ombre

N.34 Ottobre 2022

VITE

Filippo: il calcio non è tutto: c’è luce lontano dai riflettori

Era una giovane promessa alla soglia del salto tra i professionisti. Poi due infortuni e l'addio al grande sogno. Ma per Filippo Forni non è finita lì: valori sani e maturità lo hanno aiutato a trovare una strada nuova. Senza rimpianti

Una bella immagine di Filippo Forni dal suo profilo Instagram

Luglio 2016. La luce del sogno

Il trampolino di lancio verso il sogno è una telefonata nel cuore delle vacanze estive. Filippo ha 17 anni, ha concluso da poco la terza liceo ed è una brillante promessa degli Allievi della Cremonese.
«Accadde tutto all’improvviso. Era l’inizio dell’estate e mi trovavo a casa, a Castiglione d’Adda, quando il responsabile del settore giovanile mi contattò per annunciarmi che da lì a poche settimane sarei partito in ritiro con la prima squadra. Furono attimi particolari. Da una parte l’euforia per il doppio salto, senza nemmeno passare dalla categoria di mezzo, ovvero la Berretti. Allo stesso tempo percepivo un pizzico di timore: la paura di bruciare le tappe, di trovarmi di fronte a qualcosa di troppo grande, del primo contatto con il professionismo e di conseguenza con il mondo lavorativo. Il mondo degli adulti».

Filippo oggi con la maglia del Crema 1908 / foto Giulio Giordano

Nell’estate del 2016 Filippo Forni è il prototipo del difensore moderno e un embrione di atleta professionista dall’etica inviolabile. Già inserito nel giro delle nazionali giovanili, supera il metro e novanta, porta la fascia di capitano senza arroganza ma con la giusta autorevolezza; nonostante la statura è veloce nei recuperi e imposta l’azione con un mancino educato che consente alla squadra di trovare le migliori soluzioni di passaggio in uscita. Inoltre, è un ragazzo serio, quadrato, un leader pacato e silenzioso senza creste o tatuaggi, così sveglio da accompagnare l’eccellente rendimento sportivo con voti alti e comportamenti impeccabili anche a scuola. Gli insegnanti stravedono per lui, giovane talento dello sport senza slanci irregolari o posture da “fenomeno” in erba, e così i suoi tecnici.

Tra i campi di allenamento del Centro Sportivo “Giovanni Arvedi” gli allenatori della Cremonese raccontano – non senza un velo di stupore – le ore trascorse dal ragazzo con la testa china sui libri durante i viaggi di ritorno dalle trasferte in vista dell’interrogazione del lunedì.

Secondo più di un osservatore il futuro al centro della retroguardia grigiorossa, sul prato dello Zini, sarà suo.
«Diciamo che fino a quel punto il mio percorso nelle categorie giovanili era stato costellato solo da soddisfazioni ed elogi, da convocazioni nelle Nazionali Under 17 e Under 19 di Serie C e da prestazioni in continuo miglioramento. Un’ascesa costante, durata fino al ritiro di Ronzone, in Trentino. Ero il più giovane in assoluto tra i 30 uomini a disposizione dell’allenatore Attilio Tesser. Quando riprendo in mano le foto di quel ritiro provo quasi tenerezza. Perché mi rivedo già alto, tutto vestito di grigiorosso e con il borsone pieno di sogni, e sottile come un grissino, soprattutto se messo a confronto con gli altri calciatori ben più formati e muscolosi. Ricordo che raggiunsi il raduno direttamente dal “campo scuola” dell’oratorio, salutando con due giorni d’anticipo gli altri ragazzi della parrocchia. Loro mi guardavano con occhi pieni di ammirazione e di sana invidia. E io facevo finta di niente, anche se in realtà sentivo la mia vita cambiare. Da educatore del grest a calciatore. Estati così capitano una volta sola nella vita».

