colori

N.19 Marzo 2021

SCOPERTE

L’arte della chimica fra le trame di una tela

Nel centro storico di Cremona c'è un laboratorio che indaga origine e tecnica dei capolavori di pittura andando a caccia dei pigmenti di colore

Nelle meravigliose stanze rinascimentali di Palazzo Fodri, nel cuore pulsante di Cremona, Curzio Merlo è, metaforicamente, ponte tra scienza e arte. Chimico di formazione, docente di chimica dei materiali e analitica-strumentale, è responsabile del laboratorio di diagnostica applicata ai beni culturali del Cr.Forma: «Non è immediata l’associazione tra la chimica e qualcosa legato all’arte. O meglio, lo era molto meno in passato. Figurati che io, classe 1959, iniziai a lavorare nel campo dei poliuretani…».

Negli anni Novanta, Merlo, uomo dai mille interessi, inizia ad avvicinarsi ai beni culturali e a tutte quelle problematiche che legano la chimica dei materiali a conservazione e restauro: «Attorno al 1995, in un contesto legato ad un corso del Cfp, mi approccio, per la prima volta, ai dipinti murali. L’obiettivo finale è conoscere il bene culturale. Da un punto di vista storico, artistico e archivistico. Contestualizzando l’opera. Ma anche in un senso materico. Individuando i materiali, puoi comprendere come l’artista ha realizzato, per esempio, il colore. Significa anche approfondire i meccanismi di degrado di questa materia, tra cui proprio il pigmento. Non puoi iniziare un restauro se non conosci la materia costitutiva».

L’approccio è molto rigoroso: «Il primo step è utilizzare le tecniche per immagini ed è un lavoro che compete al collega Mario Lazzari. Si fotografa l’opera, con l’ausilio di una macchina fotografica multispettrale ma anche altre radiazioni come luce ultravioletta o infrarossa. Acquisita questa documentazione, si cerca poi di capire dove indirizzare le analisi successive, che sono chimico-fisiche. Privilegiamo quelle non distruttive. Andiamo dal macroscopico al microscopico».

Il colore, come la musica,
si serve di una scorciatoia
per raggiungere i nostri sensi
e suscitare le nostre emozioni

Il colore è qualcosa che può svelare una sorta di carta di identità dell’opera: «Estrapoliamo indicazioni sul periodo di esecuzione. Alcuni pigmenti sono stati utilizzati, per esempio, a partire da una certa data. Se dico bianco di titanio, il suo uso si colloca a partire dal 1920. Per cui se ti trovi in una campitura antica del bianco di titanio, o è stato realizzato un ritocco, oppure l’opera è un falso. Il blu di prussia è stato scoperto casualmente a Berlino nel 1706, probabilmente per errore, nel corso di esperimenti su alcune vernici. Per creare il verde, in passato venivano impiegati pigmenti a base di rame come la malachite. Se trovi un verde di cromo, sai, invece, che è un pigmento ottocentesco… In spettroscopia vi sono delle strumentazioni, come la fluorescenza a raggi x, che, posizionate a circa mezzo centimetro da una superficie colorata, permettono di capire quali elementi chimici sono presenti in un’area di diametro compreso tra 1 e 3 millimetri».

Diagnostica significa anche conservazione e valorizzazione del bene: «Testiamo la variazione di parametri ambientali come temperatura, illuminazione ed umidità relativa. Tante conoscenze non mi arrivano dai banchi di scuola, ma dall’esperienza sul campo. Esiste una letteratura di riferimento, poi però si fanno sempre scoperte nuove. Prima che fosse ritoccata dal restauratore la tavola cinquecentesca del Mazzolino, ad esempio, abbiamo indagato sul manto azzurro della Vergine, scoprendo come l’artista avesse scelto l’azzurrite, pigmento antico ampiamente utilizzato nel XVI secolo».

Philip Ball, anch’egli chimico, disse che il colore come la musica, si serve di una scorciatoia per raggiungere i nostri sensi e suscitare le nostre emozioni «In questa frase trovo spesso il significato del mio lavoro», riflette Merlo. Il colore come viaggio interiore, come specchio di un percorso personale, quasi intimo: «Due anni fa feci delle indagini per un corso di restauro carta. Analizzai le pagine dell’Avventuroso, un fumetto della Casa Editrice Nerbini di Firenze, stampato negli anni trenta. Trovai nel colore giallo la presenza di cobalto. Ero perplesso, perché di solito il cobalto è associato al blu e al rosa. Non mi era mai capitato prima. Ecco cos’è a dare senso a quello che stai facendo e a spingerti a continuare… fino alla prossima scoperta».