frontiere
N.12 Giugno 2020
Porte aperte sul cambiamento
La linea che segna la diversità.
Il confine che corre
tra due colori appaiati;
l’orizzonte che divide
terra e acqua;
la buccia di un frutto
che anticipa la polpa.
Un tratto sottile tra due elementi,
la sfumatura che segna
da che parte penderà la bilancia.
La frontiera come porta sull’altro,
un tratto di diversità
come spia di interesse,
di indagine,
di apertura al mondo.
Varcare i confini
di un universo
per approdare
in galassie sconosciute
di idee,
tradizioni,
punti di vista,
storie e desideri.
Un’esplorazione
che richiede l’umiltà
di sapersi piccoli
davanti a chi e cosa
non conosciamo,
e la voglia di spogliarsi
di qualsiasi pregiudizio.
Per poter davvero scoprire
e non semplicemente
indovinare
a proprio sentimento.
Di culture,
di idee,
di opinioni.
Un varco potentissimo
che allarga la nostra vita
e ci fa entrare
di ricette,
che incontriamo
sulla nostra strada,
nei mondi altrui,
nelle bellezze
in quella delle persone
e nelle tragedie
che non toccano
il nostro giardino
ma che riguardano tutti
gli umani.
Ogni volta che scegliamo
di leggere una storia,
approfondire un fatto,
aprire la mano
a chi ci sta allungando
un frammento di sé,
stiamo facendo
una piccola rivoluzione.
Scegliamo di uscire da noi,
andare nel mondo
senza protezioni
per provare a capire
chi siamo noi
mentre ci immergiamo
negli altri.
I limiti che ingigantiamo.
Tutto quello
che facciamo fatica
a deglutire,
la minestra
che non ci va
proprio più di mangiare.
Vogliamo cambiare,
ma continuiamo
a bruciare
in lamenti inutili
le energie
che servirebbero
a cambiare.
Balbettii di comodo
pur di non rovesciare il tavolo.
Sperimentare
è sempre rischioso.
Prendersi
le proprie responsabilità
più faticoso
di piangersi addosso.
Non dipende da me,
è tutto sbagliato,
cosa posso farci,
adesso è così.
Minuti, giorni, settimane
che si impilano
dentro librerie vuote
di volontà e cambiamenti.
Spostare fuori
la responsabilità
di ciò che scegliamo
di non fare
è un gioco vecchio
quanto il mondo,
e pericolosissimo.
Quando lancio
lontano da me
ogni responsabilità
di azione,
ho già scelto
di abbracciare
la consuetudine,
l’errore,
l’elemento che non funziona
senza nemmeno riconoscerlo.
La frontiera
che rimane limite.
Il passo
che non abbiamo mai
osato fare.
E poi, d’improvviso,
vediamo una strada.
L’intuizione
che ci sia qualcosa
di diverso,
un sentiero nascosto
che si può tentare.
La frontiera
della quotidianità
come spinta
a lanciare la freccia
un po’ più in là,
oltre le paure
e le scuse
che ci salvano
dal rischio.
Un muro
da scavalcare
che trasforma la fatica
in strumento
per cercare di vedere
oltre la siepe.
Nei piedi
calziamo
il coraggio
e la paura;
nel cuore
la volontà
di non arrendersi
al noto,
agli standard.
Per spostare
le nostre Colonne d’Ercole
sempre un po’ più in là.
Per crescere,
e quindi per vivere
autenticamente.
Quelle che mettiamo
per difenderci
dalle schegge
che possono farci male.
La frontiera benefica
che ci salva
dalle brutture esterne,
dai nostri mostri
e dai ticchettii inceppati.
La catena di attenzioni
che ci riserviamo
per ripararci
dalle correnti impetuose.
La tenda
dentro la quale ripararsi
nel deserto.
Le braccia-rifugio
che riequilibrano il mondo,
e ci sembra che tutto
abbia un po’ più senso.
Le staccionate
di parole,
sorrisi,
confronti
che chi ci vuole bene
ci regala,
come un balsamo
sui graffi
che a volte ci infliggiamo,
a volte subiamo.
I confini
disegnati dall’uomo
per spartirsi terre
su cui nemmeno
ha mai messo piede,
predatore di ricchezze
e distruttore di civiltà.
Leggi che si inventano
la legalità
degli esseri umani,
decidendo chi ha diritto
di desiderare
una vita migliore
e chi invece
deve accontentarsi
di morire di fame,
di violenza
o di ignoranza.
La frontiera
come nascondiglio
e gabbia dorata
di una minoranza
che si è nei secoli
arrogata il diritto
di stabilire come
e con quanta libertà
il resto della vita
su questa terra
possa sopravvivere.
L’arroganza
di inventare
limiti invalicabili per gli altri,
mantenendo
una libertà smisurata
nel calpestare a piacere
ciò che non si riconosce
degno di esistenza.
La frontiera
come distanza
che mettiamo
tra i privilegiati
e i dimenticati,
il paraocchi c
he teniamo ben saldo
per non vedere
cosa significhi
vivere
nella parte di mondo
spogliata
del diritto al desiderio,
all’emancipazione,
all’uguaglianza.
E se ancora si marcia per rivendicare diritti che dovrebbero essere ovvi quanto lo è l’esistenza di ogni singolo essere umano, non possiamo non urlare che le uniche frontiere necessarie sono quelle che si possono superare.