piaceri

N.11 Maggio 2020

L'INTERVENTO

Piaceri e piacere dal ’68 a San Francesco

«Prima il dovere e poi il piacere»: questo monito ha accompagnato la mia vita da bambina e da adolescente tra le mura domestiche e non solo. Mal sopportavo quel ritornello e rimproveravo mia madre di essere vittima di una cultura sacrificale che aveva tolto il piacere e i piaceri della vita. Associavo quell’imperativo alla fede cattolica alla quale aderiva con convinzione e alla quale mi educava. La gloria del Cristo crocifisso, la grandezza di Abramo nell’atto di immolare l’amato Isacco, l’«eccomi» di Maria di fronte ad una richiesta incomprensibile, rappresentavano ai miei occhi di ragazza, assetata di felicità, i simboli di una cultura in cui l’esaltazione del sacrificio era da un lato via di realizzazione ma anche potere che condannava ad un perenne senso colpa e, in misura maggiore, quando ci si crogiola nel piacere.

Mi ribellai a quel dovere negli anni della mia giovinezza che coincidevano con la «rivoluzione» del’68. «Vietato vietare» ne era lo slogan. La critica ad ogni forma di autoritarismo schiavizzante era la condizione per liberarsi da ogni costrizione. Impulsi, desideri, fantasie, proclamati in opposizione alla rigidità della norma costituivano i fondamenti di un pensiero fuori dagli schemi, di una creatività aperta al cambiamento.

L’erotica come piacere veniva esaltata come energia per liberarsi dal principio di prestazione a cui il capitalismo aveva condannato l’uomo confinando la sua vita nella pena. L’ozio, da vizio, diventava la virtù di chi riusciva a vincere l’ansia di prestazione dell’homo economicus. L’autorealizzazione non poteva passare che dal piacere; il dovere era considerato l’effetto di una cultura repressiva voluta da un’elite dominante per schiavizzare le masse. Finalmente il piacere veniva prima di quel dovere dietro al quale si nascondeva un padre padrone, qualunque fosse il suo volto.

Nonostante fossi affascinata dai discorsi e dai dibattiti di quegli anni la mia struttura identitaria era ormai formata e faticavo a «liberarmi dal dovere» anche perché sperimentavo la problematicità dello stesso piacere. Capivo che vi era una profonda differenza tra il piacere che provavo nell’avere ciò che istintivamente desideravo possedere o fare e il godimento vissuto di fronte ad un tramonto sul mare, nel gioco di individuare nella forma delle nuvole un animale, nella lettura di un libro…

Nel primo caso l’appagamento era fugace e mi lasciava in uno stato d’inedia; nel secondo caso sperimentavo uno stato di beatitudine che mi stimolava a progettare la mia vita, a interrogarmi sulle mie priorità, ad uscire dal narcisismo che mi affliggeva e che mi impediva di aprirmi al mondo.

Vi era anche un altro tipo di piacere che suscitava in me una certa inquietudine: quello di voler piacere a gli altri, di cercarne l’approvazione e il consenso. Mi sentivo appagata quando ottenevo la lode cercata ma, nel contempo, sperimentavo una situazione di disagio per essermi adeguata al gusto o all’opinione altrui.

Anche la via del piacere era travagliata poiché non tutti i piaceri sortivano lo stesso effetto.

La svolta in questa personale controversia tra piacere e piaceri e tra dovere e piacere avvenne quando, in età ormai matura, rilessi per pura casualità il Cantico delle creature di Francesco. Ciò che non avevo colto negli anni della scuola era la gioia in esso contenuta: ogni realtà appare agli occhi di Francesco fonte di gioia. Il folle d’Assisi trova appagamento e soddisfazione nell’amor verso ogni creatura, anche orribile a vedersi, in quanto si rende conto che ognuna di essa è un dono prezioso ricevuto. Così la povertà scelta e praticata diventa segno di gratuità verso tutti e verso ciascun vivente oltre che fonte di piacere per lo stesso Francesco. Il sacrificio è sconfitto dalla letizia generata dall’amore. «La croce è il luogo in cui il sacrificio viene superato una volta per tutte. Non tanto nella prospettiva del capro espiatorio… ma in quella della Legge il cui compimento è annunciato e realizzato da Gesù». (M.Recalcati)

La croce come dono rende possibile la liberazione dal dovere come coercizione e lo trasforma in amore. Piacere e dovere cessano di essere in opposizione: nella libertà di essere soggetto e oggetto di gratuità risiede il piacere stabile che sottrae al principio di prestazione e garantisce la certezza che ciascuno può essere fonte di gioia per l’altro.

Da Francesco ero stata iniziata a una rilettura del dovere. Oggi,ormai vecchia, ho raggiunto la convinzione che il piacere è il dovere consegnato all’autentico desiderio di ciascuno, alla libertà di aderire alla personale vocazione, alla serena volontà di realizzare sé come creatura.