terra

N.01 Maggio 2019

PROSPETTIVE

Con giovani e donne pietre vive di Terra Santa

Dialogo con Giorgio Merigo, presidente di BCC Caravaggio e Yousef Zaknoun, docente all'università di Betlemme sui progetti che possono dare un futuro ai luoghi delle radici

foto Cole Keister / Unsplash

Parlare oggi di Palestina e Israele è difficile. Lo è perché gli antichi conflitti non sono mai sopiti e le tre grandi religioni faticano a dialogare per la pace. In questo fazzoletto di terra che chiamiamo santa l’incomunicabilità è mortificante, i tentativi di avviare relazioni bilaterali tra israeliani e palestinesi negli ultimi anni sono naufragati nell’indifferenza mondiale e il ruolo dei cristiani (ormai pochissimi), delle donne e dei giovani è marginale. Da dove ripartire quindi per non rimanere intrappolati nella paura e nell’immobilità? Ne abbiamo parlato con il professor Yousef Zaknoun, docente alla Bethlehem University e direttore del Cardinal Martini Leadership Institute per la formazione della classe dirigente palestinese e con Giorgio Merigo, presidente della BCC Credito Cooperativo di Caravaggio, Adda e Cremasco. È proprio quest’ultimo a raccontare di come la sua BCC, insieme ad altre realtà del Credito Cooperativo Italiano, stia lavorando in Palestina a progetti concreti che superino la logica dell’assistenzialismo per favorire invece lo sviluppo integrale della persona, sul solco di quanto suggerito dall’Enciclica Popolorum Progressio di Paolo VI. «Sostenere la nascita di cooperative di credito è un modo per aiutare le popolazioni di quelle terre a rimanere lì, a realizzarsi nella loro stessa terra, senza dover emigrare e poter continuare a salvaguardare le proprie radici. Sono infatti loro le pietre vive della Terra Santa! Come ricorda l’enciclica, “è lo sviluppo il vero nome della pace”; pertanto favorendo lo sviluppo locale si contribuisce anche a favorire condizioni di concordia e coesione sociale. I nostri progetti in fondo sono partiti da lì, dall’applicare gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa.

Sono loro le pietre vive
della Terra Santa
che altrimenti rimarrebbe
solo un cumulo di rocce antiche

Un esperimento che ha funzionato già a fine ‘800 e inizio ‘900 in Italia, quando nacquero le casse rurali e che trova ampio respiro anche oggi».

Creare un contesto normativo favorevole è il primo passo da compiere per consentire l’applicazione dei principi fondamentali delle BCC : cooperazione, solidarietà e sussidiarietà. «In Palestina – spiega il presidente Merigo – non esistono ancora forme specifiche di cooperazione di credito e stiamo lavorando perché le autorità locali prevedano l’adozione di leggi e regolamenti idonei e per attuare la necessaria formazione dei futuri cooperatori locali. Bisogna infatti uscire dalla logica della donazione, che ingabbia la gente e non risolve che le strette contingenze. Anche noi cristiani occidentali, che molto spesso siamo tentati di donare qualche moneta per metterci la coscienza a posto, dovremmo invece prendere atto che certamente bisogna tamponare le emergenze, ma bisogna poi operare con uno sguardo di lungo periodo. Bisogna creare modelli gestionali efficienti attraverso i quali le comunità locali capiscano che possono impegnarsi a progettare il loro futuro e fare da sé. Solo così prenderanno davvero in mano le proprie vite e i propri destini. È un impegno grande ma ne vale assolutamente la pena. E noi siamo disposti ad accompagnare questi nostri fratelli con la nostra esperienza e nello spirito di concreta sussidiarietà».Su un fronte diverso, ma in totale sintonia con il progetto della BCC Caravaggio e del Credito Cooperativo italiano, opera il professor Zaknoun. Due le realtà che questo docente universitario, cristiano maronita, segue da vicino. La prima è un’opera nata dall’amicizia profonda con il Cardinal Carlo Maria Martini, di cui oggi l’Istituto creato a Betlemme porta il nome. Lo scopo è accompagnare la formazione di giovani e donne palestinesi, siano essi cristiani o musulmani, perché un domani saranno loro la classe dirigente del Paese. Domandiamo al professore se pensa che gli studenti che frequentano l’Istituto abbiano imparato qualcosa dagli errori commessi dai grandi leader del passato. La risposta è confortante: «I giovani oggi sono meno indottrinati politicamente, sono stati testimoni del fallimento delle ideologie nel mondo arabo.

Noi li formiamo in maniera mirata: c’è chi si specializza in economia, chi in politica, chi in sociologia. Certo, le generazioni attuali vivono un momento difficilissimo perché hanno tante sfide da affrontare, come dimostra quello che succede nel mondo e in particolare in Medio Oriente. Per dare loro speranza c’è bisogno di un percorso chiaro che affronti i concetti di pace, di perdono, di giustizia. Sembrano parole scontate, eppure sono ancora oggi le basi portanti del futuro. Serve infatti perdonare, perché senza perdono non può esserci vera giustizia. Noi cristiani lo sappiamo bene, ma non è sempre facile da trasmettere ai giovani. Per questo andiamo avanti. Dare speranza a questi ragazzi significa aprirli al mondo non solo attraverso i social, ma educandoli ai valori della democrazia, della libertà e del pluralismo». Come? In dialogo costante con accademici, religiosi e politici cristiani, musulmani o laici. L’istituto – racconta ancora Zaknoun – si occupa di studi e ricerche condivise che affrontano il tema della convivenza sociale e politica, della migrazione dei cristiani e di come è diminuito il loro numero durante la prima e seconda intifada: «Dialogare è l’unica strada. Ma – avverte – il primo dialogo deve essere tra le diverse Chiese cristiane, con un coinvolgimento della Chiesa nella società. La Chiesa deve essere del popolo, non solo la custode dei santuari».

Per questo oggi esistono numerose attività per i giovani, incentrate soprattutto sull’identità religiosa e nazionale. «I ragazzi devono sentire di far parte di questa terra. Ma devono anche essere consapevoli che negare l’altro, senza cercare di accoglierlo, è il più grande dei peccati e degli errori. Per questo abbiamo organizzato incontri con famiglie e con donne su temi difficili come l’educazione dei figli o il ruolo della donna nella società palestinese». Proprio per queste ultime è nata l’Associazione Al Lika, voluta come aiuto all’emancipazione delle donne dei Territori. Partita con una quindicina di donne, oggi ne conta più di tremila. L’età va dai 20 ai 65 anni: ci sono ragazze, madri, mogli, nonne.Il ruolo della donna è nel contesto palestinese ancora troppo spesso marginale, specie in ambito musulmano: se non sono relegate in casa dopo matrimoni in età giovanissima, difficilmente proseguono gli studi o svolgono lavori ad alti livelli. Ecco che quindi l’Associazione, tramite corsi e workshop, ne sostiene l’educazione, l’inserimento lavorativo e la maturazione di un’identità forte della figura femminile. Sarebbero molti gli esempi da fare, ma il tempo dell’intervista è quasi finito. Ci saranno occasioni per ulteriori approfondimenti.

Eccole, le pietre vive. Sono questi giovani, questi docenti, queste donne e queste famiglie che con caparbietà, umiltà e fede hanno deciso di iniziare un cammino per far sì che questa terra promessa torni ad essere santa. E di tutti.