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N.07 Gennaio 2020

PICCOLO... CALENDARIO

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di Matilde, 5ªE Liceo Linguistico

“¡Hay que poner manos a la obra!” è la prima espressione spagnola che imparo al rientro dalle vacanze di Natale. “Bisogna mettersi all’opera”, al liceo linguistico ce lo ripetono in tedesco, spagnolo, inglese… Perché il 2020 per noi studenti è un mettersi in gioco sempre, oppure rinunciare del tutto. Non ci sono vie di mezzo. Allora quello di cui ho bisogno è qualcuno con cui fare passi verso il vivo delle sfide di quest’anno: la scelta dell’università, la patente e la ‘terribilissima’ maturità.
«Sono tante scadenze» mi sento ripetere ormai dall’inizio della quinta, almeno un giorno sí e uno no. «Eh già» rispondo io, divertita. Scusate, che cos’è che “scade” esattamente? Scadono i 5 anni del liceo? Ma no, non va così tutto “a male”. Di questo sono certa, perché conosco alcuni ragazzi che invece di vivere la maturità come la fine di un’era, se la sono goduta fino in fondo.
Sarà che, al massimo, nel 2020 ci aspetta un gradino più alto di quelli precedenti, o forse un gradino calpestato da così tanti “maturandi” che ormai sembra un po’ consumato, irregolare, perciò insidioso. E chissà allora che forma avrà la nostra prova d’esame; dalle mie parti, in 5^ E, molti sono preoccupati per le buste ad estrazione, altri per le lacune da colmare, altri ancora (i più “spiaggiati”) per il brivido di qualche imperdibile concerto che sta proprio a cavallo della prova scritta e di quella orale.
C’è chi si lamenta e chi fa finta di niente… Poi, però, mi capita di prendere il caffè con un’amica più grande e sentirmi proporre da lei qualcosa di nuovo: «Non potrai mai capire quale facoltà scegliere, né l’utilità dell’esame rimuginandoci sopra per ore e ore… Studia quello che ti è proposto e non affrontare queste sfide da sola. Solo così ti accorgerai che giorno per giorno viene a galla un pezzettino nuovo di te».
La mia obiezione a Marta, questa mia amica, è stata la stessa che mi porto dietro da quando frequentavo le elementari: «Io matematica non la studierò da grande, per cui mi sa che la lascio un po’ da parte». Marta ha rincarato la dose (nel senso, forse, che mi ha aiutato a considerare “più cara” e valida la mia stessa domanda) e mi ha promesso che tutto quello che mi accadrá è per me un bene, persino ciò che della scuola non mi va giù. E, per quello che sto imparando, ha ragione lei: in matematica non sono tutt’ora una cima, ma stare al banco sapendo che nemmeno quei 50 minuti sono da buttare, mi pare al momento più interessante che lamentarmi della fatica. Non mi servono manuali di metodo, né discorsi motivazionali.
Io so solo che qualsiasi cosa mi attenda a luglio del 2020, cercherò chi se la prenda a cuore insieme a me.
Che poi se ai più vecchi la nuova prova sembra una “fuffa”, a noi, tutti intenti ad annotare sugli appunti nuovi collegamenti multidisciplinari per la prova orale, sembra spesso un dramma. Forse il realismo sta nel mezzo: vogliamo scommettere che non sarà né ridicola, né impossibile?
L’aiuto concreto, allora, lo offre chi mi spinge anche quando ho il freno a mano tirato.
Ho bisogno di una Marta con cui studiare, oppure di un compagno che scopra la sua passione per una materia a me un po’ ostile, oppure ancora di un’amica che mi chieda di rivedere insieme le opere di Manzoni e, addirittura, delle mie nipotine che facciano i compiti, o i “disegni liberi” al tavolo della cucina.
Ma che tutto il mio studio sia “libero” come i loro disegni, è quello che desidero di più per quest’anno. Desidero che sia un viaggio per comprendere più a fondo i miei stessi limiti, le mie passioni e propensioni.
Non ho liste di obiettivi o di buoni propositi, ma ho ben chiara la mia necessità più urgente, cioè di incontrare sempre uno che mi dica: «Sveglia Mati, anche questo è per te».

