piaceri

N.11 Maggio 2020

INCONTRI

«Sono la vicina piacere di riconoscerla»

Il grido di Ulisse al "quattro verticale" e una mascherina da supereore: così la quotidianità nel quartiere diventa un'avventura

«Giulia, per caso hai da fare?»

La voce è quella della mia vicina di casa, Pierangela. È affacciata alla rete sottile che separa i nostri giardini. Il suo viso è quasi interamente coperto dalla mascherina chirurgica che indossa ma riesco a vedere i suoi occhi. Stanno sorridendo.

«Nulla di urgente, perché?».

«Ti andrebbe di aiutarmi con le parole crociate?».

Metto in stand-bye la fotografia che sto sistemando al computer, davvero non è nulla d’urgente. Da quando il Covid si è insinuato nelle nostre vite, fastidioso come l’imbucato ad una festa che nessuno ha invitato, sono rimasta bloccata a Persichello, duemila anime alle porte di Cremona. Niente più commissioni di lavoro, niente più servizi fotografici. Un disastro per una come me, che con le mani in mano proprio non ci sta stare e che con l’apatia fa una fatica tremenda a convivere.

Dopo giorni di assoluto sconforto, il messaggio di un’amica che mi invitava a raccontare attraverso le immagini ciò che stava accadendo, è stato una boccata d’aria buona. Quel messaggio ha riacceso la luce: tenere tra le mani la macchina fotografica e scattare, avrebbe restituito alla mia vita una parvenza di normalità. Ho iniziato a scrivere, scattare, raccontare dello scorrere lento dei giorni, della necessità di riadattare orari e abitudini come l’unica possibilità per uscire dall’incubo. E nel mezzo di questa vita sospesa ho riscoperto cose, sensazioni, ho condiviso la quotidianità con persone che sfioravano la mia vita quasi ogni giorno da almeno dieci anni e che sino ad ora erano relegate in un angolo.

L’angolo del tempo che mancava.

«Allora, mi aiuti?», insiste Pierangela.

Accosto la sedia al suo giardino, la trama della rete divide la sua figura in tanti piccoli rettangolini. Se ne sta seduta sotto il portico con una penna in mano e gli occhiali che si appannano spesso. Controindicazione della mascherina.

Persone che sfioravano la mia vita
quasi ogni giorno
e che erano relegate in un angolo:
l’angolo del tempo che mancava

Mi guardo intorno, il pesco è fiorito e la pianta di limoni nel suo giardino, pure. Nel pieno della fase 2 il quartiere è ancora tranquillo, le piste ciclabili non sono affollate come temevo. Certo, qualche passante c’è, ma siamo lontani dalle scene di sovraffollamento che raccontano i giornali. Il silenzio al quale le mie orecchie sono abituate è interrotto di tanto in tanto dalle risate dei bambini che vivono qui attorno. Li sento il lontananza, parlano attraverso i cancelli, si raccontano le trame dei cartoni animati, qualcuno gioca con macchinine radiocomandate, altri con il pongo.

Sentire la voce della piccola Giulia che fa le imitazioni degli animali mi fa sorridere il cuore e lo spezza poco dopo, quando porta la sua pista delle macchinine appena fuori dal mio cancello chiedendomi di uscire e giocare insieme. Vorrei sfondarlo quel cancello e correre ad abbracciarla ma non posso. M’invento una scusa, la prima che mi viene in mente: il cancello è rotto e non posso uscire.

«Lo gridò Ulisse a Polifemo nell’Odissea…».

La voce di Pierangela mi distrae dalle mie riflessioni.

«Come scusa?».

«Lo gridò Ulisse a Polifemo nell’Odissea…»

Facile, penso. «Nessuno».

Pierangela corruga la fronte: «No, lo ha detto Ulisse!».

Sorrido, temevo che ci saremmo arenate qui.

Qualche giardino più avanti c’è Edo, neanche tre anni, il bambino più invidiato del quartiere perché il papà gli ha costruito in breve tempo una casetta sull’albero e in giardino un percorso avvenura con tanto di cavo e carrucola.

Me lo domando spesso se di questo brutto periodo cancellerei qualcosa. In effetti questo lockdown è stato una condanna per molti, me compresa, e quando tutto riprenderà a scorrere ci troveremo di fronte ad una normalità tutta da riscrivere. Ma guardo negli occhi Edo mentre fa su e giù lungo quella fune tesa dal sottoportico al cancello. Ha la maschera da supereroe addosso, un mantello rosso, la mascherina sulla bocca e un paio di occhiali da sci arancioni.

«Edo, che fai con quegli occhiali?» chiedo.

«Ho i super poteri» risponde lui dal giardino con naturalezza. «Vinco il virus!».

La mia domanda trova così la sua risposta: no, non è tutto da buttare e i bambini ci hanno insegnato ancora una volta qualcosa: l’arte della resilienza, la capacità di attraversare il dolore senza esserne spezzati. Perché, come dicevano i latini, per aspera ad astra.

È attraverso i sentieri difficili che si raggiungono le stelle.