tempo

N.22 Giugno/Luglio 2021

MUSICA

Il battito che dà un suono all’emozione

Un musicista e musicologo osserva l'impatto emotivo di un brano con la variazione dei tempi d'esecuzione nell'interpretazione dell'artista

foto di Rachel Loughman on Unsplash

Quando la piccola Sonia Horowitz corse alla radio e iniziò a girare ogni manopola, convinta di trovarsi di fronte a un grammofono e cercando il modo di far andare la musica un po’ più velocemente, suo nonno Arturo Toscanini la applaudì entusiasta, compiaciuto da un tale istinto musicale. Quel giorno la famiglia era tutta radunata in salotto ad ascoltare la trasmissione da Salisburgo della Nona Sinfonia di Beethoven, sotto la direzione di un maestro non ben visto da Toscanini. Egli non condivideva i tempi lenti del direttore d’orchestra e nel gesto di sua nipote, che dimostrava un certo intuito musicale, c’era la pragmatica soluzione al problema.

Un episodio di vita famigliare può dire talvolta molto di estetica e interpretazione musicale. D’altronde, la scelta del tempo da parte dell’interprete è un argomento spinoso e discusso, specialmente in Beethoven. Per comprendere quanto il pensiero di un interprete può differire e portare a scelte molto diverse nell’esecuzione di un’opera, è possibile ricreare, in qualche modo, il clima di quell’episodio. In questo video ascoltiamo Arturo Toscanini dirigere a New York nell’aprile del 1948 la NBC Symphony Orchestra nella Sinfonia n. 9 in re minore, Op. 125 di Beethoven. Per chiarezza, concentriamoci sui primi minuti del primo movimento.

Pur non potendo sapere chi davvero fosse il direttore ascoltato quel giorno dalla famiglia Toscanini, l’interpretazione di Wilhelm Furtwängler con l’Orchestra del Festival di Bayreuth nel 1951 ne può ricalcare le orme:

Fin da subito, appare chiara la grande differenza di carattere nelle due interpretazioni, che restituiscono un inizio di Nona Sinfonia agli antipodi. L’opera è la stessa, il tempo scelto e la sua gestione la rendono però assai differente. Beethoven segna due indicazioni di tempo all’inizio del movimento: la dicitura Allegro ma non troppo, un poco maestoso e il metronomo da seguire, pari a 88 battiti per minuto (ciascuno uguale a un quarto). Il compositore presenta un quadro di tempo ben definito, da rispettare in fase di esecuzione. Eppure, i due celeberrimi interpreti eseguono la sinfonia con due tempi diversi. Il tempo è stato infatti nella storia dell’interpretazione musicale da sempre uno dei fattori più decisivi per la lettura che un artista fa di un’opera. In questo esempio, entrambi eseguono il primo movimento più lento di quanto indicato dal metronomo di Beethoven: Toscanini si concentra più sulla continuità e sulla fluidità, mentre Furtwängler vuole restituire il carattere maestoso, con un più austero e lento crescendo, anche del tempo.

Il lettore mi permetterà un ricordo personale, che ben si concorda con l’argomento in questione. Avevo tredici anni e stavo frequentando il mio primo anno al Conservatorio di Milano. Il mio caro maestro mi aveva affidato lo studio di una raccolta di Robert Schumann, le Waldszenen, Op. 82. In fibrillazione e carico di responsabilità, avevo iniziato ad ascoltare molte registrazioni e a farmi un’idea di cosa significassero per me ciascuno dei pezzi brevi che compongono la serie. Giunto a buon punto con lo studio e identificato precisamente il tempo che mi permetteva di esprimermi in ogni brano, ci fu un concerto di un celebre pianista ungherese proprio nella Sala Verdi del Conservatorio. In programma, tra gli altri, c’erano proprio le Waldszenen, Op. 82 di Schumann. Mio padre mi accompagnò al concerto, ma rimase amareggiato nel vedere come tutta la mia grande aspettativa si sgonfiò in una delusione cocente. Non riconoscevo nessuno dei pezzi: i tempi erano così diversi, affrettati, lontani dalla mia sensibilità. Per qualche tempo pensai di essere nel torto, vista la grande importanza del pianista in questione, poi capii che il sentimento e l’emozione non sono unilaterali e la musica non ha una lettura unica.

