viaggio

N.32 Giugno-Luglio 2022

CAMPIONI

Corpo, anima, mondo: la vita di Omar è un ultra-viaggio

In sella con Omar Di Felice, l'ultra-ciclista più famoso del mondo, che con la sua bici e la sua fame di scoperta frantuma record di endurance e scioglie i limiti nel contatto con la natura

Il diario fotografico del giro del mondo artico in solitaria di Omar Di Felice (foto cortesia O. Di Felice)

Quello di Omar è un viaggio paradossale. È largo 25 millimetri, quanto un copertoncino della sua bici da corsa, ma si estende fino agli angoli più remoti della terra: dal deserto del Gobi al passo del Thorung La nell’Annapurna, dalle distese di neve della Groenlandia alla Dalton Highway in Alaska. È lungo migliaia e migliaia e migliaia e migliaia di chilometri, circa 34 mila ogni anno (tanti ne percorre a colpi di pedale), ma lo conduce nel luogo più vicino che possa esistere: alla scoperta di se stesso. Omar Di Felice è un ultra-ciclista, o forse l’ultra-ciclista: tra i più popolari, vincenti ed estremi al mondo.

Una pedalata indietro.
L’ultra-ciclismo è quella regione del ciclismo che inizia convenzionalmente dal confine dei 300 km e non ha limiti superiori. Gare no-stop attraverso gli Stati, competizioni agguerrite in cui dormire qualche minuto di troppo costa la sconfitta. La più famosa è la Race Across America, 5mila chilometri dalla West alla East Coast da percorrere in un tempo limite di 12 giorni. La più estrema è la “sorellona” Trans America, che collega sempre il Pacifico con l’Atlantico, è lunga 6.800 km ma vieta la presenza di team al seguito. Tradotto: il ciclista è completamente solo in mezzo alle terre dello Zio Sam e ai cani famelici del Kentucky. Lui, la sua bicicletta e l’occorrente per portare a termine la folle traversata. Nel 2019 Omar è arrivato terzo. Primo italiano della storia sul podio.

Un’altra pedalata indietro.

Omar è nato il 21 luglio 1981 a Roma. Nel 1994 rimane folgorato da Marco Pantani sulla via di Merano, quando il dio pelato del ciclismo si rivela al mondo. Allora inforca la bici e prova a imitarlo andando a caccia delle salite più ripide. Nel 2006 scala fino in vetta al ciclismo professionistico, ma capisce che la sua vita viaggia a velocità diverse. Così, mentre si laurea in design e lavora come grafico pubblicitario, scopre che il ciclismo ha un parente “ultra”, e se ne innamora. Quando prende parte alle gare, le vince (due volte campione italiano di ultra-cycling, primo al Tortour in Svizzera, primo al Tour du Mont Blanc, primo alla Race Across France, primo alla Transatlantic Way) grazie a una straordinaria solidità mentale e a una strategia ferrea: riposi di 3 ore, rush finali con micro-sonni di pochi minuti (“power nap”). Ma le competizioni non esauriscono la sua voglia di avventura. Atlante alla mano, Omar traccia la rotta di nuove imprese, come i grandi esploratori del Cinquecento.

Porta la sua bicicletta a Capo Nord nel pieno dell’inverno artico, solca l’Islanda per 1200 km e affronta l’Arctic Highway in Canada. Nel 2020 diventa il primo ciclista al mondo ad attraversare il deserto del Gobi (Mongolia) in inverno e in solitaria. Nel 2021 stabilisce lo stesso record in Himalaya, da Katmandu fino al Campo Base dell’Everest (5364 metri di altezza). Nel 2022 è il primo a compiere il Giro del Mondo Artico in inverno lungo le tre linee di confine, dalla Kamchatka (notizia: non esiste solo nel Risiko!) all’Alaska, passando per la Lapponia, le isole Svalbard, la Groenlandia, l’Islanda e il Canada – 4.200 km in 45 giorni effettivi.

