

RINASCITE

Donne che si riprendono il futuro: «La droga un amore che ruba la vita»

La comunità San Francesco di Marzalengo accoglie donne che si battono contro la tossicodipendenza e si riprendono la vita insieme grazie ai loro bimbi e a una casa in cui le ombre soffocanti fanno a pugni con la luce che entra dalle crepe dell'esistenza. Perché la vita merita sempre una seconda opportunità

Giovani donne con i loro figli costruiscono un futuro migliore a Marzalengo

«L’unica certezza che ho è che non farà parte del mio futuro, ma oggi l’ombra mi accompagna ancora. Sono cresciuta a pane e sostanze stupefacenti. Vengo da un contesto familiare difficile, la droga fa parte di me da sempre». Michela (nome di fantasia) getta subito la maschera. Parla senza filtri «dell’amore», che ha caratterizzato la sua vita. «Quello per la droga, in fondo, è un amore. Aiuta a fuggire dal dolore, a guardare la realtà difficile che ti trovi a vivere con distacco». Si prende la tua lucidità. Prende posto nel cuore: «Diventa il tuo mondo, tutto il tuo mondo. Ha riempito vuoti, mi ha fatto sentire meno sola. Invincibile».
Vinta solo da quelle dosi. «Ho ceduto alla sostanza. Oggi è difficile non pensarla, ma so che è una maschera da lasciar andare per provare ad essere diversa: vera, limpida e non più sola». Le mani sudano, gli occhi a tratti si fanno lucidi.

Nella sala riunioni della comunità San Francesco di Marzalengo le ombre soffocanti fanno a pugni con la luce che entra dalle crepe dell’esistenza. Perché la vita merita sempre una seconda opportunità. Rivendica il diritto a superare gli ostacoli. Non ad aggirarli. Piuttosto ad affrontarli a muso duro. Un dolore dopo l’altro.

«Le ombre ci accompagnano. Quando finisce un amore, l’archiviazione non è istantanea. Lo stesso vale in caso di dipendenza da sostanze». Nicoletta è l’educatrice che segue le ragazze ospitate in comunità (spesso accompagnate dai loro bimbi piccoli) lungo il percorso. Cammina loro accanto con la mano sempre tesa. Lascia a casa i pregiudizi. «La dipendenza è un grande dolore». E un grande dolore va accolto. Anche quando lacera corpo, cuore e mente. Serve. Per costruire o ricostruire. Rimettere insieme i pezzi e continuare a camminare sulla strada dissestata della vita.

Nicoletta, educatrice della comunità San Francesco

La struttura della Diocesi di Cremona è gestita dalle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento: «Non serve essere credenti per varcare quella porta. Serve sposare lo stile dell’accoglienza, l’idea che dal confronto nascano occasioni di arricchimento, di crescita». Di cambiamento. «Io, con tutte loro, cresco regolarmente dopo 22 anni di impegno in questa struttura».

Nel giardino i tappeti elastici, le altalene e gli scivoli suggeriscono la presenza di bambini. «Questa – spiega Nicoletta – è una casa concepita per l’accoglienza di donne con bambini o di donne in gravidanza che facciano uso di sostanze». Alcune vengono inviate dai servizi territoriali, altre con decreto del tribunale che dispone l’avvio del percorso insieme al figlio minore. Nessuna di loro è sottoposta a provvedimenti restrittivi alternativi alla pena detentiva.
«Essere qui con mia figlia mi aiuta a proseguire» riprende Michela. «Vivere con gli altri mi ha permesso di capire che non sono sola: questa, forse, è la differenza più grande rispetto al passato. Ho capito che devo stare nella gioia, nelle ansie, nel dolore, nella fatica». Senza scorciatoie. «Lo scelgo ogni giorno, nonostante a volte abbia pensato di mollare. Di aprire quella porta e andare via».
Tra le pieghe del viso si legge la paura. Tra le dita si infila il coraggio di plasmare un futuro diverso. «Una me diversa». Forse, più semplicemente, libera.

«Arrivi ad un punto in cui la dipendenza non ti accompagna più. Ti sovrasta e ruba quella che sei. Lì diventi il fantasma di te stessa. Da sola non riesci più ad uscirne, ma capisci che ti sta uccidendo. In quell’esatto istante, dopo l’iniziale divertimento e quell’idea mai più realizzata che ti ha fatto innamorare di lei, la droga diventa tua nemica». Anche Alice (nome di fantasia) alloggia in comunità con la sua bimba. «L’uso di sostanze è sempre una scelta, ma ci sono momenti nella vita in cui non riesci a scegliere. Mi ero innamorata di un uomo tossicodipendente. Nel tentativo di salvare lui, ci sono cascata anche io. Alle solitudini, ai dolori, alla paura era l’alternativa più facile. Mi sono ritrovata con un carico più grosso di me sulle spalle, sola. La sostanza era diventata la ragione di vita. Il mio primo pensiero della giornata era andare ad acquistare la dose. Ho assunto cocaina anche in gravidanza. Poi ho capito che quell’idea di cui mi ero innamorata non sarebbe più tornata. Oggi la cocaina è un’amica morta. Le ho fatto il funerale. Resta l’alternativa più facile, la possibilità di tornare indietro».

Il vicolo cieco che Alice non vuole più imboccare. «Non voglio abbandonare mia figlia. Oggi so che posso vivere senza la sostanza. Riesco a lavorare, a dormire». A vivere, appunto. Non a sopravvivere. «Fuori sembra che la droga ti tenga in piedi. Poi capisci che non è vero. Non ti aiuta: è stata un’amica subdola». Morta.
«Nel futuro mi vedo una mamma felice con la mia bimba. Ora è piccola, ma credo che un giorno sia giusto che sappia la verità». Quella raccontata da una vita in salita rivoluzionata dal silenzioso coraggio di mettersi in discussione.
Al piano superiore i sorrisi dei bimbi sono la risposta a tutte le domande: sì, la vita una seconda occasione se la merita. Sempre.