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N.02 Giugno 2019

RUBRICA

People of Nowhere

Al termine del tempo che avrete impiegato per leggere queste righe, 2 milioni di persone avranno digitato una richiesta su google; 2,5 milioni di nuovi post saranno stati pubblicati su facebook (oltre a 1,8 milioni di like), 72 ore di video saranno apparse su youtube, mentre su instagram saranno state pubblicate almeno 66.000 immagini (dati Omee). 

Un ritmo forsennato, che trasforma gli internauti in voraci “iconofagi”. La necessità di ingurgitare rapidamente ogni sorta di immagine spinge noi tutti che le guardiano a dare loro poco peso, presi – come siamo – dallo sforzo di resettare di continuo una memoria visiva che deve mantenersi libera per incorporare nuovi stimoli. Ma a volte, come scriveva Hans Belting, l’immagine si sottrae al flusso indistinto ed esercita un potere imprevisto; essa rimane viva nella mente, dove agisce come forza disturbante.

Con la sola forza 
di immagini che disturbano, 
il film si fa metafora 
di qualsiasi migrazione

Per quali ragioni, non è sempre facile a dirsi. Roland Barthes parlava al riguardo di “punctum”, di un particolare che colpisce i sensi di chi guarda, attivando circuiti di partecipazione emotiva. Il regista Wim Wenders, invece, sostiene che «ogni fotografia ne contiene una seconda, invisibile in un primo momento. Un “controcampo” o, se preferite un counter-shot, un “contro-scatto”. Questo ci fa ricordare che far fotografie si dice in inglese to shoot pictures. La macchina fotografica ha un “ritorno di fiamma”! L’occhio che guarda attraverso l’obiettivo si riflette nella propria foto. E lascia una debole, e a volte oscura, traccia del fotografo».

Parole importanti, pronunciate da Wenders a proposito di un fotografo, James Nachtwey, che da più di vent’anni documenta, alle diverse latitudini del mondo, l’orrore delle guerre e delle più gravi ingiustizie sociali. Ma che ben si adattano anche al lavoro di Lior Sperandeo, giovane reporter israeliano segnato nel 2015 da una esperienza in Nepal: «Sono arrivato alla città di Kathmandu, distrutta, ore dopo il terremoto, per seguire una squadra di soccorso in caso di catastrofe come parte di un documentario che stavo girando. Col passare del tempo, ho iniziato a spostare l’attenzione sulla popolazione locale di Kathmandu. Lontano dall’attenzione dei media, uomini, donne e bambini che avevano perso tutto lavoravano instancabilmente per ricomporre le loro vite. Più tempo passavo con i nepalesi, più iniziavo a vederli come eroi, piuttosto che vittime indifese. Nel mezzo della loro situazione catastrofica, hanno mostrato grande determinazione, coraggio e speranza». Dal Nepal lo sguardo di Sperandeo si è via via spostato a Mumbai, in Malawi, Nepal, Senegal, a documentare l’umanità di bambini, donne, uomini in ambienti ora colorati e vivaci, ora inospitali, che tuttavia non riescono a sopraffarli: “People of”, il titolo alla serie, è un atto deliberato di poetica. 

People of nowhere è un video realizzato alla fine del 2015, nell’isola di Lesbo, all’indomani dell’esplosione della crisi siriana: rigoroso ed essenziale, rifugge l’uso della parola, le tracce che possano documentare la specificità storica e geografica della transumanza di esseri umani. Così, con la sola forza di immagini che disturbano, il film si fa metafora di qualsiasi migrazione, di ogni spostamento, come delle angosce e delle speranze che lo accompagnano. Nowhere, il luogo impossibile, è quello dello sguardo di Sperandeo, sospeso tra l’urgenza dell’aiuto e il dovere della testimonianza.