Settembre 2016. L’ombra della caduta

Le settimane del ritiro, anzi dell’intero precampionato, sono magiche. Filippo si integra bene nel gruppo, tecnicamente è all’altezza e con la serietà e l’attenzione di sempre ogni giorno assorbe qualcosa di prezioso dai “senatori”: un insegnamento, un consiglio, un piccolo trucco del mestiere.
«Rientrati dal Trentino a Cremona, Tesser decise di tenermi fisso nell’organico della prima squadra e assaporai da vicinissimo i brividi del grande calcio sedendomi in panchina a Bergamo, nella sfida di Coppa Italia contro l’Atalanta di Gasperini».
Una favola destinata a prolungarsi fino al pomeriggio del 31 agosto, ultimo giorno del mercato estivo.
«Concludiamo l’allenamento – ricorda – è ormai tardi, il direttore sportivo si avvicina. Vengo messo al corrente di un’operazione di mercato avviata proprio in quei minuti. Mi prospetta la possibilità di passare ad una grande società di Serie A, rientrando nell’operazione di scambio con un altro difensore, ormai pronto a raggiungere Cremona. Guardo l’orologio: mancano sei ore alla chiusura dei termini per i trasferimenti. Dovrei decidere subito, trasferirmi a tre ore di auto da Castiglione, lasciare casa, cambiare scuola e compagni di squadra, punti di riferimento, insomma cambiare vita. Ne parlo in famiglia e insieme, con mamma e papà, decidiamo che non è ancora giunto il momento per una svolta tanto radicale. Già il salto compiuto dagli Allievi alla prima squadra è stato importante, dico al diesse, e giunto a questo punto vorrei solo concentrarmi sulla Cremonese e continuare a crescere gradualmente, senza mettere in secondo piano la scuola».
La società capisce e accetta.

«I ragazzi dell’oratorio di Castiglione
mi inseguivano per dirmi:
“Fil, ti ho preso alla playstation
e ti sto trasformando in un fenomeno»

«Un bel piano di vita…».
Non fosse che la mattina seguente, 1° settembre 2016, ad una manciata di minuti dal termine della partitella di fine seduta Filippo sente uno strano dolore. «Un movimento scomposto e mi ritrovo a terra, con i calciatori della Cremonese che mi circondano e cercano di consolarmi. Inizialmente nemmeno capisco costa stia accadendo. Sono frastornato. Due compagni mi aiutano a risollevarmi. Nello spogliatoio, medico e fisioterapista incrociano i loro sguardi e io incrocio le loro parole non dette. Parole raggelanti. Crociato e menisco, andati. Fine dei sogni».
Dalle luci del sogno di ogni bambino alle ombre di un letto d’ospedale il passo è breve: bastano due, tre secondi, un cambio di direzione improvviso, un movimento istintivo e affrettato, la gamba che non regge e ti tradisce, proprio sul più bello. Il dolore e le lacrime che inondano gli occhi. Anni di sacrifici, di progetti, di panini divorati sul bus nel tragitto tra la scuola e il campo d’allenamento, di inviti declinati per non far tardi la sera in discoteca o alle feste di compleanno dei compagni di scuola, di sveglie all’alba della domenica mattina per la trasferta fuori regione del campionato Giovanissimi o Allievi Nazionali. Tutto svanito. In pochi attimi.
«Non vivo di rimpianti – ci pensa oggi Filippo – di “come sarebbe andata se…”, di ipotesi alternative. Sono cattolico, credente e praticante. Nei momenti più difficili la fede mi ha aiutato a trovare le risposte, a convincermi delle ragioni di un incidente tanto crudele e inspiegabile. Probabilmente non era quello il percorso che Dio voleva per me. Però una cosa, senza alcun rancore, lasciatemela dire: quell’infortunio ha compromesso il mio percorso nel calcio professionistico. E l’ha fatto con effetti irreversibili. Nel 2016, prima del crack, sentivo di poter arrivare su qualsiasi pallone. Non avevo paura di nulla. Quando invece rientrai in campo successivamente, dopo mesi di sofferenza e di riabilitazione, non sentivo più la stessa forza, la stessa velocità, la stessa sicurezza. Come calciatore, non sono mai tornato il Forni di prima».
L’immagine di profilo di Filippo su WhatsApp, lo ritrae mentre palleggia al fianco di Gaetano Castrovilli – oggi numero 10 della Fiorentina – durante un allenamento della Cremonese a Pinzolo all’inizio della stagione successiva.
«Un bel ricordo. Dopo l’infortunio partecipai ad altri due ritiri con la prima squadra nel 2017 e nel 2018, con mister Mandorlini. Collezionai altre panchine in Serie B senza riuscire mai a debuttare in una gara ufficiale. Ripresi anche a vestire la maglia azzurra, giocando con la Nazionale di B durante una tournée in Giappone. Addirittura, mi ritrovai tra le figurine dell’album Panini e nel videogioco Fifa, con i ragazzi dell’oratorio di Castiglione che mi inseguivano entusiasti per dirmi: “Fil, ti ho ‘preso’ alla playstation e ti sto trasformando in un fenomeno: hai valori altissimi ora!”».
Nella realtà però, il treno ormai era passato. Durante la stagione 2018-2019, essendo ormai un fuoriquota per la Primavera, Filippo accetta il prestito al Crema 1908 per trovare maggior spazio. «Pochi giorni e precipitai di nuovo nel buio di un incubo. Un altro infortunio grave, ancora crociato e menisco, solo dell’altra gamba. La mazzata definitiva».

