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N.38 Febbraio 2023

FAMIGLIE

Il grande albero degli Henriquez

La partenza da El Salvador per scappare dalla violenza, la nostalgia, l'accoglienza, l'apertura alla vita: Juana racconta la sua famiglia numerosa che allarga la sua rete di affetti su due continenti

Agli appassionati di surf, El Salvador evoca spiagge infinite e onde perfette. A chi segue le vicende dell’America Latina, l’incubo delle pandillas e i discussi interventi del presidente Nayib Bukele.
Per Juana del Carmen Jovel de Henriquez, El Salvador significa, semplicemente, casa; quella in cui è cresciuta e dove vivono ancora i suoi genitori, quella a cui pensa ogni sera prima di addormentarsi.
La cucina in cui Giulia ed io veniamo accolti e fatti accomodare davanti a una fetta di torta, invece, appartiene ad un’altra casa, ad un’altra storia. Il filo che unisce le due narrazioni, tessuto nell’inossidabile forza dei legami famigliari, è lei, Juana, la cui tenacia è pari alla malinconica dolcezza con cui racconta le proprie vicende.
Una narrazione in cui è facile perdersi, tra famiglie molto numerose e nomi talmente articolati da risultare impossibili da memorizzare. Nell’appartamento, confinante con la chiesa di Santa Maria Maddalena, vivono: Oscar Antonio Henriquez Sermeno, Juana del Carmen Jovel de Henriquez e i figli Estefany Jojary Gonzalez Jovel (20 anni), Katherin del Carmen Jovel Buendia (17 anni), Alessandra Henriquez Jovel (10 anni), Emanuele Henriquez Jovel (8 anni) e Francesco Henriquez Jovel (5 anni).

Mentre Giulia, scambia due chiacchiere con i piccoli che sorridono divertiti alla macchina fotografica, Juana sfoglia le pagine della sua storia. Una famiglia con cinque figli è inusuale in Italia, e se ne è accorta anche lei: «Quando nel mio lavoro di asa, in una casa di riposo, gli anziani lo vengono a sapere, rimangono sorpresi».
Sorpresi positivamente, speriamo. «Tutt’altro, di solito mi chiedono se sono matta» risponde ridendo. La stessa cosa deve aver pensato qualcuno quando, al terzo mese dell’ultima gravidanza, i medici le proposero di abortire. Al nascituro era stata diagnosticata la sindrome di Down. I genitori decisero di proseguire e, «dopo una gravidanza bruttissima» conclusasi con un travaglio parecchio tormentato, arrivò Francesco: un bambino perfettamente sano, sveglio e simpatico che, insieme al fratello maggiore Emanuele, sta mostrando le sue automobiline a Giulia.
Forse gli anziani ospiti della rsa dove lavora sarebbero meno stupiti se sapessero che il padre di Juana ha ben unici fratelli. «E anche noi eravamo in tanti – afferma riprendendo il filo del discorso – mia mamma ha avuto dodici figli, anche se purtroppo non tutti oggi sono vivi» conclude con un velo di malinconia. La stessa che le si legge negli occhi quando racconta del minuscolo paesino di Santa Isabel Ishuatan, sperduto tra il verdeggiare delle colline, a pochi kilometri dall’azzurro dell’oceano.

A ventiquattro anni dev’esser molto difficile lasciarsi alle spalle la propria casa; ancora di più se sei costretta ad affidare ai nonni due figlie piccole. «Oltre alla mancanza di lavoro – spiega Juana – il problema principale di El Salvador era, ed è ancora, la violenza nelle strade, dovuta a corruzione e trafficanti. Ogni mattina uscivi di casa senza sapere se alla fine della giornata saresti tornato vivo». Oscar, il compagno che allora «guidava i pullman per 300 euro al mese», la incoraggiò a partire, promettendole di raggiungerla dopo pochi mesi.
L’aggancio che ha permesso a Juana di giungere in Italia, nel 2008, è stata una sua sorella, appartenente alla congregazione delle Suore Carmelitane. Ed è proprio il convento cremonese di via Altobello Melone il luogo dove la giovane donna ha lavorato per diversi anni, imparando l’italiano e cercando di resistere al fortissimo desiderio di tornare a casa. «Tutti i giorni chiamavo mio papà dicendogli che non ce la facevo più – confessa con un sorriso che non riesce a nascondere un’inestinguibile nostalgia – ma lui mi spronava a restare, mi chiedeva di resistere, “solo per un altro giorno”…».
Finalmente, dopo quattro anni, avviene il ricongiungimento con le amate figlie: un momento intenso quanto difficile per le bambine, non solo per la lingua nuova e le amicizie lasciate alle spalle, ma soprattutto «per il confronto con una mamma che non le aveva cresciute».
Analogamente, l’arrivo del compagno Oscar non avvenne con la rapidità sperata: altri cinque anni di attesa. Dopo un lungo periodo di lavori saltuari e di precarie sistemazioni abitative, la coppia trovò un equilibrio. Un traguardo difficile da perseguire ma raggiunto con ferma determinazione grazie anche all’incontro di figure significative come don Antonio Pezzetti e suor Luisa. In particolare Juana ricorda quest’ultima come fondamentale per il percorso di crescita della coppia, sia dal punto di vista relazionale che di fede.

A interrompere una situazione emotivamente coinvolgente, è la precipitosa corsa dei piccoli Emanuele e Francesco attraverso la cucina. Alessandra, la sorellina più grande, smettendo momentaneamente di sfogliare l’album delle foto di famiglia, si affaccia dalla porta e, guardandoli con aria di sufficienza: «Fanno sempre i monelli; soprattutto non sopporto Emanuele quando gioca a palla in camera».
Con una acrobatica manovra i due piccoli dribblano la sorella Estefany che, nell’ingresso, chiacchiera pacificamente con Fatima ed il fidanzato Michael. La figlia maggiore sorride, paziente, mentre i fratellini giocano rumorosamente. È una ragazza buona e solare, come sanno bene i numerosi bambini di San Imerio che l’hanno avuta come animatrice al Grest. Sogna un futuro lavorativo da educatrice e, in parte, lo fa già, non solo in oratorio ma anche quando si prende cura dei piccoli di casa.
Fatima, sorella di Juana e in attesa di un bambino, sorride, forse pensando alla sua futura famiglia, forse ricordando gli anni in cui, sedicenne, arrivò in Italia e alloggiò presso la casa della sorella maggiore. Casa di famiglia.

Nel mentre Emanuele e Francesco, con impeto, si fiondano in sala provocando la rapida migrazione della sorella verso luoghi più tranquilli. I due bambini ignorano le macchinine sparse sul tavolino e mi invitano a sfogliare, insieme a loro, l’album abbandonato sul tappeto da Alessandra. Come alunni diligenti, per ogni immagine, mi elencano i nomi delle persone ritratte. Le gite al mare si alternano con i battesimi e le cresime; alle foto delle attrazioni di Gardaland si susseguono quelle dei giochi in cortile.
È ormai ora di cena quando Emanuele e Francesco terminano di illustrarmi tutte le foto, non solo quelle dell’album; alle pareti della sala infatti, a fianco del Sacro Cuore di Gesù, campeggiano le immagini dei nonni e di altri parenti distanti geograficamente ma, non per questo, lontani.
Fronde di un albero che allunga rami e germogli, solido sulla radice di una grande famiglia in cui la parentela va oltre il vincolo di sangue, per estendersi ad un patto naturale di aiuto e di amore, che resiste alle fatiche e condivide le pagine felici, che tiene uniti due continenti ed innumerevoli storie di vita.