luce

N.16 Dicembre 2020

TESTIMONI

Oltre il buco nero dell’amnesia

A causa di un incidente il dottor Piccioni ha perso 12 anni di ricordi «Ma a volte, nella vita, la luce appare dove meno te la aspetti»

foto di Steven Ramon on Unsplah

«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo»


Così inizia la Genesi.
Diventa fin troppo facile paragonare i primi versi del Libro dei Libri alla nostra vita fisica e spirituale.
Veniamo generati e cresciamo al buio, all’interno del grembo materno e nasciamo alla luce.
E cosa dire della cerimonia della notte di Pasqua, quando dal braciere sul sagrato della chiesa si accendono le candele con cui si entra in una chiesa buia e si benedice l’acqua battesimale per permettere a noi cristiani di uscire col battesimo dalle tenebre del peccato?
La stessa esperienza di malattia è una continua alternanza tra buio e luce.
O perlomeno.
A me è andata esattamente così.
Dopo poche ore di coma, causato da un incidente in auto, mi sono risvegliato su una barella del Pronto Soccorso e la prima cosa che ho visto è stata la luce della Emergerncy Room sopra di me.
Dal buio del coma alla luce del risveglio.
Il trauma cranico mi aveva causato 12 anni di amnesia che ho chiamato “Buco nero” ed ho lottato e sperato per anni di recuperare qualche ricordo che facesse un po’ di luce nel mio passato.
Buio e luce. Amnesia e ricordi. Giorno e notte.
Perché il mio trauma cranico mi aveva invertito i normali ritmi circadiani.
Sveglio con il buio ed addormentato con la luce.
L’inversione della logica. L’inversione della natura.
Fino a pensare che fosse meglio farla finita e scegliere il buio.
E chi pensa di suicidarsi non ha più fiducia in nulla.
Non si fida più della luce.
Non ha più fede in se stesso.
Non ha più fede in Dio.

«Mentre cercavo una pistola,
mi arriva tra le mani un vecchio libro»

Perché scopri che i tuoi bambini non ci sono più e sono diventati due adulti che non riconosci.
Perché ti dicono che sei stato al funerale di tua madre mentre tu te la ricordi viva che ti sorride e ti abbraccia.
Perché muore il tuo padre spirituale e non potrà più restituirti le confessioni che gli avevi fatto.
Perché ti muore tuo padre, l’unico aggancio con il tuo bel mondo passato.
Perché ti dicono che sei un invalido, un disabile, un uomo finito.
Ma a volte, nella vita, la luce appare dove meno te la aspetti.
E a me, mentre cercavo una pistola, arriva tra le mani un vecchio libro.
Uomini e Topi
di John Steinbeck, in cui un amico uccide il suo migliore amico per sottrarlo al linciaggio.
Ed a fondo pagina c’è la nota di un giovane adolescente che, con grafia indignata, scrive che “gli amici non uccidono gli amici. Mai”
Quella frase è stata la mia scintilla. La mia candela di Pasqua. La mia nuova luce.
Mi ha ricordato che c’erano un sacco di persone che mi potevano aiutare solo che io avessi voluto.
Perché io valevo anche se con una grave disabilità.
E mi ha ricordato anche che c’era Lui, con il quale non sarebbe stato male tornare a parlarci.
E quel giorno, anche per me, “la luce fu”
Ma non la luce che vince sul buio.
È l’equilibrio tra i due, che fa la differenza.
Io lo posso testimoniare. Anzi l’ho testimoniato.
Nei libri che ho scritto e nella trasposizione televisiva di quei libri.
Nella vita di tutti i giorni e nelle interviste.
Ed ho capito un paio di cose importanti.
Che con il buio ci puoi convivere, se lo accetti come parte di te.
E se davvero riesci ad accettare che tu sei anche buio, allora la tua luce splenderà come una stella.
Brillante , unica, sorridente.

Meno dodici

L’ultimo giorno di maggio del 2013, Pierdante Piccioni, primario all’ospedale di Lodi, finisce fuori strada con la macchina sulla tangenziale di Pavia. Lo ricoverano in coma, ma quando si risveglia, poche ore dopo, il suo ultimo ricordo è il momento in cui sta uscendo dalla scuola dove ha appena accompagnato il figlio Tommaso, nel giorno dell’ottavo compleanno. Precisamente il 25 ottobre 2001, dodici anni prima della realtà che sta vivendo. A causa di una lesione alla corteccia cerebrale, dodici anni della sua vita sono stati inghiottiti in un buco nero, riportandolo indietro nel tempo, quando in Italia c’era la lira e la crisi economica pareva lontana, persino impensabile, mentre la rivoluzione digitale che sta cambiando il mondo era appena agli albori e nessuno parlava di post su Facebook o video su YouTube. All’improvviso Pierdante Piccioni è diventato un alieno, incapace di riconoscere le sue cose, le sue abitudini, addirittura se stesso in quel volto invecchiato che gli restituisce lo specchio e in cui a stento ritrova la propria immagine. Attorno a lui tutto è cambiato: i figli non sono più due bambini di otto e undici anni, ma due maschi adulti, con la barba e gli esami all’università, mentre la moglie sembra un’altra donna, con le rughe e i capelli corti che hanno cambiato colore. Come potrà riprendersi la propria vita? Nelle pagine del suo diario, in questo viaggio incredibile fra due esistenze parallele che non riuscirà mai a riallacciare completamente, Piccioni racconta non solo l’angoscia di un uomo costretto a guardare la realtà con gli occhi di un estraneo, come fosse un marziano, ma la lunga e faticosa riconquista della propria identità, delle relazioni con i familiari e con i colleghi, di tutto il tempo perduto che non riavrà più indietro.