Ottobre 2022. La luce nel presente

Mentre spalanca il libro dei ricordi – «ricordi felici ma anche drammatici e dolorosi, luci e ombre di un sogno mai del tutto realizzato» – Filippo Forni vola con gli occhi attraverso il suo passato. Quel passato che lasciando sulla pelle più di una cicatrice (due sulle ginocchia, una sulla tempia, eredità di un contrasto aereo finito male) l’ha trasformato nel giovane uomo avvolto nella luce della consapevolezza e della serenità, pieno di progetti per il futuro. Che è oggi.
Da poche settimane l’ex difensore-avatar di Fifa17 si è laureato in Lettere presentando una tesi dedicata al bisnonno paterno, Vittorio Pisani, glottologo e linguista piuttosto noto negli ambienti accademici nazionali. Tra tirocini e supplenze, a soli 23 anni, ha già iniziato ad insegnare italiano ai ragazzi del liceo Vida e dell’istituto professionale Sant’Antonio Abate di Cremona, e ora punta dritto al prossimo obiettivo: la laurea magistrale. Ormai da tre anni, ha ottenuto dal vescovo di Lodi il diritto all’esercizio del ministero dell’eucarestia presso le abitazioni dei malati e degli anziani. Nel frattempo, continua a giocare a calcio a livello semi-professionistico, in Serie D, nel Crema 1908.
«Credo che la mia forza sia sempre stata quella di vivere il calcio come un semplice sport e non come l’unica strada possibile per affermarmi nella vita e nemmeno, grazie al cielo, per ottenere un qualche tipo di rivalsa sociale. Non ho perso questo approccio nemmeno nei momenti in cui, tra virgolette, venivo “pompato” da chi stava nell’ambiente».

«Ci sono ragazzi giovani e pieni di sogni
a cui viene appiccicata addosso
l’etichetta con un prezzo e vengono spostati come pacchi da una società all’altra»


