musei

N.25 Novembre 2021

ACCESSIBILITÀ COGNITIVA

L’arte è senza barriere (nemmeno invisibili)

Darío Garzarón Calderero racconta il progetto di Anffas Cremona per rendere accessibili le opere d'arte dei musei a persone con fragilità e non solo...

«Le barriere invisibili sono le più difficili da abbattere». La frase, pronunciata da Darío al termine dell’intervista, mi svela qualcosa di evidente, ma a cui non avevo mai rivolto sufficiente attenzione. «Un gradino si vede, è un ostacolo che, se abbiamo qualche difficoltà motoria, possiamo superare in modo abbastanza semplice realizzando una piccola rampa». Ma le barriere invisibili? Di quelle rischi di non accorgerti, sono difficili da identificare e, per questo motivo, da abbattere.
Le persone che hanno la fortuna e l’opportunità di lavorare con “persone in situazione di fragilità”, come gli operatori di Ventaglio Blu Coop Sociale (cooperativa collegata ad Anffas Cremona), ricevono in dono la possibilità di osservare la realtà da un punto di vista nuovo e del tutto originale. Mettendosi in ascolto possono scoprire orizzonti inediti, ma anche muri e barriere là dove sembrano non esserci, come, per esempio, nella sala di un museo.
Lo svela Darío Garzarón Calderero durante una piacevole chiacchierata sulle panchine dei giardini del Vecchio Passeggio. «Cosa troviamo, quando ci rechiamo in un museo, per aiutarci a comprendere le opere esposte?» mi chiede a bruciapelo. Rifletto velocemente: di solito un volantino e, presso il bookshop, un voluminoso catalogo. «Hai ragione. Aggiungo che il linguaggio con cui sono redatti non è sempre accessibile a tutti perché, per la maggior parte, è rivolto ad un pubblico di appassionati. Ed è da queste semplici osservazioni che ha preso avvio il progetto di accessibilità cognitiva».
Era il 2016 e, in occasione della mostra “Janello Torriani. Genio del Rinascimento” ospitata dal Museo del Violino, per la prima volta è stata svolta un’opera di traduzione delle informazioni relative alle singole opere esposte in un linguaggio «facile da leggere e da capire».
Per comprendere in che cosa consista tale operazione ci siamo seduti, presso la sede di Ventaglio Blu, attorno ad un grande tavolo insieme a Valentino, Alessandro, Francesca e Maria Paola. L’oggetto di lavoro sono le opere esposte presso il Museo Diocesano. A turno viene letta una parte della didascalia riguardante la “Pianta della Diocesi di Cremona (Antonio Campi, 1577)”. Già nelle prime tre righe i partecipanti incontrano termini sconosciuti che necessitano, proprio per questo motivo, di venire tradotti in un linguaggio più semplice e accessibile. Ecco intervenire Darío, referente dei progetti di accessibilità cognitiva, per spiegare il senso della frase e per aiutare il gruppo a trovare parole più famigliari per esprimere lo stesso concetto. La nuova formulazione, scritta rapidamente al computer, viene proiettata sulla parete della stanza. Si rilegge tutti insieme, si aggiunge una parola, si legge nuovamente, si toglie una frase. Un lavoro di aggiunte e sottrazioni che richiede costanza e pazienza, come ben sanno tutti coloro che, per lavoro o per passione, frequentano la parola scritta.
«A scanso di equivoci – puntualizza Darío – specifico che il nostro lavoro facilita, ma non semplifica, cioè non ci limitiamo a eliminare qualche parola difficile dalle didascalie forniteci dai musei, anzi spesso l’opera di traduzione implica aggiungere delle informazioni per rendere chiaro un concetto».

Nonostante il progetto sia giovane, l’esperienza accumulata è notevole: si parte dalla mostra monografica sul Genovesino (per cui è stato realizzato anche un bel video) per passare al “Il Regime dell’arte” e a “Monteverdi e Caravaggio, sonar strumenti e figurar la musica”. A queste mostre si affiancano ulteriori collaborazioni sia a Cremona, con il Museo Civico Ala Ponzone, il Museo Archeologico S. Lorenzo e il Museo del Violino, che fuori città come con il Museo Archeologico di Milano e il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere e il Museo Diocesano Tridentino.
Durante due eventi cremonesi, oltre all’opera di traduzione di didascalie e panelli espositivi, è stato svolto, in collaborazione con CrArT, un affiancamento alle guide professioniste. «Questa attività sottende obiettivi educativi molto importanti – spiega Darío – come arrivare al museo da soli dopo aver imparato insieme la strada, essere puntuali all’appuntamento, avere il proprio quaderno degli appunti in ordine e aggiornato».