di Elena e Stefano, futuri sposi

6 giugno 2020: ci sposiamo!
A volte abbiamo l’impressione che manchi pochissimo tempo, a volte cinque mesi ci sembra un periodo infinitamente lungo. Allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre abbiamo dato inizio al nuovo anno con un brivido di gioia quando ci siamo resi conto che quel sabato si avvicina a grandi passi.
Quando si parla di matrimonio tutti pensano subito a fiori, bomboniere, vestito, pranzo… certo, anche noi siamo già entrati nel vortice dei preparativi, ma ogni giorno ci aiutiamo l’un l’altro a non alimentare ansia e affanno per la macchina organizzativa sapendo che pian piano tutti i pezzi del puzzle andranno al loro posto.
Cinque mesi fa – eravamo in vacanza a Firenze – è arrivata ed è stata decisamente accolta la richiesta di matrimonio: da allora la nostra grande gioia ci ha accompagnato in un cammino di preparazione fra progetti, idee, sogni da realizzare, prima verificati e concordati fra di noi e poi condivisi con gli altri. Se guardiamo ai due anni e mezzo di vita passata insieme riconosciamo che è questo uno dei più grandi passi che abbiamo imparato a compiere e che vogliamo continuare a percorrere: crescere e vivere da coppia nel mondo, nelle relazioni, nella vita quotidiana. Certo, ognuno di noi ha il suo lavoro, i propri amici, i propri hobby, ma tutto questo, attraverso il racconto e l’incontro, ci ha portato ad essere sempre più nucleo saldo, realtà unica nella affannata molteplicità di appuntamenti quotidiani.
Stiamo vivendo questi mesi passati come un trampolino di lancio, un’occasione di sperimentare ciò che immaginiamo potrà diventare la nostra quotidianità insieme. Le nostre parole chiave sono condivisione e sostegno, reciproco fra noi, ma anche con chi ci aiuta a prepararci all’avvio di questa nuova vita insieme: amici, parenti o sacerdoti.
Abbiamo chiesto a un don nostro amico di accompagnarci in questo tempo non solo per compiere il tradizionale percorso in preparazione al matrimonio, ma perché possa aiutarci a vedere la nostra vita sotto punti di vista differenti, a scoprire luci e ombre, differenze e somiglianze, ad allenarci al confronto non solo fra di noi ma anche con uno sguardo alla Parola, perché la quotidianità e le scelte importanti siano dettate dal nostro amore e da quell’Amore che ci sostiene nel cammino insieme.
Sulle partecipazioni come slogan della nostra vita insieme abbiamo voluto scrivere alcuni versi tratti dalla Preghiera Semplice di San Francesco. Per affezione al santo e alla sua vita, per esperienze di scout guidate da questa preghiera, vogliamo ricordarci sempre di prenderci cura e proteggere la coppia che siamo e la famiglia che saremo e accompagnarla a vivere nel mondo, nel tessuto sociale della nostra città, contribuendo in ogni occasione al Bene:

“Dove è tristezza,
ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre,
ch’io porti la luce.
Oh! Maestro,
fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato,
quanto ad amare”

di Paolo, lavoratore prossimo alla pensione

Sto aspettando il 31 dicembre non solo per festeggiare l’anno che verrà ma soprattutto perché sarà il mio ultimo giorno di lavoro. Si, andrò in pensione !
Sono passati 40 anni dal mio primo giorno di lavoro, me lo ricordo perfettamente, così come mi ricordo il mio primo viaggio in treno e l’emozione di andare a lavorare nella grande realtà metropolitana.
Mi sembrava un sogno: lavorare a Milano, in una grande realtà produttiva a 25 anni ero responsabile di un settore strategico, avevo conosciuto e mi ero innamorato di quella che sarebbe diventata mia moglie Daniela, mi sembrava di essere un marziano. Marziano magari no ma astronauta sicuramente sì anche perché con 1.670.000 km macinati sui binari, sarei andato e tornato dalla luna già due volte!
Lavorare a Milano è sempre gratificante ma alla lunga ti logora, ti logorano i tempi, lo stress, i problemi, la burocrazia che non si è semplificata per nulla… Allora pensi che è il momento di smettere di viaggiare, smettere di con le nevrosi, smettere di combattere e ritirarsi anche a riposarsi, per dirla tutta andare in pensione.
Leggevo che la pensione per la maggior parte delle persone, rappresenta una soglia che coincide con l’idea di essere inutili; sembra che uscire dal mondo ti faccia anche sentire peggio, di salute intendo, fisica e psicologica. E essere pensionati innesca un meccanismo che fa sentire nell’ultima fase della vita, non più coinvolti, fuori da tutto.
Io non credo che mi succeda questo, ho la fortuna di avere una famiglia vera e vicina, con radici ben piantate per terra, una famiglia di quattro generazioni viventi, una rarità: dalla mamma Carla di 93 anni agli adorati nipotini, una moglie che ha sempre saputo starmi vicino, una figlia unica in tutti i sensi ed un genero che ha saputo entrare in sintonia da subito in questo ecosistema famigliare.
So che un nonno ha il compito e la responsabilità di inventare mille cose al giorno. Cose che mi faranno sentire utile e soprattutto amato. Perché, come recita un passo biblico ricordato da papa Francesco, in un bel libro in difesa della «saggezza del tempo»: «Gli anziani faranno sogni, i giovani avranno visioni».