Filippo fa una pausa. «Devo dirvi la verità? Già nelle giovanili mi sentivo lontano dal classico stereotipo del calciatore. Facevo il chierichetto e lo tenevo nascosto perché pensavo che fosse qualcosa di incompatibile con il mondo del calcio di vertice. Chissà poi per quale ragione dal momento che proprio al Centro Arvedi, tra il campo 2 e il campo 3, c’è una cappellina pensata proprio per la preghiera… Altri ragazzi incontrati negli anni sui campi, al contrario, hanno puntato tutto sul calcio e una volta “bocciati”, sentendosi respinti da questo sistema, hanno faticato a reagire. Hanno sofferto parecchio anche a livello psicologico. Per me invece è sempre esistito il cosiddetto “piano B”: c’erano gli allenamenti, c’erano le partite, certo, ma poi c’era anche lo studio, la cultura, la musica, la chitarra e le altre passioni, e poi ancora le attività in oratorio che mi hanno sempre fatto sentire una persona migliore. Credo che questo derivi dall’educazione ricevuta in famiglia. Una famiglia poco legata al calcio e alle sue narrazioni, proveniente da contesti differenti. Mia madre, da ragazza, era considerata una promessa dell’atletica. Mio padre, Michelangelo, anche se oggi è presidente della società di calcio di Castiglione d’Adda, non ha mai giocato a pallone in vita sua».
Per intenderci, non certo quei genitori che ritrovi il sabato pomeriggio attaccati alla rete di un campo di provincia per criticare l’allenatore o incitare il figlio a spezzare le gambe agli avversari… «Devo ringraziare loro se dopo gli infortuni, quando davvero ero assalito dalle paure, ho sempre trovato qualcosa, delle certezze e dei valori a cui aggrapparmi, per pensare ad altro e immaginare un futuro diverso, anche al di fuori dello sport professionistico».

Filippo ha condiviso i banchi del liceo con Alessandro Bastoni, oggi protagonista nei più grandi e prestigiosi stadi del mondo con la maglia dell’Inter e della Nazionale italiana. Centinaia di volte, negli anni delle giovanili, ha affrontato coetanei, amici e conoscenti che oggi ritrova in televisione, da spettatore, mentre guarda partite di Serie A o delle coppe europee. Eppure, il pensiero amaro di poter essere al loro posto, se solo il destino non si fosse accanito con le sue ginocchia nel momento più importante e delicato della sua giovane carriera, non l’ha mai sfiorato. Nemmeno per pochi attimi.

IL LIBRO

Se aveste fede
come un calciatore

Si intitola “Il lessico di Filippo” il capitolo dedicato a Forni nel libro “Se aveste fede come un calciatore” scritto da don Marco D’Agostino e pubblicato dalle edizioni San Paolo. In appendice la sua figurina illustrata realizzata per il volume da Paolo Mazzini.

QUI l’articolo di Riflessi

«Vedo “Basto” in tv. È un campione e ha sempre avuto mezzi tecnici superiori alla media, e con il quale c’è ancora un bel rapporto. Vedo Matteo Gabbia con la maglia del Milan. E potrei citarne molti altri. Invidia? Rimpianti? Sono onesto: niente di tutto ciò. Anzi, solo una sincerissima felicità per loro e per quello che hanno conquistato. Sono consapevole delle difficoltà che hanno dovuto superare per arrivare fin lì, per meritare quello che guadagnano oggi. E quanto devono essere attrezzati, sia caratterialmente che mentalmente, per reggere certe pressioni esasperate».
Il calcio professionistico è così: ti può portare molto in alto, ti può regalare una notorietà pazzesca, ma quando arrivano le critiche fanno male. «Ci sono ragazzi giovani e pieni di sogni che vengono mercificati, gli viene appiccicata addosso un’etichetta con un prezzo e poi vengono spostati come pacchi da una società all’altra. Oltre un certo confine la selezione è tremenda, in pochi sono dotati delle qualità per restare a quei livelli. Basto e Gabbia ce l’hanno fatta perché sono ragazzi straordinari e il loro percorso, evidentemente, doveva essere quello. Però non farei mai cambio, nemmeno potendo scegliere, perché gli infortuni, le circostanze, i bivi dell’esistenza mi hanno condotto verso un’altra direzione. Il calcio ha rappresentato tanto per me, ma grazie al cielo nella vita c’è anche molto altro. Il calcio non è tutto».