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N.02 Giugno 2019

ARTI PERFORMATIVE

Un alter ego con le ali che genera contatti

Francesca Telli racconta Totem un laboratorio di danza contemporanea realizzato con un'artista giapponese «I ragazzi conoscono se stessi e nella performance si riconoscono in relazione con lo spazio e con gli altri»

foto di Paolo Campiglio

«Contemporanea. Perché contemporaneamente succedono più cose». Nella semplice constatazione di una bimba di sette anni, la più piccola del laboratorio, la sintesi più efficace della performance che ha completato la prima parte di Totem.

Un gruppo di ragazzini, adolescenti per lo più, tra i dieci e i quindici anni si muove in modo insolito tra i mosaici e i busti del Museo Archeologico di Cremona. Un bruco ondeggia. Il volto di un giovane performer immobile diventa una farfalla colorata. Lo scambio di sguardi e la trama dei contatti entra in relazione con l’ambiente circostante e con il pubblico incuriosito. «Abbiamo scelto un luogo con una storia per creare un legame tra figure antiche e l’arte micro-pop di Tomoko Nagao». Spiega Francesca Telli, danzatrice e designer, ideatrice con Marta Melucci del progetto.

La disegnatrice giapponese è la partner visuale per il progetto che continuerà nella sua seconda parte durante il prossimo festival delle arti performative Movo che si terrà a luglio a Teatro Danza. Le sue figure ispirate allo stile manga, così vicine ai linguaggi dei giovani, sono l’ambiente iconografico in cui i ragazzi si muovono. Sono occhi e antenne, braccia e ali, parti di creature che i giovanissimi danzatori scelgono per dipingere un proprio alter ego. «La relazione che si esprime nella performance – spiega Francesca Telli – si esprime nel contatto con gli altri e con lo spazio. Ma parte dalla ricerca su se stessi».

Un obiettivo ambizioso e complesso per un laboratorio che si rivolge a una fascia d’età in cui corpo e personalità affrontano un cambiamento profondo: «Con Totem, tra arti visive e psicologia, i ragazzi letteralmente ritagliano, dipingono e danno forma a un proprio alter ego fantastico che nella danza non li nasconde, ma li aiuta a definirsi come persone in relazione».

Con se stessi e con gli altri.

Nelle mani che si intrecciano e nelle posizioni che si scambiano un gioco di dualità che nella danza trova manifestazione: primitivo ed evoluto, naturale e artificiale, immaginario e reale. «La ricerca su noi stessi – osserva Francesca – è un confronto continuo: da una parte ci sono io con una maschera, dall’altra io “nudo”».

L’arte è da sempre un canale privilegiato per dare espressione a questa relazione che trova un’armonia soltanto affrontando le inevitabili tensioni. «Quello che non mi piace – confida la coreografa cremonese – è il timore di sbagliare. Ballando mi mostro, e l’errore diventa momento creativo». Anche i difetti trovano spazio, sono prima accettati e poi messi in gioco in un legame diretto: «Durante la performance ciò che accade modifica la scena, cambia il luogo in cui ci muoviamo e genera reazioni negli altri che sono lì con me».

Non è un copione da ripetere ma è l’attesa continua di cose impreviste. Qualcos’altro succederà.

Con le loro ali di farfalla e le antenne da bruco i ragazzi escono allo scoperto e condividono la loro energia creativa: «Chi lavora con loro – spiega ancora Francesca – deve trovare l’equilibrio tra la regola e la libertà di espressione. È questo lo sforzo educativo che ci viene richiesto per portarli fuori da quei mondi chiusi che spesso rischiano di intrappolarli».

Ci sono maschere che nascondono, perché immobilizzano dentro un ruolo che si fissa. Altre invece cambiano la prospettiva con cui conosciamo il mondo e lo percorriamo: «È nel pensiero che una performance trova valore: improvvisamente ti senti consapevole di te stesso. Ti muovi con uno scopo. E lo comunichi».