pace

N.45 Dicembre 2023

rubriche

Vivere in pace? Il grido insopprimibile del cinema iraniano

"Il male non esiste" di Mohammad Rasoulof è una delle pellicole della "new wave" persiana che sfida l'oppressione attraverso l'arte cinematografica

Un vecchio film di Luigi Zampa, realizzato all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, reca l’invitante titolo di Vivere in pace. La trama racconta la vita degli abitanti di un paesino, appena sfiorato dagli echi della guerra, che mettono in atto strategie utili a preservare i propri beni e la serenità di una vita ordinaria fino a quando l’impossibile convivenza tra un soldato tedesco e uno americano, nascosto in un casolare perché ferito, determina un brusco cambiamento di scena che porta all’uccisione del generoso ospite per il suo gesto di umana accoglienza. Nel corso del film lo spettatore si accorge che il valore semantico della parola “pace”, dapprima associato all’idea di tranquillità e quieto vivere, si modifica in quello di impegno a creare le condizioni per renderla possibile, anche a costo di importanti perdite. La pedagogia neorealista opera tale cambiamento attraverso un linguaggio cinematografico diretto e coinvolgente per facilitare il riconoscimento con il presente del pubblico.

L’eredità di questo cinema, capace di impregnare il racconto di un significato etico, è ben presente – anche dal punto di vista stilistico – nel cinema iraniano contemporaneo. Esso è noto a livello internazionale per la produzione fiorente e la qualità artistica elevata delle opere di autori come Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf, Jafar Panahi, Asghar Farhadi e numerosi altri, riconosciuti come i protagonisti della cosiddetta “New Wave” (nuova ondata) del cinema persiano.

Un primato a cui si affianca quello, purtroppo di segno ben più grave, del numero di autori e artisti incarcerati per motivi politici: da Hossein Rajabian a Jafar Panahi, da Mostafa Alahmad a Mohammad Rasoulof oltre a numerose donne registe, produttrici e attrici, tutti detenuti per la solidarietà dimostrata a connazionali perseguitati oppure per il contenuto dei loro film, giudicato antigovernativo dalle autorità[1].

Questi film, condannati all’invisibilità in patria, riscuotono invece una forte attenzione da parte dei principali festival cinematografici soprattutto europei come Cannes, Venezia e Berlino, dove conseguono numerosi premi, per quanto non sempre godano di una distribuzione nelle sale, o di una significativa attenzione presso il largo pubblico. Ma la loro importanza è notevole, e non solo per i meriti artistici, come ha sottolineato Mohsen Makhmalbaf in una lettera inviata agli esponenti dell’Anac (Associazione Nazionale Autori di Cinema) radunatisi nel gennaio 2023 al Nuovo Cinema Aquila di Roma per una manifestazione solidarietà con i colleghi iraniani, che spiega come il cinema detenga un ruolo cruciale nel risvegliare le coscienze.

«Il basilare diritto umano alla libertà,
che è stato rivendicato e gridato nelle strade dell’Iran,
non è un desiderio nuovo:
lo abbiamo mostrato negli ultimi 40 anni
attraverso i film»

«Contro questa egemonia si è affermato un nuovo corso del cinema iraniano, per mostrare la realtà del nostro Paese e comunicare il sogno della libertà, in particolare la libertà delle donne. Il basilare diritto umano alla libertà, a partire dalla scelta del proprio stile di vita, che è stato rivendicato e gridato nelle strade dell’Iran, non è un desiderio nuovo: lo abbiamo mostrato negli ultimi 40 anni, attraverso i film iraniani, per contrastare la narrazione ufficiale del governo iraniano. Dal punto di vista sociologico, ogni narrazione alternativa, che si oppone a quella egemone, di solito nasce da piccoli gruppi di persone, per poi diventare della maggioranza. Purtroppo, possono volerci generazioni prima che questo sogno si realizzi»[2].

Nel corso della manifestazione è stato proiettato Il male non esiste, un film di Mohammad Rasoulof del 2020, premiato con l’Orso d’oro al festival di Berlino, incentrato su quattro storie di persone comuni accomunate dalla necessità di dover fare i conti, a vario titolo, con la morte di stato. 

Nei diversi racconti lo spettatore si sente via via coinvolto, ora nella quotidianità di una giornata trascorsa dal protagonista tra le incombenze familiari – come fare la spesa, accudire la madre anziana o mangiare la pizza con moglie e figlia – e di una notte che riserva ben altri scenari, o ancora nel più limpido e giovanile sogno amoroso, ora nei dilemmi più angosciosi e devastanti che riguardano la libertà e il diritto di decidere o addirittura sopprimere la vita altrui. Il ritratto di un Paese, dei suoi usi e costumi, degli obblighi e dei divieti, si compone poco a poco, quasi in secondo piano e in sordina, suscitando una complicità lieve e quasi suadente con lo spettatore che rimane avvolto e conquistato dal racconto, salvo ricevere dei bruschi contraccolpi, in alcuni momenti decisivi e rivelativi, fanno appello direttamente alla sua coscienza.

Ed è qui che il film agisce, proprio come nel film di Zampa, mostrando come l’altra faccia della pace, ossia della quiete (apparente), sia quella dell’impegno contro la violenza e la tirannia, contro la negazione della libertà e dei diritti umani, il rispetto dei quali è la precondizione perché si creino condizioni di pace.

Continua Makhmalbaf: «Solo negli ultimi quattro mesi, in Iran più di 20mila persone sono state arrestate e torturate, più di 5mila sono state ferite, più di 500 persone sono state uccise, tra cui 70 bambini, e più di 200 sono state rese cieche. Al momento, circa 150 artisti sono a processo, in fasi diverse del procedimento giudiziario: celebrità, uomini di sport, artisti di vario tipo, hanno il divieto di viaggiare all’estero, così che non possano diffondere la voce del popolo iraniano nel mondo».

Sarà più chiaro, a chi avrà la pazienza di guardare Il male non esiste, che il desiderio di Vivere in pace  – dove pace, come si diceva, non è quieto vivere ma l’endiadi di giustizia – è un traguardo faticosissimo e forse impossibile, ma è altresì un’insopprimibile esigenza umana: l’unica che ci rende pienamente persone-persone, e non persone-mostri.

In Iran, come a casa nostra e in tutti i Paesi del mondo.


[1] Cfr. https://cinecittanews.it/da-alidoosti-a-panahi-la-resistenza-dei-cineasti-iraniani/

[2] https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2023/01/25/news/se_il_cinema_italiano_si_mobilita_per_i_registi_iraniani_in_carcere-12602944/