Un incontro di preparazione del percorso di accessibilità cognitiva per il Museo Diocesano di Cremona

Nonostante il progetto sia giovane, l’esperienza accumulata è notevole: si parte dalla mostra monografica sul Genovesino (per cui è stato realizzato anche un bel video) per passare al “Il Regime dell’arte” e a “Monteverdi e Caravaggio, sonar strumenti e figurar la musica”. A queste mostre si affiancano ulteriori collaborazioni sia a Cremona, con il Museo Civico Ala Ponzone, il Museo Archeologico S. Lorenzo e il Museo del Violino, che fuori città come con il Museo Archeologico di Milano e il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere e il Museo Diocesano Tridentino.
Durante due eventi cremonesi, oltre all’opera di traduzione di didascalie e panelli espositivi, è stato svolto, in collaborazione con CrArT, un affiancamento alle guide professioniste. «Questa attività sottende obiettivi educativi molto importanti – spiega Darío – come arrivare al museo da soli dopo aver imparato insieme la strada, essere puntuali all’appuntamento, avere il proprio quaderno degli appunti in ordine e aggiornato».

Per diversi mesi i partecipanti hanno affiancato le guide, illustrando tre o quattro quadri sui quali, nelle settimane precedenti, si erano meticolosamente preparati grazie al lavoro di traduzione. «È un’esperienza preziosa dal punto di vista educativo e fondamentale per la gratificazione che ne deriva: quando arrivano al Museo si sentono importanti, vengono accolti sempre bene, il personale li riconosce e li fa sentire alla pari, una situazione non sempre facile da vivere per persone con disabilità».
Naturalmente non è tutto così facile come può apparire. È fondamentale infatti esercitare sempre una attenta supervisione sui ragazzi, supportata da una profonda conoscenza derivante dalla frequentazione quotidiana presso la sede della cooperativa. «Ci sono tante variabili da tenere in considerazione, per esempio come ognuno di loro reagisce al pubblico o, semplicemente, al fatto che una mostra sia realizzata in ampi saloni invece che divisa in spazi più intimi e ristretti. Bisogna anche intercettare l’umore e lo stato della persona con disabilità a cui chiediamo di esporsi in pubblico; non sempre è “la giornata giusta”».
Darío sottolinea che «il museo deve essere e restare per Valentino, Alessandro, Francesca e Maria Paola il luogo del piacere, il posto dove si mette in pratica il lungo lavoro svolto nei mesi precedenti in sede». Si inizia illustrando pochi quadri, con informazioni essenziali ma poi, man mano che prendono dimestichezza, si possono aggiungere ulteriori dettagli o aumentare il numero delle opere presentate.

«Adesso ho capito»
È in quel momento che «la persona
sta dando valore a ciò che vede,
lo sta apprezzando e ne sta godendo»

Ma da dove nasce il progetto, qual è la scintilla che lo ha acceso e da dove è scaturita? «Dalla nostra esperienza con le persone dei servizi diurni, in particolare quando andavamo in gita e visitavamo un museo o una mostra, ci accorgevamo di non avere strumenti per spiegare le opere, per renderle accessibili e comprensibili. Era un problema sia di materiali assenti, perché non ovunque trovi depliant illustrativi, ma, soprattutto, di linguaggio».
Queste considerazioni, frutto della capacità di individuare le barriere invisibili che spesso ci circondano, hanno creato un virtuoso cortocircuito in Darío, la cui formazione è centrata sulla Comunicazione e sulla Storia dell’arte. Un ragazzo curioso e appassionato che subito aggiunge: «Siamo stati gli apripista in Italia non solo grazie ad una nostra intuizione ma, soprattutto, grazie all’appoggio del presidente dell’Anffas Amedeo Diotti e all’accoglienza e alla sensibilità di Cinzia Galli e Marina Volontè, dei Musei Civici di Cremona».
La soddisfazione maggiore, il momento più significativo del progetto, si verifica quando, osservando un’opera d’arte dopo il lavoro di traduzione, i partecipanti affermano, con un sorriso compiaciuto: «Adesso ho capito». Darío ci spiega che in quel momento «la persona sta dando valore a ciò che vede, lo sta apprezzando e ne sta godendo».

Giuseppe Moroni, “Colonie Fluviali”, prima metà XX secolo, olio su tela, inv. n. 880, Pinacoteca Ala Ponzone Cremona / Archivio fotografico Musei Civici Cremona

Se davanti al dipinto “Colonie Fluviali” di Giuseppe Moroni saremmo passati senza prestare troppa attenzione, proviamo ora a fermarci e lasciarci condurre da chi l’ha osservata con cura. Notiamo così che i corpi raffigurati sono “giovani e in salute”, distinguiamo tra tutte le figure che affollano il quadro “due uomini vestiti di bianco che fanno il cambio della guardia” e riusciamo ad apprezzare le scelte cromatiche di un dipinto dove prevalgono “il bianco, il verde e l’ocra”.

Ciò che è sotto gli occhi del pubblico viene svelato a tutti, indipendentemente dal livello di istruzione, grazie ad un linguaggio “facile da leggere e da capire”. Un’operazione importante che permette non solo a persone con disabilità, ma anche ad un pubblico molto giovane o con una modesta preparazione culturale, di avere accesso completo alle opere esposte e godere quindi delle emozioni suscitate dal mondo dell’arte. Senza barriere.