Eppure, per molto tempo si è cercato di definire la questione in maniera quanto più precisa possibile. Vista la grande differenza espressiva generata dal tempo, la ricerca su quale fosse la scelta giusta cominciò ad occupare le discussioni già dal Settecento. Curioso fu il caso del flautista Joachim Quantz, che cercò di fissarlo basandosi sulla frequenza del battito cardiaco. All’inizio dell’Ottocento, ogni questione sembrò risolversi con l’invenzione di un oggetto come il metronomo, brevettato – non senza polemiche legali, visto l’ipotetico furto dell’idea all’orologiaio olandese Dietrich Nikolaus Winker – dal musicista tedesco Johann Nepomuk Mälzel sul finire del 1815. Beethoven fu tra i primi compositori a servirsene. All’inizio del 1817 già alcune sue composizioni venivano pubblicate marcate da un’indicazione metronomica, ed egli in una lettera a Ignaz Franz Mosel del novembre dello stesso anno disse che «il metronomo Mälzel ci dà l’opportunità di abbandonare questi termini assurdi, Allego, Andante, Adagio, Presto». I termini italiani, tradizionalmente utilizzati in musica per indicare l’andamento del tempo in un brano, erano secondo Beethoven facilmente confondibili con il carattere di un pezzo, che può essere Allegro ma tutt’altro che allegro. Sarà questo però un progetto solo parzialmente seguito da Beethoven, che continuerà a utilizzare quella terminologia, seppur talvolta unita all’indicazione di metronomo – come abbiamo visto per la Nona Sinfonia.

Nonostante il metronomo desse la possibilità al compositore di indicare con certezza il tempo a cui si dovesse eseguire un brano, non permetteva però di definire la sua fluttuazione nell’esecuzione. È sempre Beethoven, in una nota a margine del Lied dal titolo So oder so, WoO 148 pubblicato nel 1817 ad aggiungere all’indicazione di metronomo le seguenti parole: “100 Mälzel: ma questo può essere applicato solo alle prime battute, poiché anche il sentimento ha il suo tempo; questo non può essere tuttavia completamente espresso a questo tempo”. Decenni dopo, un altro compositore tedesco, Richard Wagner, tenterà di dare una risposta ancora più decisiva, dicendo nel trattato Del dirigere (1870) che «solo l’esatta comprensione del melos dà anche l’esatto movimento». Dunque, se esiste un tempo che può essere definito giusto, questo è quello in cui è possibile esprimere il canto, l’elemento lirico presente nella frase musicale. Il tempo in musica è perciò legato alla componente psicologica: ascoltando Toscanini e Furtwängler ci troviamo di fronte a due espressioni diverse, e la nostra percezione psicologica ed emotiva è completamente differente. Il tempo, in questo, è decisivo.

Per quanto si cercherà di fissarlo e incatenarlo, mostrando l’idea di un elemento permanente in un’arte così fluida come la musica, il tempo sarà sempre un fondamento in movimento, la cui espressione e percezione rimane fisiologica, psicologica, e perciò relativa. Ci sarà sempre una parte di noi che, in qualche momento, vorrà alzarsi e andare alla radio per cercare di cambiare il tempo.

* Nato a Crema ventisei anni fa, Federico Ercoli fin dalla più tenera età si è dedicato alla musica e al pianoforte. Dopo aver studiato al Conservatorio “G. Verdi” di Milano ed essersi laureato con il massimo dei voti e la lode, si è perfezionato all’Accademia Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola. Deciso ad approfondire gli studi musicali, si è iscritto al Corso di Laurea Magistrale in Musicologia del Dipartimento di Cremona, dove si è laureato con lode nel 2020. Insignito di un’importante borsa di studio, inizierà ad agosto un Doctorate of Musical Arts alla Eastman School of Music di Rochester, NY, USA. È molto grato alla sua famiglia e ai suoi maestri Silvia Limongelli, Annibale Rebaudengo.