piaceri

N.11 Maggio 2020

FAMIGLIE

I cavalieri dello scolapasta

Restare in casa con i bimbi ha stimolato la creatività e ha concesso il tempo per fare di ogni oggetto un tesoro meraviglioso E di ogni giorno un'avventura

Se c’è una cosa che l’isolamento forzato di queste settimane ha insegnato, è certamente l’uso della creatività. Spesso stretti in spazi limitati – anche le quattro mura di casa possono diventare opprimenti alla lunga – ci siamo reinventati allenamenti innovativi, ci siamo improvvisati cuochi o abbiamo colto la palla al balzo per ritinteggiare quella stanza che si, lo ammettiamo, da anni aspettava che prendessimo il rullo in mano.

Ma la palma d’oro della creatività va a loro: alle famiglie. Genitori, figli, nonni hanno scoperchiato un modo di giochi e avventure che forse , nel tran tran della normalità di prima, si era un po’ perso. Anche gli insegnanti, soprattutto quelli delle scuole dell’infanzia, si sono ingegnati per proporre ogni giorno attività nuove e belle per i bambini. Non è sempre facile.

«In questi mesi sono rimasta a casa con due bambini molto piccoli, mio marito è insegnante e aveva le lezioni a distanza ogni giorno. Ci sono stati momenti in cui pensare giochi e attività non è stato facile, ma quello che ho imparato è che il tempo passato con i miei figli è più prezioso di qualunque mia capacità o di qualunque lavoretto “figo”. Con tutta la fatica del mondo abbiamo cercato di stare con i nostri figli», racconta Alice.

Federica, giovane mamma cremonese tuttofare, invece benedice il giardino di casa: «La terra è stata ed è una fonte inesauribile di giochi, scatena la fantasia». Si possono inventare pozioni magiche aggiungendo un po’ di acqua, storie fantastiche nascosti dietro le piccole siepi e perfino insegnare ai bambini a fare un po’ di pulizie «così si prendono due piccioni con una fava», spiega scherzando.

Giorgia invece si è data da fare in cucina: i bambini hanno impastato pizze, infornato biscotti con le iniziali dei nomi dei compagni di scuola, perfino regalato a distanza una torta creata per il compleanno della migliore amica della figlia maggiore. Un gomitolo di lana può diventare il filo conduttore di una storia o creare labirinti per percorsi ad ostacoli nell’eterna gara tra fratelli, una scatola di detersivo vuota diventa un razzo spaziale, le bolle di sapone creano l’ambiente perfetto per conoscere meglio i giochi di luce. La maestra Benni, invece, ha voluto far compagnia ai suoi “puledrini”, come li chiama, inventando ogni mattina lavoretti nuovi insegnati via streaming. Come la scatola dei segreti: una scatola di scarpe con dentro fazzoletti di stoffa, spugne, pasta, carta stagnola… ogni oggetto diventa una scoperta.

E forse guardare i nostri figli
immaginare storie fantastiche
con in testa uno scolapasta
ci aiuta a riscoprire il tempo
come dono di libertà

E poi consigli di lettura per i più piccoli o per coraggiosi esploratori, perché dentro ogni libro c’è un’avventura. Basta solo girare pagina. E non è forse perfetta metafora della vita di tutti? Disegno, pittura, scultura, lettura, costruzione di giocattoli fai-da-te e poi canzoni, balli: tutto è gioco.

Il gioco però non potrebbe esistere senza il tempo. Il tempo che i genitori dedicano ai figli, il tempo libero dai compiti.

E forse guardare i nostri figli immaginare storie fantastiche con in testa uno scolapasta ci aiuta a riscoprire il tempo come dono di libertà, gratuità, bellezza. Il gioco è, al fondo, una prova di ciò che sarà la vita: un modo di imparare a crescere mettendo in moto tutti i talenti e le nostre capacità, condividendo con gli altri spazi e idee e anche un po’ di sé.

Ripensando a queste settimane torna alla mente un testo forse poco conosciuto, Come giocavo, del grande Mario Lodi. In quel bellissimo racconto lo scrittore e insegnante di Piadena ricorda i suoi giochi di bambino, quando per essere felici bastava scorrazzare tra piazze, stradine di campagna, cascine, filari di pioppi, campi di granoturco e papaveri attraversati dal fiume Oglio, in un tempo scandito solo dal buio e dalla luce. Memorie di un’epoca lontana, molto meno frenetica di oggi, senza l’ansia da prestazione dei bambini o dei genitori, solo con l’infinità libertà di giocare con trottole di legno e monetine, di scappare su un campanile per sbirciare il campanaro in azione, di acchiappare qualche rana nei fossi e poi la scoperta della bicicletta con lunghe pedalate insieme agli amici. Ma la cosa più bella, scrive, «erano i racconti di mio padre», alla sera, spesso con l’aggiunta di disegni inventati sul momento.

La cosa più bella, ci dice Lodi con quest’ultima immagine, è la compagnia di qualcuno che ti voglia bene così come sei. Tanto da condividere con te – anche se stanco dal duro la voro della giornata – le ultime ore della sera.

«…in attesa che la città o il paese
ritorni a essere
gente che si conosce e si aiuta,
che ha una storia in comune»

MARIO LODI

Il libro-racconto termina con un pensiero che restituisce – sebbene in tempi storici fortemente diversi – una dimensione più umana a tutto. «Rifletto sulla storia del mondo ludico del bambino invaso dall’industria del profitto che neutralizza la fantasia col giocattolo meccanico in serie [….]. Mi chiedo che cosa sarebbe accaduto se un adulto ci avesse chiamato a giocare, in spazi organizzati, i suoi giochi. Cinquanta anni fa era una cosa inimmaginabile. Ora è una necessità, in attesa che la città o il paese ritorni a essere gente che si conosce e si aiuta, che ha una storia in comune. C’è chi dice che è tardi ormai. C’è chi vi crede».