cibo

N.15 Novembre 2020

CULTURE

Nella cucina di Kiran tra bhature e marubini

Kiran è nata in India ma vive in Italia da quando ha sette anni La incontriamo nella sua cucina dove tiramisù e pastasciutta incontrano i sapori del Punjab

Le mani staccano un pizzicotto d’impasto soffice e bianco, lievitato ad arte. Lo stendono sul ripiano della cucina con gesti rapidi e precisi, fino a formare un piccolo disco. Ancora un velo di farina bianca, ed è pronto per la cottura. «Questo è bhature, un tipo di pane indiano». Kiran immerge ciò che fino a poco prima sembrava una baby pizza in una pentola di olio ben caldo. Sul fuoco riposa un tegame di chole, contorno a base di ceci e curry, e un’altro colmo di sweet rice.

«Per darvi il benvenuto – dice – nella nostra cultura, il dolce significa felicità: si prepara per festeggiare o per celebrare una bella notizia, ogni occasione di gioia».

Con lei c’è Bhagat – Adam per i compagni di scuola – e la piccola Dalair, che sfoggia una tuta di Minnie e aiuta la mamma con il suo belna, un mattarello, degno delle migliori massaie. 


La pasta sfrigola, mentre Kiran sbriciola con le mani una manciata di spezie in una ciotola di yogurt bianco. «Questo invece è raita boondi – spiega – per accompagnare il tutto».

Kiran ha trent’anni, un leggero accento cremonese e una storia appesa tra due culture. «A sette anni sono arrivata in Italia, dove mio padre viveva già dal 1990. Si è trasferito qui per cercare lavoro e pochi anni più tardi l’abbiamo raggiunto». Dal Punjab alla pianura Padana. Un salto di oltre settemila chilometri, condensato in una vita alle porte di Cremona. «Spesso ci racconta di quando cercava lavoro nelle aziende agricole della zona, misurando le distanze con la bicicletta. Al tempo c’erano pochissime persone provenienti dal nostro Paese, è stato difficile partire dal nulla, senza patente né lingua comune… Ma per fortuna l’aiuto non è mancato, come l’accoglienza».

Così è stato con i datori di lavoro, che superano differenze e diffidenze fino a diventare parte della famiglia. «Con loro ho imparato a cucinare italiano». Oggi in casa Singh-Kaur la pasta al forno è regina, seguita da carne, pesce, frittate e l’immancabile tiramisù, «anche se io preferisco la cheesecake alla fragola», puntualizza Bhagat lanciando alla mamma un infallibile assist per la prossima cena.

«Mi piace variare, e quando manca l’ispirazione c’è sempre Youtube!» svela Kiran, che parlando di specialità cremonesi propone qualche rivisitazione creativa: «A volte utilizzo la pasta sfoglia per creare fagottini di pasta farciti, che nella forma ricordano un po’ i marubini, mentre quando preparo la pizza mi piace aggiungere un po’ di cipolla e una spolverata di spezie».

Curry, garam masala e curcuma sono come il prezzemolo, mentre la mostarda – sarà la senape? – le ricorda il sapore dell’India lontana, sempre nascosta in qualche parte dell’anima. 
Il menu quotidiano varia a seconda della routine: a colazione, caffè e brioche fanno degna concorrenza al masala chai, (tipico té nero speziato) mentre per i pranzi veloci la scelta ricade sulla pastasciutta, agile compromesso per una mamma lavoratrice.

Dopo il diploma superiore in economia aziendale, i genitori hanno scelto per lei la strada del matrimonio: attraverso la comunità Sikh cremonese incontra Jitu, suo marito, in Italia da una quindicina d’anni. «Ci siamo sposati in India – racconta – nel rispetto della tradizione. Sono stata fortunata, ma da un certo punto di vista non ero serena, non era la vita che avevo sognato per me. Avrei voluto continuare gli studi, lavorare e guadagnare la mia indipendenza». Con il sostegno del marito, Kiran intraprende un percorso di formazione come operatrice socio-sanitaria e trova lavoro in una Rsa del territorio cremonese. La soddisfazione di sentirsi realizzata si unisce alla gioia della giovane famiglia, che oggi vive a Vescovato. Nel rispetto delle tradizioni ma con lo sguardo rivolto al mondo.

«Il dolce significa felicità:
si prepara per festeggiare
o per celebrare una bella notizia,
ogni occasione di gioia»

Jeans e tatuaggi raccontano la transizione alla cultura di adozione: un passaggio “a fuoco lento”, dal sapore agrodolce. «I primi anni in Italia sono stati difficili, per la lingua e per le regole della mia comunità», ricorda la donna. «Spesso mi capitava di trovarmi sola nel banco di scuola o sui sedili del pullmino. Poi alle superiori tutto è cambiato: ho trovato altre ragazze della mia comunità, è stato più semplice aprirsi agli altri ed essere accettate per come si è. Mio padre me l’ha ripetuto spesso: non conta come ti vesti, ciò che importa è mantenere il tuo cuore puro».

Lo sguardo accarezza il viso dei suoi piccoli: «Loro sono nati e cresciuti qui, con il sapore dei cibi italiani: faremo il possibile per lasciarli liberi di scegliere». A partire dai sogni. «C’è una lettera per lei!», annuncia solenne Bhagat, mentre consegna una busta alla mamma. «Tra due settimane è santa Lucia – spiega Kiran – Da bambina mi capitava di tenere da parte alcuni regali di mio padre, per portarli a scuola il 13 dicembre, come i miei compagni di classe. Ora la festeggiamo per i bambini, come il Natale e l’Epifania».

L’usanza è nota: «Scriveremo la letterina e appenderemo i mazzolini di fieno al balcone…Chissà se arriveranno i regali oppure il carbone!».

Nella patria del torrone l’attesa è dolce, come un pensiero felice.