sbagli

N.43 ottobre 2023

mestieri

Si firma la pace davanti a un buon Martini

Roberto racconta come nasce un drink e come sopravvivere: «C'è un margine d'errore infinito in un bicchiere». Basta una goccia per creare uno "sbagliato"

Roberto scivola rapido oltre il bancone del bar. Sposta un paio di bottiglie, impugna lo shaker, mescola alcuni liquori, versa il ghiaccio nel bicchiere facendo tintinnare il vetro. I gesti sono fluidi, naturali come quelli di un musicista che tra i suoni del locale compone la propria armonia. Il comptoir della “Caffetteria al 41” di Cremona è un palcoscenico in miniatura, dove il barman mette alla prova destrezza e palato per sublimare in un bicchiere desideri e gusti del cliente, spettatore attento, pronto a lasciarsi stupire.

«Dal palco al bancone non c’è questa grande differenza – racconta – Mi è sempre piaciuto il contatto con il pubblico, anche se quando sei bambino rischia di schiacciarti». Ricorda le prime esibizioni in famiglia, quando nascosto dalla batteria imparava ad affrontare il mondo. «Siamo sempre stati una famiglia di artisti, a partire dai miei genitori. La nostra casa era un porto di mare – racconta – frequentato da musicisti, cuochi, gente che viveva il mondo della notte». L’angolo bar del salotto diventa così un piccolo palco privato, per giocare e sperimentare.

A sedici anni inizia a tentare i primi miscugli con ciò che trova in dispensa: «Madornali errori gustativi – ricorda in una smorfia divertita – ma ho capito subito di essere al mio posto, di aver trovato il luogo in cui potermi esprimere». Così accade alle prime feste delle scuole superiori, che lo portano fino alla “Milano da bere”. La sua prima esperienza è in uno storico locale della città: «Lì ho capito che era la mia strada: ho iniziato a studiare, a farmi spazio, facendo margine alla fantasia e ai desideri. In quegli anni ho imparato tanto, anche sbagliando, perché solo così arrivi a fare le cose migliori».

L’esperienza e la volontà di mettersi alla prova lo riportano a Cremona, dove prende forma la scommessa di gestire un locale tutto suo. Un salto nel vuoto, ma – come insegnano i cocktail – non c’è conquista senza rischio. «Nei drink, uno più uno non è mai uguale a due», afferma il titolare. «C’è un margine di errore infinito in un bicchiere. Nonostante dosatori e ricettari accurati, basta una minima variazione d’ingrediente o di quantità per cambiare nome e sapore ad un cocktail. Potremmo considerarlo un errore, ma non tutti i mali vengono per nuocere». Non a caso, il “Negroni sbagliato” è divenuto un must a livello mondiale. «È nato in un bar di Milano – racconta Roberto – perché il barista, distratto da una cliente, ha preso la bottiglia di prosecco al posto del gin».

Così è capitato anche a Roberto, quando chiacchierando con un amico ha scambiato il vino con una birra rossa: «Ho risbagliato lo sbagliato! – ride – un errore madornale, che però è piaciuto… E ha dato vita al “Negroni maltato”, che ora è una nostra specialità».

Spesso è solo questione di trovare il giusto mix, senza dimenticare un pizzico d’improvvisazione.  «I cocktail derivano dal mondo galenico – spiega – alcuni tra i primi ingredienti erano tinture e rimedi curativi. Per questo oggi mi piace pensare di essere un “farmacista della felicità”: il mio compito è far stare bene le persone che siedono al di là del bancone. Può succedere di tutto al tavolo di un bar: anche i trattati di pace sono stati firmati di fronte a un buon Martini».