fede
N.48 marzo 2024
La promessa quotidiana del vivere
Pensiamo che la fede sia solo una questione di chi crede che dopo la morte ci sia una vita eterna ad aspettarci.
Mi pare piuttosto che ogni giorno in cui apriamo gli occhi a qualcosa crediamo sempre. Perché dobbiamo, perché vogliamo.
Gli atti di fede hanno a che fare con la fiducia e la speranza, questioni che oggi non volano altissime tra gli algoritmi che crediamo di godere e che invece ci appiattiscono in mezzo a uno schermo.
Eppure ne facciamo in continuazione.
Diciamo di non credere, di non sperare. Perché in un mondo immerso nel disastro climatico e umanitario, credere non è più una forza ma una debolezza. Un fianco esposto inutilmente.
Ma vivere comporta una promessa quotidiana dalla quale è difficile scappare.
Nelle relazioni che teniamo in piedi, nei tentativi che facciamo, nei cambi e nelle volte in cui giuriamo che non ci speriamo più. Che non ci proviamo più.
E invece, una mattina di primavera e un pomeriggio d’inverno, con l’acqua contro i vetri o il vento tra i capelli, ci spunta un sorriso dove eravamo sicuri non avremmo più ceduto.
Perché anche quando non ci fidiamo più della vita, lei continua a fidarsi di noi.
Credere quando non si sa, vuol dire affidarsi.
E quando apriamo gli occhi al mattino, non sappiamo che cosa sarà di quel giorno. Chi saremo, quante trasformazioni invisIbili ci attraverseranno e cambieranno, se il passo che mettiamo in fila continuerà in scia o ci porterà da un’altra parte.
Ci fidiamo della strada.
Ci fidiamo di chi cammina con noi.
Ci fidiamo della mappa che la nostra pancia disegna.
Ci fidiamo di noi.
Ci fidiamo degli altri.
Ogni relazione con cui costruiamo i nostri arcipelaghi di affetti è costruita sulla fede. Sui fianchi scoperti, il salto nel vuoto, il bicchiere mezzo pieno.