sfide
N.27 Gennaio 2022
Efrem Morelli, c’è sempre una bracciata oltre la sconfitta
I dieci centesimi che fanno la differenza nella testa e sulle spalle del campione paralimpico
Ore e ore a guardare la linea nera disegnata sul fondo della piscina. Giorni e giorni ad ascoltare il rumore delle proprie bracciate che infrangono la superficie dell’acqua. Mesi di preparazione passati a ripetere lo stesso gesto per renderlo più veloce, più efficace, più potente. Tutto questo per arrivare sul podio della gara più importante di tutte. Una gara che, nel caso di Efrem Morelli, dura 50 secondi.
E poi? E poi bastano 10 decimi per mancare l’obiettivo.
«Il quarto posto alle Paralimpiadi di Tokyo per me è stato un evento molto negativo, il tempo che ho realizzato poteva bastare per andare a podio… invece non è bastato e non abbiamo raggiunto i risultati attesi» racconta l’atleta cremasco con gli occhi serrati, lo sguardo lontano.
È strano l’uso del verbo «abbiamo» in uno sport che vede nell’individualità la sua forza e la sua dannazione. «Parlo al plurale perché attorno al nuotatore ci sono tante persone, uno staff che lavora per permettergli di andare in gara nella migliore delle condizioni possibile». Un lavoro duro, intenso, che coinvolge numerose figure professionali. Però non è bastato, come mai?
«Le limitazioni imposte dal Covid mi hanno causato un enorme danno a livello sportivo; durante il primo lockdown sono stato lontano dalla piscina per tre mesi e, al secondo, sono riuscito ad allenarmi solo tra mille difficoltà».
Proviamo a replicare che, vista la portata pandemica del virus, sarà stato un ostacolo per tutti gli atleti.
Efrem segue il filo del proprio pensiero mettendo, come le bracciate dello stile libero, una frase dietro l’altra senza perdersi o distrarsi. «Il periodo del Covid non è stato uguale per tutti, la Lombardia era completamente chiusa, in altre nazioni non ci sono state così tante restrizioni e gli atleti hanno potuto allenarsi. A quarant’anni stare fermo per tre mesi è devastante. La parte più difficile da esercitare è il ritmo gara, proprio perché è legato alla prestazione dell’atleta durante le competizioni. Sono arrivato a Tokyo con troppe poche gare alle spalle».
Spalle sicuramente larghe, abituate a sopportare notevoli carichi non solo sportivi e lavorativi ma anche psicologici. Ma come ci si risolleva dopo essere precipitati? Quante bracciate ci vogliono? Quanto fiato occorre avere per riuscire a tornare a galla?
«Non è facile – garantisce Efrem, socchiudendo per un attimo la porta gelosamente chiusa della propria intimità – soprattutto a causa delle aspettative della gente. Per chi sta fuori dalla piscina se arrivi quarto alle Paralimpiadi non conti nulla, vali come l’ultimo classificato della gara di paese».
Per il nuotatore cremasco il lavoro di ricostruzione è iniziato dalla testa, grazie al supporto del mental coach, l’allenatore della mente, «una figura molto importante nel mondo dello sport e che negli ultimi anni ha acquistato il giusto peso. Io sono seguito ormai da una decina d’anni e ne traggo parecchio beneficio». Un supporto fondamentale soprattutto in un momento di forte delusione, tanto intensa da portare l’atleta, nel primo mese di rientro dalle Paralimpiadi, a declinare numerose offerte di partecipazione ad eventi e interviste perché «non volevo rispondere alle domande che mi avrebbero posto».
Oggi sta faticosamente ricostruendo la propria sicurezza interiore «ripercorrendo gli ultimi due anni per capire cosa è andato storto, per avere migliore consapevolezza di quello che è stato» e, soprattutto, per ripartire più forte e determinato di prima. Parigi 2024 infatti è dietro l’angolo «e io sono ancora arrabbiato».
«Mi sto preparando al meglio – prosegue determinato – alla prossima Paralimpiade chiuderò la carriera e voglio fare bene!».
