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N.08 Febbraio 2020

AI NOSTRI TEMPI

Con la spòrta di tela per la spesa plastic free

Con Piero alla scoperta degli stili di vita oggi contemporanei ma con radici profonde e da riscoprire senza facili nostalgie

Il fruscìo della carta riempie il silenzio del collegamento telefonico. All’altro capo, un referente del Gruppo Volontari Mura di Pizzighettone sfoglia le Pagine Bianche. «Barbaglio, Bodini, Bol… Bonardi Pietro, eccolo qui», esclama. «È la persona giusta, ma dovrete chiamarlo sul fisso».

Piero risponde dopo sei squilli, il tempo di raggiungere l’apparecchio di casa e sollevare il ricevitore. Appuntamento alle 15 in piazza d’Armi, presso il “Museo delle arti e mestieri di una volta”. L’incontro è anticipato da una telefonata di conferma, stavolta da un numero di cellulare. «Lo uso solo quando devo chiamare, altrimenti è spento. Chi vuole sa dove trovarmi», spiega con una semplicità pacata e ribelle, in barba all’iperconnessione digitale.

«Abito ancora dove sono nato. Come le piante, dove nascono finiscono». La famiglia Bonardi si stabilisce a Pizzighettone nel 1934, quando il cohousing non era una teoria dell’abitare sostenibile, ma un dato di fatto. «I miei genitori sono arrivati con quattro fratelli e tre sorelle, perché in sette non si pagavano le tasse». Lui è nato in casa nel 1937. «Sono il primo di quattro figli, ma non il più grande: i grandi sono i pittori, gli scienziati, gli scrittori… io ero solo il più lungo!».

Scherza, mentre cammina nel ventre delle Mura. Un tempo utilizzate come alloggio militare o magazzino, ora ospitano le casematte, ambienti riconvertiti ad uso pubblico e per un tratto trasformati in museo. Volte basse e muri spessi racchiudono oggetti del secolo scorso, donati da famiglie del posto. Alle pareti è appesa una foto in bianco e nero. “El véciu Barba”: l’etichetta funge da biglietto da visita per un volto antico dalla fronte increspata, ornato da una rigogliosa barba grigia. Oggi lo chiameremmo hipster, ma «anche il nostro Carducci aveva una barba così» ricorda Piero citando il primo Nobel letterario italiano, rockstar di un’epoca in cui il libro non era carta, ma cultura solida.

Anche Piero ama comporre versi: «La mia macchina per scrivere è la penna biro», svela mostrando una Bic. Sotto braccio tiene la sua ultima pubblicazione, Stòria e sturiéli de ün de campàgna, endecasillabi a rima alterna che non si distaccano molto da un buon fraseggio rap. Agli slogan preferisce i sonetti, scritti in dialetto «ma con gli accenti giusti – puntualizza – sono essenziali per evitare incomprensioni». Un po’ come per i social network. Dal canto suo, le “reti” sono quelle da pesca e il forum è la piazza del paese, luogo di ritrovo per eccellenza. «In queste ore stiamo preparando tutto ciò che occorre per i canti della merla», annuncia mentre ci fa strada tra i cimeli d’altri tempi.

«Certe cose si perdono, qualcuno le butta in discarica, ma ci ricordano che c’era un modo di vivere diverso». Alternativo? Forse, ma senza derive radical chic: l’unica regola è il buon senso. «Tutto è utile e nulla si getta. Investire in materiali riutilizzabili richiede cura e maggiore impegno, ma riduce lo spreco». A pensarci bene è la radice della filosofia zero waste, in cui ciò che dura non è scarto ma valore.

Scarpe in cuoio, giocattoli di legno, stoviglie in ceramica e bottiglie di vetro dimostrano una teoria già cara ai nostri nonni, che al posto delle borse di plastica usavano la spòrta di tela, pelle o paglia intrecciata. Per acquistare un chilo di cereali bastava uno staio della giusta misura, degno precursore del distributore di prodotti sfusi che oggi troneggia con falsa avanguardia alle pareti delle boutique green. Anche la cucina strizza l’occhio al passato: un pannello illustrativo ricorda che i superfood sono ancora «ris, fromènt e melegòt», mentre il marchio “bio” è nato ben prima della certificazione che impazza sugli scaffali dei supermercati.

«Oggi la gente vuole prodotti senza difetto, frutta liscia, uova tonde e regolari, ma la perfezione non è mai esistita in natura». Lo stesso vale per la forma fisica, spesso vittima delle mode, tesa tra taglie zero e rivincite curvy. Alla cyclette Piero preferisce la biciclèta, baluardo della mobilità dolce e antidoto a stili di vita troppo sedentari. D’altronde «una volta la palestra era la vita», non c’era bisogno di un centro fitness per tenersi in forma. Lo dimostrano le foto di giovani robusti impegnati nella pesca d’acqua dolce, quando non era uno sport d’élite, ma un’attività di sostentamento. «Pesce persico, trota, luccio, alborelle…» la nostra guida snocciola in scioltezza i nomi delle specie ittiche locali, con una precisione che fa invidia alle etichette della pescheria. Alla faccia della tracciabilità.