dono

N.26 Dicembre 2021

INCLUSIONE

A Soncino l’amore per gli altri (e per la cucina) s’impasta con la farina

Una lezione con gli alunni del percorso inclusivo So-stare con me della cooperativa Inchiostro durante la preparazione dei doni natalizi diventa occasione di incontro e di scambio

Mani sporche di farina, una risata collettiva. Alla cooperativa Inchiostro di Soncino i doni si plasmano con le dita. Mischia, impasta, tira, molla.
Il burro ingrassa, l’amore lievita. Al pari dei biscotti che la classe del percorso personalizzato per persone con disabilità So-stare con me sta preparando quando la raggiungiamo per quattro chiacchiere.

Le parole si pesano, come gli ingredienti che servono per fare i biscotti di Natale. Da regalare «a chi si vuol bene» o da mangiare soli per un morso di felicità. Il necessario è scolpito su un pezzo di carta, avvolto dalla farina e circondato da mani che non stanno ferme. Duecento grammi di farina zero, un uovo intero, cento grammi di burro, sei cucchiai di zucchero, buccia di mezza arancia, un pizzico di sale. E poi gli strumenti del mestiere: ciotola, mattarello, formine, bicchiere o bilancia, teglia, divisa, forchetta e cucchiaio, carta forno, forno. Accanto ad ogni indicazione ci sono delle immagini. «L’uso della comunicazione aumentativa e alternativa è previsto per aiutare tutti a comprendere».
Laura Sivalli è la pedagogista di riferimento. Ci accoglie dopo un buon caffè e si scusa per l’attesa. «Dovevamo prepararci al meglio. Tutti».

In divisa, con il cappello bianco degli chef, c’è chi impacchetta torroni con la radice amara di Soncino, chi confeziona marmellate, chi fa i biscotti con precisione, chi si perde negli occhi degli altri. Non parla, racconta attimi. E li dona. In silenzio.

Andrea (nome di fantasia) è alle prese con un vasetto da inserire nei pacchi natalizi. Lo spago scappa. Il sorriso resta, nonostante le difficoltà. «Voglio raccontarti delle cose, però scusa, ora sto lavorando. Torna dopo». La collega accanto gli accarezza la spalla: «È bravo, noi siamo amici».
«Non vogliamo che i ragazzi vivano nella finzione o nella teoria. Affidiamo loro ogni giorno compiti di realtà per sperimentare abilità, conoscere i limiti, coltivare autonomie che possano servire nella vita quotidiana». Così, la cucina diventa casa, in ogni angolo. Un posto dove mettersi alla prova ogni giorno senza paura. Donare se stessi, senza maschere. Creare, senza filtri. Raccontarsi, senza giudizio. In poche parole: vivere, insieme.
Sara (nome di fantasia) chiude i pacchetti di Natale: «Mi sento come un elfo: sono felice. Un po’ come gli adulti, quando mettono in fila i regali per i più piccoli. Ecco, un po’ così. Ogni giorno cresco un po’». Pacchetto dopo pacchetto «faccio qualcosa di più grande: rendo felici gli altri, questo mi rende grande».

«Rendo felice gli altri,
questo mi rende grande»