Il fisico, nonostante l’età, lavora ancora a pieno ritmo, ma è chiara in Efrem la consapevolezza che «sono gli ultimi anni» di attività a livello agonistico. Questo limite evidente sarà «la forza in più» su cui potrà contare il nuotatore in forza alla Canottieri Baldesio di Cremona: «Sono molto motivato, ho sempre dato tutto a questo sport e lo farò fino alla fine. Quella di Parigi sarebbe la quinta Paralimpiade a cui partecipo, un record non da tutti».
Davanti a tanta determinazione risuonano in tutta la loro spietata verità le parole del mitico allenatore Don Talbot quando affermava: «Più duri sono i limiti, più gente smette di nuotare… e se ne va a fare altre cose»
Efrem, con la chiarezza e l’immediatezza che lo contraddistinguono conferma: «Per far questo sport serve una motivazione forte perché, rispetto ad altre attività, c’è più monotonia, la vasca è sempre la stessa, la corsia è sempre uguale, ci sono pochi elementi che variano. Per queste ragioni devi essere molto motivato, avere obbiettivi molto chiari nella testa… per me, il traguardo, è Parigi».
Ma non c’è nulla da salvare di Tokyo? È stata una esperienza fallimentare anche per la squadra? Lo sguardo di Efrem si addolcisce, per qualche secondo c’è spazio per il calore e la soddisfazione: «Quella è stata la mia salvezza, come capitano posso affermare che la squadra è andata veramente bene. C’era un bel clima, nonostante le restrizioni dovute al Covid. Il lavoro parte da lontano, dal creare momenti sereni e piacevoli sia in gara che nei ritiri. Possiamo dire che Tokyo è stata la chiusura perfetta di un percorso che parte dalla vittoria ai mondiali nel 2019».
Anche Efrem arrivava con importanti risultati alle spalle, come l’oro nei 50m rana a Londra nel 2019 e le tre medaglie conquistate agli Europei di Funchal (4×50 misti, 50 rana-SB3, 150 misti-SM4), il sensazionale record del mondo nei 50 rana del 2019. «Ecco perché sarei dovuto arrivare nei primi…». Nonostante l’amarezza, l’atleta ripercorre ancora quei fatidici 50 metri: «Gli altri hanno conservato le energia per la finale, invece io ho tirato – dominando le semifinali, unico sotto i 50’’- perché ero alla ricerca delle conferme sulle mie capacità che non sono arrivate durante l’anno. Il tempo finale era il mio tempo (49.42), sarebbe potuto bastare per andare a podio, ma non è stato così».
L’intervista è quasi terminata, Efrem si avvicina al dipendente del suo autolavaggio, gli fa notare un cliente in difficoltà con le pompe, poi risponde all’ultima domanda. «La cosa più pesante nella mia routine di atleta? Sicuramente il lavoro. Ho un autolavaggio, dei distributori automatici, una attività di famiglia. Compresi gli allenamenti, tutti i giorni sono in ballo per almeno 10-12 ore. Ieri ero in piscina alle 6.30, poi sono andato in palestra, dalle 14 a dopo le 19 ero all’autolavaggio». Lavorare e mantenere lo standard qualitativo di un atleta professionista è forse la sfida maggiore, più di Tokyo e Parigi. «Tra piscina e palestra svolgo otto allenamenti settimanali a devo sostenermi in qualche modo, mi devo garantire un futuro oltre al nuoto, non sono come Paltrinieri che con i suoi guadagni può stare tranquillo…».
Negli occhi e nella testa quella la serena e spietata determinazione con cui, a potenti bracciate, si è risollevato dagli abissi della vita. Vent’anni fa è risalito alla superficie, dopo che un grave incidente durante una gara di motocross l’aveva reso paraplegico. Oggi, con la stessa forza, volge lo sguardo a Parigi 2024, senza dimenticare la finale di Tokyo. In fondo solo “solo” dieci centesimi di secondo.