sfide
N.27 Gennaio 2022
Metter su famiglia, oggi. Alla prova del “per sempre”
La quotidianità che incalza, le crisi e gli aiuti, le statistiche contrarie, la lotta e le preghiere: ecco perché accettare la sfida del matrimonio e giocare la partita... uniti
L’altra sera eravamo tutti sul divano a guardare un cartone, “Coco”, suggeritoci da alcuni amici. Tra una poppata di Anna Chiara, un capriccio di Bianca e l’esuberanza di Marco seguire il filo del racconto è stato un mezzo miracolo. Non ricordo molto, ho perso alcuni passaggi, ma il succo è che nel film ricorrono spesso il tema della morte, della famiglia e del desiderio. Tanto che ad un certo punto proprio Marco, il nostro primo figlio, ha cominciato a chiedermi: «Mamma, ma tu sarai viva per sempre vero?».
Quasi volesse rassicurarsi che non lo lasceremo mai. E lì, di fronte a questa domanda così grande, il cuore mi è sobbalzato. Perché io e Andrea, mio marito, per questi figli siamo tutto (adesso) ma la sfida è accompagnarli nel loro diventare grandi, consegnando loro una certezza: neanche la morte deve intimorirci, se viviamo all’altezza dei desideri del nostro cuore.
E questa è la sfida di mettere su famiglia.
Che è fatta, certo, di una quotidianità stringente: le bollette e il mutuo da pagare, il lavoro incerto e sempre sul filo del rasoio, i litigi, le difficoltà, le promesse non mantenute, la mancanza di sonno, le preoccupazioni per l’andamento a scuola… Talvolta, pensate, ci si mettono di mezzo pure delle pandemie mondiali.
Quando abbiamo deciso di sposarci non sapevamo cosa ci attendesse: quella sera di giugno, a Lisbona, mentre dicevo di sì ad Andrea e il cuore mi esplodeva di gioia, non sapevo niente di come sarebbe stata la strada insieme. Sarebbe durata? Boh. E se lui avesse trovato una più bella di me? E se non fossero arrivati dei figli? E se la scelta sul dove andare ad abitare fosse stata sbagliata? Tutti quei se venivano spazzati via solo guardandoci indietro. Entrambi sapevamo che il nostro sì nasceva dall’attesa di tutti quegli anni: l’attesa di incontrare qualcuno che ci volesse bene e con il quale giocare la scommessa più grande di tutte, era stata necessaria. Dolorosa e necessaria.
Senza la solitudine, i pianti, il travaglio interiore, le mattate adolescenziali (e anche un po’ post adolescenziali) fatte per innamoramenti discutibili, la preghiera (a volte speranzosa a volte al limite della bestemmia) non ci saremmo mai incontrati e riconosciuti.
Abbiamo scelto di sposarci davanti a Dio in un momento storico in cui se va bene la gente intorno ti prende per il culo per questo, o nel migliore dei casi ti elenca quanti casi di tradimento-divorzio-separazione-fallimenti ci circondano. Non che ce ne fosse bisogno, del resto: avevamo visto tanti matrimoni andare a gambe all’aria per svariati motivi. Avevamo visto che era sempre una mancanza di stima e fiducia che logorava e uccideva.
Le statistiche non ci erano favorevoli, ma era un buon motivo per non giocarsi la partita?
Così sei anni fa il nostro cammino è iniziato e da lì abbiamo pregato e lottato sempre, per l’unità della nostra famiglia.
Perché oggi, nel 2022, è l’unità la sfida vera.
E cosa tiene uniti quando il lavoro manca e uno dei due si sente un po’ inutile o fallito, quando il nostro essere genitori è sempre precario perché ogni sera l’esame di coscienza è impietoso? Cosa regge l’urto del tempo quando la barba (sua) imbianca, il giro vita (mio) si allarga e lo slancio dell’innamoramento iniziale (quello delle farfalle nello stomaco dei primi mesi… sapete di cosa parlo) sembra un ricordo lontano? È facile sentirsi “divisi”: c’è una versione di noi sul lavoro, una a casa, una con gli amici. Ma così non veniamo mai fuori per come siamo davvero.
Nel nostro matrimonio la sfida non è stata dunque quella di non litigare mai o di fare sempre la cosa giusta, ma quella di restare uniti e di chiedere sempre quando ci sembrava di essere a un vicolo cieco. Abbiamo imparato a chiedere aiuto agli amici, ai genitori, ai fratelli. Ci siamo appoggiati a chi e’ più avanti nel cammino: da famiglie con figli più grandi, alle preghiere delle suore, passando per gli amici sacerdoti.
Se uno non sa, chiede. E così la nostra famiglia è cresciuta. E il nostro amore sta imparando a diventare non sentimentale, non istintivo, perfino capace di sopravvivere alle sfuriate per il disordine in casa, le lasagne bruciate, l’educazione dei figli. Un amore che appoggia – e lo dico senza vergogna – “sul Grande Terzo” del nostro matrimonio (e in questo caso sì, “il triangolo l’avevamo considerato”): quel buon Dio che dai nostri primi passi di bambini ci ha guidati, attraverso i volti dei nostri genitori e fratelli, dei nostri amici. Guardo Marco negli occhi e non gli posso mentire: «Sì, tesoro, la mamma e il papà sono vivi per sempre».