partenze

N.37 Gennaio 2023

CITTÀ

Se un mezzogiorno d’inverno alla stazione dei bus…

La danza della quotidianità in un dopo-scuola qualunque, tra autisti schivi, gelide pensiline, eleganti manovre, gruppetti e battutacce; tra chi arriva, chi parte e chi, invece, si ferma ad aspettare la prossima corsa

La pioggia incessante crea enormi pozzanghere sull’asfalto del piazzale. Le ruote degli autobus fendono le distese d’acqua che, per un attimo, smettono di riflettere il grigiore del cielo. Rapidamente si ricompongono, in attesa della corsa frettolosa di qualche passeggero distratto.
Cremona, piazzale degli autobus, ore 12.30. Questo freddo non ha pietà: congela il fiato, ghiaccia la punta del naso, si infila come un cuneo tra le scapole.
Gli autisti dei pullman guidano con disinvoltura mezzi mastodontici che, sbuffando, compiono eleganti parabole al temine delle quali si infilano, con precisione millimetrica, nella propria area di sosta.
Quando ci avviciniamo per porre qualche domanda, i conducenti ci riconoscono immediatamente come non appartenenti alla famiglia dei passeggieri. Dalla postazione di guida, attraverso il vetro bagnato dalla pioggia, la loro espressione muta velocemente passando da indifferente ad ostile.
Il più gentile avverte che partirà dopo una manciata di minuti ma ci indirizza, poche decine di metri da noi, da Angelo. Angelo, ruvidamente, ci rimbalza alla biglietteria dove, «di sicuro», troveremo qualcuno disposto a farsi intervistare. Tutto inutile perché, dal bancone, una signora gentilissima risponde che «al momento non c’è nessun autista» e che lei no, davvero, non se la sente di farsi fotografare.
Sotto la pensilina, appeso molto in alto, svetta un “Avviso agli utenti” che rammenta l’obbligo di «attendere sul marciapiede l’arrivo del bus». Un’indicazione da seguire con circospezione perché la tettoia metallica, in più punti, è talmente logora da essere bucata. Le panchine sottostanti sono fradice. E comunque sarebbero ghiacciate.

I ragazzi, in arrivo dai vicini istituti scolastici, si dispongono sul marciapiedi seguendo logiche misteriose: sono regole non scritte, collegate alle aree in cui la pensilina protegge dalla pioggia, nonché alla zona di arrivo dell’autobus atteso, e, naturalmente, alle persone a cui si vuol star vicino o da cui ci si vuole allontanare.
Colto di sorpresa, inaspettatamente, un autista della tratta Cremona-Piacenza accetta di scambiare due parole. Ammette serenamente che il lavoro non gli pesa, perché ha «sempre amato guidare». «La cosa che non mi piace è il comportamento di alcuni passeggeri», confessa accendendo una sigaretta. «Non mi lamento dei giovani, il problema sono le persone di mezza età e gli extracomunitari. Non sono razzista – afferma lanciando uno sguardo rassicurante – non ce l’ho con loro ma, quando sono senza biglietto, spesso diventano aggressivi. A me fortunatamente non è mai successo niente, ma alcuni miei colleghi le hanno prese».
La sigaretta, arrivata al filtro, compie un breve volo per poi spegnersi in una pozzanghera. In pochi minuti l’autobus si riempie di studenti; con un ruggito lascia il piazzale, direzione Piacenza.
Una ragazza con i capelli rosso fuoco, confabulando con le amiche, alza la voce: «Ma come faccio? Devo passare tutta la notte a studiare storia e tutto il giorno a studiare inglese!». La compagna cerca di tranquillizzarla snocciolando le date delle prossime interrogazioni. Arriva nel mentre un bel ragazzo dal cui cappellino spuntano fittissimi ricci corvini. Si guarda attorno e con un sorriso beffardo, dice ai suoi vicini: «Troppi stranieri».

«Ho sempre amato guidare.
La cosa che non mi piace
è il comportamento
di alcuni passeggeri»

Tre sedicenni, le teste infilate nel cappuccio della felpa, discutono di “business” e di futuro. Il primo rivela agli amici di aver trovato la formula vincente: «Vado a lavorare in tanti stati diversi e prendo una pensione per ogni Stato». Gli altri ridono.
Un giovane, incurante della pioggia, attraversa il piazzale su un monopattino elettrico. Nel mentre, un quarantenne male in arnese si inerpica sui gradini del pullman brandendo delle incongrue racchette da nordic walking.
Frammenti di discorsi di gruppi che sciamano al mio fianco; una ragazza scherza: «Mi sono vestita leggera vista la giornata» mentre, pochi metri distanti un quattordicenne prende in giro il compagno osservando che il Grumello «dev’essere una squadra molto seria se fa giocare te».

Tra una corsa e l’altra, il piazzale si svuota di mezzi e passeggeri. Rimane solo un piccolo gruppo, sei o sette maschi, di origine straniera, intenti a parlare e a ridere tra loro. Le frasi in arabo vengono intervallate da «va bene fra» e da qualche insulto in albanese. Nike air Jordan ai piedi, fedeli riproduzioni delle costosissime originali, cappellini neri con la becca, tute delle squadre di calcio. Si sentono “figli delle banlieue”; per i loro coetanei, che si tengono a distanza, sono i “maranza”.
Il piazzale, ormai semideserto, viene attraversato da un autobus cittadino, di quelli corti e tozzi. Dalla fiancata gli occhi azzurrissimi di una modella sorridente contemplano il vuoto sotto la pensilina. I denti bianchissimi non possono che garantire l’efficacia della clinica dentistica “aperta 24h”.
Ormai vuota, la stazione torna quieta e silenziosa, quasi immobile. Il passaggio degli studenti rimane inciso o dipinto sui pali metallici. Nulla di recente in verità, come il “Sara ti amo by ugge” che porta la data del 26/01/00. Niente di nuovo, come la rivalità tra Brescia e Cremona o un immortale “scemo chi legge”.
Ha smesso di piovere, ci allontaniamo attraversando una pozzanghera non troppo profonda dove galleggiano, malinconici, mozziconi di sigaretta e gusci di semi di girasole.