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N.02 Giugno 2019
Io e il Caravaggio: ho pregato per la sua anima
Due mesi, dodici ore al giorno in una stanza silenziosa sola con il San Francesco in meditazione di Caravaggio in una triangolazione emotiva che va oltre la tecnica di una professionista del restauro
Il lunedì mattina il museo è chiuso al pubblico. Per la restauratrice, però, si fa volentieri un’eccezione. Non c’è tempo: due mesi per chiudere il restauro, in tempo per la mostra al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e consegnare alla collezione civica di Cremona il quadro ripulito da quella patina del tempo che ha mischiato i colori in una bruma scura fino a farli sparire. «Il verde!» esclama ripensandoci Mariarita Signorini. Il verde che ha riportato a luce l’ulivo, «l’albero di San Francesco».
Il Caravaggio lo ha dipinto velocemente, in quello sfondo buttato quasi in fretta sulla tela. «Ho sentito la foga del suo dipingere con un tratto da impressionista».
Due mesi. Dodici ore al giorno: «Io, Caravaggio e San Francesco…». I sabati, le domeniche e i lunedì. E’ quando entri in un museo deserto che i quadri ti chiamano. «Perché c’è silenzio e la luce guida in quel punto dove devi guardare». La luce non manca nella saletta al piano terra. I finestroni che danno sul cortile illuminano i dettagli.
«Andavo a letto pensando al Caravaggio. Mangiavo e pensavo al Caravaggio…». In trentasette anni di carriera, le mani – sempre più esperte e sicure – della restauratrice sono passate sui capolavori degli Uffizi in quella sua continua ricerca della bellezza.
«Siamo dei privilegiati – sorride – Capita, a volte, che un’opera in restauro ti coinvolga emotivamente. Soprattutto con i ritratti. Con gli autoritratti, poi, è quasi immediato. Come una fascinazione: sembra che una mano ti attiri dentro la tela, come una porta temporale». Il San Francesco di Caravaggio che oggi si può ammirare nella sua autentica, struggente bellezza in una sala dedicata del Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona, è il Caravaggio. «Quello sguardo corrucciato, la fronte aggrottata e segnata…».
È come se Mariarita abbia appena raccolto dopo una risacca il messaggio lasciato in una bottiglia da un autore morto cinque secoli prima. «Morto disperato in riva al mare». Non avevano fatto in tempo a dirglielo: aveva appena ricevuto la grazia che interrompeva i suoi tormenti da fuggitivo.
«Cosa avrà da dirmi?». Nel silenzio del lavoro sui millimetri di tela sono i dettagli a svelare via viala storia. E a creare un rapporto di profonda intimità tra l’autore e la restauratrice. «La vera arte porta messaggi universali». Parla al cuore.
Mariarita scopriva gli scatti poetici, la concentrazione quasi esclusiva del Caravaggio per la figura del santo. Il suo volto, la sua angoscia riflessa nello specchio. La ricerca della pace.
Il Longhi lo aveva già notato: il volto del santo d’Assisi è quello del Merisi. Eppure è solo grazie al lavoro sapiente della restauratrice cremonese (tornata nella sua città d’origine sul richiamo di questa tela) a togliere gli ultimi resistenti dubbi sulla attribuzione al Caravaggio. «Non solo è autentico – può dire oggi – ma è un capolavoro. Non un Caravaggio, ma una delle sue opere più intense».
Per questo oggi è richiesta dalle mostre di mezzo mondo. Il San Francesco in meditazione rischia di trasformarsi in un’icona per la divulgazione, mentre Mariarita vorrebbe che sia lì quando un turista arriva nel piccolo Museo della sua città: «E’ come un vecchietto che ha bisogno di tante cure».
E lui, in cambio, si svela.
Eccolo qui, tra le mani, sotto gli infrarossi, come un paziente che si agita sul lettino del chirurgo. «No, non sono matta. Capita anche ad altri colleghi, per certi quadri. Si entra in assoluta empatia».
In questa stanza la restauratrice non è più sola. C’è un altro con lei. «Mi pone domande. Mi turba». Cosa avrà da dirmi? Francesco ritirato a La Verna nel giorno drammatico del dubbio, in cerca di una fede rinnovata di fronte al pericolo che l’Ordine che lui stesso ha creato abbandoni la strada tracciata daCristo («eccoli lì – altri dettagli ritrovati -, i tre nodi del saio sgualcito a ricordarlo: castità, povertà, obbedienza»); Caravaggio in fuga dalle accuse, dalla colpa, dal suo “lato oscuro”… Due anime, lo stesso volto, lo stesso tormento interiore. «Nel silenzio di quelle ore Caravaggio mi stava comunicando la sua angoscia». Chiedeva alla sua mente di comprenderla e alle sue mani di mostrarla. Oltre la tecnica imparata a scuola e praticata su decine di altri capolavori, il trasporto di un forte coinvolgimento emotivo. Vivo. E la professionista del restauro cade come in ginocchio: «Ho pregato. Ho pregato per Caravaggio. Perché la sua anima riesca a tornare a casa».