magia

N.28 Febbraio 2022

MAGIE DIGITALI/2

L’Occidente tra mito del progresso e la sopravvivenza dell’inspiegabile

Angela Biscaldi, antropologa e studiosa di comunicazione, riflette sui "miracoli" della scienza e sull'evoluzione di una cultura che non perde i suoi simboli

foto di Barbara Zandoval / Unsplash

Abbiamo chiesto all’antropologa Angela Biscaldi di aiutarci a comprendere il rapporto tra magia e tecnologia, ovvero ad affrontare il difficile tema della dicotomia tra magia e scienza nell’evoluzione dell’umanità e della civiltà.
Ne abbiamo ricavato una lezione importante, che ci spiega i rischi correlati a una visione limitata dei fenomeni che accompagnano questa fase fondamentale della rivoluzione tecnologica che stiamo affrontando e che ci porta verso un futuro al tempo stesso affascinante e incerto.

Il determinismo tecnologico

Siamo la tecnologia che usiamo e il progresso che abbiamo conseguito? Un uomo primitivo valeva meno di uno del XXI secolo perché poteva usare meno tecnologia e aveva conoscenze scientifiche limitate o inesistenti?

C’è una narrazione sociale prevalente che interpreta la storia dell’umanità come un avanzamento evolutivo progressivo: secondo questa narrazione la cultura umana è considerata come un’unità che, dalla notte dei tempi è progredita e tutt’oggi progredisce ovunque nel mondo attraverso le stesse fasi di sviluppo evolutivo, dal semplice al complesso.

LA SCHEDA

Studiosa di comunicazione

Angela Biscaldi è antropologa, docente di Antropologia culturale per il corso di Laurea Triennale in Scienze Sociali per la Globalizzazione e di Storia sociale dei media per il corso di laurea in Comunicazione e Società.

Presidente del Corso di Laurea Scienze Sociali per la Globalizzazione dell’Università Statale di Milano. Autrice di “Antropologia dei social media. Comunicare nel mondo globale” (Carocci, Roma, 2019) e “Una Settimana senza social” (San Paolo, Milano, 2020).

All’interno di questa narrazione, la tecnologia occupa un posto rilevante: è proprio la tecnologia a determinare il passaggio da uno stadio evolutivo a quello successivo – che si tratti dall’invenzione del ferro, della stampa o di Internet – ed è proprio questo avanzamento scientifico e tecnologico a qualificare le società come più o meno civilizzate . In nome di questa narrazione, l’Occidente si è sentito e si sente legittimato ad intervenire per promuovere la sua forma di razionalità, basata sulle idee di “progresso” e “sviluppo”.

L’antropologia culturale, in quanto studio della differenza culturale, invita a riflettere sul fatto che l’adozione di questa prospettiva evolutiva unilineare comporta diversi rischi.
Il primo è quello che noi antropologi chiamiamo determinismo tecnologico , vale a dire la convinzione che l’introduzione di una nuova tecnologia possa di per sé, meccanicamente, produrre trasformazioni univoche sul piano cognitivo e sociale, tali da migliorare le condizioni di vita degli individui, indipendentemente dai contesti e dagli usi. Il determinismo tecnologico ci spinge, ad esempio, a distribuire computer in Africa e a credere che le LIM nelle aule miglioreranno “magicamente” gli apprendimenti degli studenti.
Il determinismo tecnologico ci fa perdere di vista il fatto che ogni tecnologia ¬- come scrive Pierre Lévy – “qui apre e là chiude il ventaglio dei possibili”, cioè consente e facilita alcuni processi cognitivi, permettendoci di migliorare alcune prestazioni, ma al tempo stesso ne limita altri, peggiorando altre.
Lo smartphone, per esempio, consente attraverso WhatsApp di superare le distanze spaziali e di interconnettersi in tempo reale con amici anche lontanissimi, ma al tempo stesso modella la nostra forma comunicativa che diventa necessariamente paratattica ed essenziale. Diventiamo più rapidi e connessi ma meno profondi.