Grandezza non è esagerazione, è fatica. È il coraggio di donare ed affidare agli altri una parte di sé. «Voglio imparare a cucinare e questa è la mia strada: non mi resta che percorrerla».
Sul piano di lavoro, intanto, i biscotti stanno prendendo forma. Una formina dopo l’altra. Silvia (nome di fantasia) al clic della macchina fotografica di Giulia alza lo sguardo. Con una mano tiene la scorza di limone. Con l’altra mi afferra le dita e dolcemente le accarezza. «Mi accompagni a lavare le mani?». L’acqua lava via ciò che non serve più. Gli occhi brillano: «Grazie».
In men che non si dica Silvia è di nuovo accanto allo chef che la sta aiutando ad impastare.
«Non vogliamo nascondere i limiti ai ragazzi. Piuttosto, devono comprenderli per poter un domani chiedere aiuto. Insegniamo loro a chiedere e donare aiuto, perché la vita è fatta così». Non si va avanti soli, si continua insieme. «Ognuno può e deve fare un pezzettino. Per costruire, per costruirsi». Da quel pezzo, con l’aiuto reciproco, si costruisce la realtà.
«Le nostre non sono classi speciali. Ogni lavoro educativo è focalizzato sulla persona, sulle sue esigenze e sulle sue competenze». Il lavoro è sinergico, nel rispetto del progetto di vita di ciascuno. È personalizzato, «ma non isolato. Ogni allievo, ultimato il lavoro sulla conoscenza ed il consolidamento delle competenze, a partire dal secondo anno viene inserito nel bar e nel ristorante didattico, insieme agli studenti degli altri corsi proposti dalla scuola».
L’inclusione si fa in silenzio (o forse non troppo) con una divisa indosso, un cliente soddisfatto, un dono di Natale confezionato… ma soprattutto si fa insieme. «Vive nel rispetto delle peculiarità di ciascuno. Facciamo in modo che tutti abbiamo gli strumenti adeguati per dare il meglio. Per donare il meglio». È l’equità che elimina gli ostacoli e cede il passo alla realizzazione.

Per un attimo cala il silenzio. «Dov’è Gloria?». La voce è quella di Andrea (nome di fantasia), che nel mezzo ha finito di confezionare marmellate. Lo raggiungo al tavolo: «Eccoti». Lo sguardo mi cade sul simbolo di Abilitychef, la manifestazione culinaria ed inclusiva voluta dall’associazione Argilla. «Sì, ho partecipato e ho vinto per il piatto dal miglior gusto. E guarda, indosso anche la divisa». Petto in fuori pancia in dentro, Andrea la mostra orgoglioso: «Da grande voglio fare il cuoco. Con Lorenzo». Lorenzo Econimo è lo chef che li segue. «Sono un cuoco sociale, un educatore. Ho scelto di dedicare parte della mia vita professionale agli altri. Uso la cucina per educare. Per stare con gli altri. Per aiutarli a conoscersi, a sperimentarsi. A diventare grandi». Non bastano cento grammi in più di burro, «è un mestiere che richiede tanta fatica, ma dona in cambio tanto amore». L’ingrediente fondamentale è la passione, unita «alla capacità di mettere a frutto le risorse di ciascuno. Perché ognuno di noi ha delle abilità, così come ognuno di noi ha delle fragilità» riprende Sivali: «Non siamo eroi, siamo tutti esseri umani».
A Soncino «lo scopriamo insieme. È sempre il gruppo a fare la differenza».
La pedagogia si mischia all’amore, alla passione, alla farina. Alla Storia. «Qui oggi vive ancora l’insegnamento di santa Paola Elisabetta Cerioli» spiega il presidente della cooperativa Inchiostro Alessio Gatta. Nata a Soncino nel 1816, ha dedicato la vita agli orfani e «ci ha insegnato che non si possono prendere tutti i figlioli allo stesso modo. Cerchiamo di proporre una scuola per le persone, non per il lavoro». Anche se tante sono le collaborazioni esistenti con le realtà produttive del territorio: dai mercati, alle imprese. «Ora stiamo per creare un pastificio con un piccolo bistrot per garantire l’inserimento lavorativo ad alcuni nostri studenti con disabilità». Parallelamente vengono erogati corsi nel settore alberghiero ed agricolo, perché resiste il concetto della terra come mezzo per generare e rigenerarsi. Per coltivare e donare.
Sul tavolo in cucina la scatola di Natale è pronta: biscotti, marmellate, torrone. Sul pianale è rimasta un po’ di farina. Nell’aria l’amore per la cucina e per gli altri con cui tornerà presto a mescolarsi: è quello l’ingrediente che non mancherà mai.