frontiere

N.12 Giugno 2020

RUBRICA

Oltre il bordo trasparente

Grazie a suo padre, Abdul ha imparato come superare in acqua la sua disabilità. A sei anni era in grado di nuotare per un metro, nel 2007 ha vinto la medaglia d'oro ai Giochi Paralimipici di Shanghai. Oggi insegna a nuotare ai ragazzi con bisogni speciali. Tutti lo conoscono come “lo squalo del deserto”.

cricdirectors.com

Marcello – il protagonista di Dogman di Matteo Garrone interpretato da Marcello Fonte, attore emergente dal portamento e dalla parlata di naturale espressività – è un umile della storia: vive ai margini di una socialità periferica e crudele, carica di luci livide, che le conferiscono l’aspetto di una terra desolata. Nel lavoro di custode e toelettatore di cani ripone la cura e l’amore che i suoi simili gli negano, a loro volta intenti nella difficile impresa della sopravvivenza. Solo durante le immersioni in mare con la figlia Alida è felice, libero dalle corvée umilianti, gratificato dall’esplorazione di fondali che sembrano nascondere tesori sconosciuti.

Tutta un’altra luce e un turbine di colori invadono la scenografia di Bellas Mariposas di Salvatore Mereu. L’esordiente Sara Podda, nel film Cate, è una ragazzina che abita in un caleidoscopico brulicare di adulti e fratelli maggiori volgari e rozzi, incapaci di esserle d’esempio. Insieme all’amica Luna attraversa le loro miserie e la loro grettezza, così come la tentacolare città di Cagliari, per ritrovarsi libera solo al mare, finalmente contenta di nuotare sott’acqua, leggera e dimentica dei problemi che la attendono.

Ad accomunare i due esempi è una distesa d’acqua, il mare, come frontiera, confine estremo di un mondo che appare inospitale e estraneo ai protagonisti. La superficie morbida e piana dell’acqua è un invito a lasciarsi andare, a buttarsi per intraprendere il viaggio oltre il bordo trasparente, come l’Alice di Lewis Caroll. E d’altra parte, chi non ha provato il piacere di tuffarsi, in una calda giornata estiva, in mare o in piscina, senza avvertire il potere rigenerante dell’acqua? L’immersione dona sollievo al corpo che – vinto l’attrito dell’aria – è ricompensato dalla leggerezza offerta dalla spinta idrostatica. Muoversi in acqua senza avvertire la fatica degli arti offre una gratificante sensazione di libertà.

Come ricorda la psicoanalisi, fa parte di questo piacere anche l’anelito inconsapevole a ricongiungersi a un “tutto”; l’aspirazione a rientrare in un protettivo alveo materno, un fluido amniotico che precede l’ingresso nel mondo e ci difende da esso.

Ce lo ricorda The Night Before, di Clemente De Muro e Davide Mardegan, un duo di giovani creativi, in arte Cric, dalla fervida vena narrativa e dalla fotografia elegante, che intervalla spot pubblicitari realizzati a tutte le latitudini del globo a progetti di carattere culturale e sociale. Nel cortometraggio, realizzato in Arabia Saudita, il giovane Abdul emerge dalle acque di una piscina, stanco ma contento. Si allena senza sosta, e suo padre gli dà gli ultimi consigli in previsione di una gara, o meglio, della vita.

«There is no path in the water […] you have to become your own hero».

«Non c’è un sentiero
nell’acqua…
Dovrai diventare
il tuo eroe»

Solo dopo appare chiaro cosa rappresenti l’acqua per il ragazzo, mentre segue delicatamente con un dito un pesciolino che nuota in un acquario, seduto sulla sua carrozzina. L’acqua è lo spazio in cui muoversi senza le costrizioni del limite fisico. Per questo, in una suggestiva inquadratura, la carrozzina di Abdul sprofonda verso il basso, inghiottita dall’acqua. Mentre il ragazzo, invece, porta a termine la gara e la vince.

Non si tratta di fiction: Abdul è il trionfatore dei Giochi olimpici speciali di Shanghai del 2007 e da allora insegna nuoto ai bambini portatori di bisogni speciali.

Sotto il pelo dell’acqua si capiscono – sperimentandole – molte cose. E il video, a dispetto della maggiore difficoltà di realizzazione, ce ne restituisce l’incanto.

Perché l’acqua, come osserva Gaston Bachelard nel suo lavoro sull’immaginazione materiale, è una superficie che rinvia all’«inafferrabile fantasma della vita», all’infinita facoltà di contemplazione, all’apertura sognante sul possibile. E tuttavia, nello stesso tempo, l’acqua è anche riflesso, superficie specchiante la quale rimanda al gioco degli sguardi che ci costituiscono in quanto esseri sociali. Confine delle nostre rappresentazioni, l’acqua ci riconsegna, come nel mito di Narciso, l’immagine di una bellezza impotente.

Limite e specchio, il bordo dell’acqua non restituisce né i volti né i corpi di Marcello, di Cate, e nemmeno di Abdul. Per svelarli occorre accettare di rompere la superficie, scendere sotto il pelo dell’acqua. Lì, superato il confine – spesso quello imposto dalla paura, dall’inesperienza che genera ingiustificate distanze sociali («Capisce? Non capisce? Come gli parlo? Come lo tocco?») anche il limite della fragilità, dell’emarginazione, della menomazione, della disabilità spariscono.

Il cinema insegna che sott’acqua ogni corpo risplende. Perché ad essersi liberato, finalmente, è il nostro sguardo.