Diventiamo
più rapidi e connessi
ma meno profondi

Inoltre, se la diffusione di una tecnologia incide indubbiamente sulla vita sociale, esiste anche un importante rimodellamento culturale, in senso inverso, ad opera dei diversi usi che ne fanno gli attori sociali. Questo significa che occorrerebbe, anziché crogiolarsi nel mito del progresso, focalizzare la nostra attenzione sulle pratiche quotidiane che, a loro volta, sono legate ai valori e alle modalità di organizzazione sociale. Si tratta di una reciproca interazione tra proprietà strutturali delle tecnologie e usi locali che produce forme comunicative sempre nuove. Da conoscere e analizzare, non da celebrare o, viceversa, demonizzare.

Misticismo e razionalità

C’è un pensiero che tende a contrapporre razionalità e pensiero magico in un conflitto che non trova riscontro oggettivo nella società, in cui queste due anime convivono e sono, in qualche misura, addirittura in sinergia.

Il secondo rischio della narrazione evolutiva consiste nel farci credere che la razionalità caratterizzi la nostra cultura occidentale e che il pensiero magico e mistico siano invece appannaggio delle culture altre, primitive o meno civilizzare o permangano nella nostra società come semplici “sopravvivenze”, residui di un passato ormai superato, segno di ignoranza o superstizione.
In realtà un’analisi più approfondita mostra che anche nella nostra società, la predominanza del pensiero scientifico o razionale non implica affatto la scomparsa del pensiero simbolico e che pensiero simbolico o magico e pensiero scientifico spesso non si oppongono ma coesistono sia nello stesso individuo che nella stessa società. Tanto più se ricordiamo che nel Rinascimento, nel contesto di nascita del metodo scientifico, lo scienziato era anche un mago.

Oggi, in Italia, accanto ai valori e ai modelli culturali indicati con il nome di scienza e razionalità troviamo una varietà di modelli mentali, percettivi e cognitivi rappresentati da neo misticismi, gruppi parareligiosi e terapeutici, da comunità di fede, da seguaci di magismi e di astrologie, in tutti gli strati sociali.
Nella nostra quotidianità esistono poi spazi per la comunicazione metaforica e simbolica tipici del mondo magico: non “parla” forse la pappa che dice al bambino «mangiami»? Non parliamo anche noi talvolta alla sveglia che suona al mattino urlandole di spegnersi o al semaforo dicendo di sbrigarsi a diventare verde? Nella nostra vita pensiero scientifico e rappresentazioni metaforiche sono inscindibilmente legate.
Inoltre, la sociologia della conoscenza sottolinea come la scienza non sia un sapere puro, disinteressato, ma sia essa stessa un prodotto sociale e in quanto tale esposto alle stesse strategie di costruzione, legittimazione, condizionamento di altre pratiche sociali ­- una cosmologia, cioè una visione del mondo, tra le tante, che permette di spiegare in modo efficace alcuni aspetti del reale, ma che si dimostra incapace di cogliere altri, quelli simbolici, affettivi ed emotivi, che pure hanno molto peso nelle nostre scelte.
Da questo punto di vista il discorso sulla presunta eccezionalità e specificità della ragione occidentale, in quanto legata allo sviluppo della scienza e della tecnica, e di tutto ciò che ha a che vedere con la cosiddetta “modernità” appare come una narrazione autolegittimante ed autocelebrativa dell’Occidente, che nasconde invece quanto di irrazionale, emozionale, inspiegabile, ma spesso tremendamente importante, esiste nelle nostre vite.

IL LIBRO

Una settimana senza social

Nell’anno scolastico 2016/17, in un liceo di Crema, è stata lanciata una provocazione: “una settimana senza Social”. Nel libro, Angela Biscaldi presenta i risultati della ricerca, esortando genitori e educatori a confrontarsi col nuovo tema dell’educazione civica digitale.
ed. San Paolo