viaggio

N.32 Giugno-Luglio 2022

TEATRO

In viaggio con il Divin Claudio tra inferi, rive del Po e Itaca

La vita e la musica di Monteverdi consegnano alla storia un'arte in eterno movimento. Il Festival che porta il suo nome ne è memoria e metafora: ne abbiamo parlato con il regista Luigi De Angelis e con Andrea Cigni, sovrintendente del teatro Ponchielli

“Il ritorno d'Ulisse in patria”, lo spettacolo di Luigi De Angelis portato in scena al teatro Ponchielli di Cremona nell'ambito del Monteverdi Festival 2022

L’opera di Claudio Monteverdi segnò il passaggio dalla musica rinascimentale alla musica barocca, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII. Un passaggio che è presente non soltanto nell’attività artistica, ma anche nella vita di Monteverdi stesso e nel suo viaggio tra Cremona, dove nacque nel 1567, Mantova, dove si trasferì nel 1590 e prese moglie nel ‘99, e Venezia, dove approdò il 29 agosto del 1613 come maestro di cappella.
Quelli del Monteverdi uomo e musicista non sono tuttavia gli unici viaggi che caratterizzano la storia del Divin Claudio. Se pensiamo a questo grande compositore non possiamo non allargare lo sguardo al viaggio come percorso materiale di ciascuno di noi ma anche come metafora della vita e dell’universo stesso. Qualcosa che per Monteverdi è stato prima di ogni altra cosa musica e teatro ed è per questo che abbiamo coinvolto in questo viaggio Andrea Cigni, sovrintendente del Teatro Ponchielli di Cremona: «Il viaggio è un tema universale che per me è molto importante. Io stesso sto facendo un viaggio in questo teatro insieme a tutti coloro che ci lavorano, che considero compagni e con i quali sto cercando di sviluppare un rapporto paritetico, in cui ciascuno porta il suo contributo alla buona riuscita di ogni spettacolo e iniziativa. Del resto anche il teatro è in viaggio. Il nostro, con la nuova progettualità e visione – e la visione stessa è un viaggio – ma in generale il teatro è tutt’altro che statico. Al contrario si muove: verso le idee, verso gli obiettivi che si decide di perseguire, verso le persone. Le idee viaggiano, portano messaggi e si concretizzano nei fatti, cosa che oggi accade in tempi più veloci e difficili che mai. Quello del teatro è un viaggio accidentato, pieno di imprevisti ma esaltante».
Un viaggio che compiono molti dei personaggi di Monteverdi. Quello compiuto dal protagonista della sua opera più celebrata, “L’Orfeo”, che si spinge fino nell’Ade per cercare di riportare in vita la sua sposa Euridice «non è soltanto il viaggio da una dimensione terrena ad una ultraterrena, ma il viaggio di un artista, un poeta, un musicista in cui probabilmente Monteverdi si immedesimò. Il compito dell’Opera è in fondo quello di far immedesimare gli spettatori nei personaggi e questo potrebbe essere anche lo stato d’animo del compositore mentre compiva il viaggio musicale dell’Orfeo».

Ed è il viaggio per definizione quello de “Il ritorno d’Ulisse in patria”, opera matura del compositore che fu rappresentata per la prima volta al Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia, nel 1640. L’opera è stata quest’anno al centro del Festival Monteverdi, con un meraviglioso allestimento a cura di Luigi De Angelis e Andrea Argentieri, che ne hanno curato la regia e la musica di Ottavio Dantone, maestro concertatore e direttore dell’orchestra Accademia Bizantina. Un allestimento moderno, brillante, incentrato su colori, simboli ed emozioni, oltre ai messaggi che questi sanno trasferire. Un’opera che ha incantato il pubblico del Teatro Ponchielli e che ha messo al centro il territorio e il fiume di Monteverdi, il Po, sulle cui rive sono state girate le scene proiettate durante il prologo dello spettacolo.

È proprio il regista Luigi De Angelis a parlarcene: «Il viaggio che compie Ulisse nell’opera di Monteverdi è un ritorno lungo 20 anni, che segna una grande trasformazione del protagonista», tanto che i suoi concittadini e addirittura la moglie Penelope finiranno per non riconoscerlo nemmeno dopo che la trasfigurazione in vecchio, per entrare alla corte dei Proci e riprendersi Itaca, cessa il suo effetto e gli restituisce le proprie sembianze. Un cambiamento che per De Angelis segna il passaggio dal mondo antico a quello moderno, di cui Ulisse diventa eroe, e la sua fragilità ci porta a superare «la connessione con un mondo passato fatto di gerarchie tattili e verticali ad un mondo più proiettivo. Ulisse è il calcolatore, l’ingannatore che tramite l’astuzia arriva a celare la sua identità al punto di non essere riconosciuto da nessuno, che per certi versi è la condanna del mondo moderno».
Prosegue Cigni: «Orfeo compie un viaggio che in qualche misura lo aiuta a comprendere sé stesso e a migliorarsi ed è anche ciò che succede ad Ulisse, che nel suo viaggio di ritorno in patria cambia profondamente, perché il viaggio è per sua natura trasformazione». Ma se il desiderio di Ulisse di tornare è un obiettivo chiaro e perseguito con tutte le forze e nonostante ogni avversità, «il viaggio che il teatro offre al suo pubblico – ci spiega il sovrintendente – non ha una meta definita, ma delle tappe intermedie, raggiunte le quali ogni volta si deve lanciare di nuovo il sasso e riprendere a camminare, affinché il viaggio non si fermi mai. Ovviamente in questo ha una grande importanza il tema dell’incognita, perché i viaggi non offrono mai certezze assolute e possono presentare ritardi, cambi di percorso, ostacoli e imprevisti». Quello di Ulisse ne è il prototipo e non a caso si parla di Odissea, quando un viaggio è pieno di contrattempi e di incognite.

«Il viaggio è
per sua natura
trasformazione»

Ancora Cigni: «Ad essere in viaggio però è l’arte stessa, gli artisti, la musica, che da sempre sono in movimento. Monteverdi è un viaggiatore; nella sua vita ha viaggiato da Cremona, a Mantova e a Venezia, quando i viaggi e le distanze e le incognite erano ben altro che oggi, ma noi lo abbiamo riportato a casa, con il Festival e con una crociera musicale che quest’anno ha viaggiato da Venezia a Cremona, portando le persone ad ascoltare la musica del Divin Claudio proprio a casa sua».
Quella della crociera musicale è ormai una consuetudine del Festival Monteverdi, molto apprezzata dai suoi frequentatori, che vengono da molti luoghi del mondo, oltre che dall’Italia e da Cremona stessa. Ci racconta Cigni: «Il Festival Monteverdi è un grande viaggio e ci introduce al tema dello spostamento in quasi tutte le sue storie, a volte in modo esplicito, altre in modo metaforico. Questo del resto avviene anche nella letteratura, nella scrittura e in tutte le forme d’arte».
Il Festival è dunque esso stesso un viaggio, anche quando i suoi eventi si svolgono a Cremona, nei più bei luoghi della città che spesso gli stessi cremonesi attendono questa occasione per poter rivedere.
Il viaggio più importante di Monteverdi fu tuttavia quello musicale. Un viaggio che ha traghettato i suoi coevi dal vecchio stile rinascimentale, che inizialmente lo vide cimentarsi in ben nove libri di madrigali, tra il 1587 e il 1638, anche se in realtà il “Libro IX: Madrigali e canzonette a due e tre voci” sarebbe stato pubblicato postumo nel 1651, otto anni dopo la sua morte.
Monteverdi è però ricordato soprattutto come il progenitore dell’opera e del melodramma, che in seguito avrebbe visto altri compositori italiani trovare fama e successo in tutto il mondo. Oltre alle due già citate spiccano “L’incoronazione di Poppea”, che fu rappresentata a Venezia nel 1643, anno della sua morte e poi ancora molte opere che non sono arrivate a noi e di cui conosciamo soltanto titoli e anni di rappresentazione, ma anche “Il ballo delle ingrate”, “Il combattimento di Tancredi e Clorinda” e poi ancora musica sacra e molte altre produzioni.

Con il Sovrintendente Cigni esploriamo infine altre forme di viaggio legate al teatro: «Anche gli spettatori compiono un viaggio. Si tratta di un viaggio emozionale, in cui confrontano le loro aspettative con l’opera dell’autore, con la visione del regista, con i gesti e le emozioni degli attori. Viaggiano insieme alla musica, viaggiano con la mente e cercano risposte alle domande che il teatro e lo spettacolo gli pongono».