Gli ingredienti della sua epica sono le ascese vertiginose e le condizioni proibitive, al punto che in rete è nata l’espressione “Zona Omar” per indicare le uscite in bicicletta più avventurose. I suoi selfie con la barba ghiacciata e le sopracciglia imbiancate dopo una pedalata a 42° sottozero hanno fatto il giro del mondo. Soprattutto, la sua innata capacità di raccontare le imprese in diretta e tenere migliaia di persone incollate ai social gli hanno portato un’ampia notorietà, che impiega per dare voce a cause nobili: la sicurezza dei ciclisti e la lotta contro i cambiamenti climatici. Con il suo progetto “Bike to 1,5°”, ovvero l’esortazione a contenere entro il grado e mezzo l’innalzamento della temperatura media terrestre, Omar è arrivato a partecipare alla COP26 di Glasgow, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ovviamente in bici, partendo da Milano. Ovviamente il primo a portare le due ruote all’interno di questo consesso.

«La fatica estrema
trasforma il viaggio tradizionale
in un viaggio interiore»

Dallo sport al viaggio estremo: quando è scattato il click?

«Ho sempre sentito l’attrazione per le lunghe distanze, anche quando ero ciclista professionista. Capire che l’ultra-ciclismo era la mia vocazione è stato un processo naturale, in cui l’approvazione del pubblico ha dato la sua spinta. Nel 2012 ho percorso in bici il Cammino di Santiago con una Go-Pro sul casco. Dopo aver pubblicato le immagini su YouTube e Facebook sono stato contattato da Sky, lì ho capito che le mie avventure potevano risultare interessanti alle altre persone. Così mi sono attrezzato. Anno dopo anno ho alzato l’asticella. Tutta la mia vita è un lungo viaggio: non so dove mi porterà».

Cosa significa “viaggiare”?
«Il viaggio è un percorso che ha un inizio e una fine. Nel suo sviluppo tra questi due estremi, posso maturare, approfondire la mia conoscenza interiore oltre che quella esteriore. Il viaggio è il romanzo di formazione del Duemila».

C’è un modo di viaggiare migliore rispetto a un altro?

«Ci sono mezzi che permettono di vivere meglio questo percorso formativo. La bicicletta ha la velocità giusta per farti apprezzare ogni dettaglio. Scalo i tornanti dello Stelvio e vedo uno stambecco a bordo strada che mi osserva incuriosito. Con il rombo dell’auto sarebbe corso via».

Ma la bicicletta è anche fatica. Pe te è addirittura fatica estrema.
«Tutto quello che facciamo nella vita rappresenta un viaggio. Nel mio caso, il viaggio entra nell’ambito sportivo e ha i connotati dell’avventura estrema. La fatica ti fa perdere di vista dettagli al di fuori, ma te ne fa scoprire molti altri all’interno di te. La fatica estrema trasforma il viaggio tradizionale in un viaggio interiore».

E dove conduce questo viaggio interiore?

«Mi ha portato alla consapevolezza delle capacità umane, a sviluppare un controllo del corpo e della mente che non avrei mai creduto possibile. Dopo un’avventura estrema, riordini la gerarchia dei problemi quotidiani e li affronti meglio. Pensaci: noi abbiamo la tendenza a drammatizzare. “Fa troppo caldo, è impossibile resistere senza aria condizionata”; “Questo lavoro è troppo faticoso, non ce la farò mai”. Quando arrivi a capire che il tuo corpo, governato dalla mente, ha una forza straordinaria, allora cambi prospettiva e affronti la vita di tutti i giorni con il giusto equilibrio».

Le tue imprese, però, non sono alla portata di tutti.
«Io consiglio a tutti, secondo le loro capacità, di andare oltre a quei limiti che pensiamo insormontabili, di fare un viaggio in quella zona che immaginiamo più grande di noi. Sulla strada, ci accorgeremo che non è poi così grande e abbiamo le forze per affrontarla. Consiglio anche a tutti di fare almeno una volta nella vita un viaggio in bici. Basta poco! Prendete la bici, attaccate qualche borsa e partite. Andate al mare, dormite una notte fuori, ritornate in treno se non riuscite con le vostre gambe. Quando pedali e conti sulle tue forze, scopri che stai meglio».

Il viaggio che ricorderai per sempre?
«Tutti. Ma il più simbolico è stato in Mongolia: la prima traversata in solitaria senza team di supporto».

Il viaggio che non hai ancora fatto?
«Il prossimo».

La salita all’Himalaya

L’insegnamento più bello appreso in viaggio?
«Quando pensi che sia finita, non è finita. Dove c’è un problema, c’è anche una soluzione».

Perché la continua ricerca del record? “Il primo ad attraversare il Gobi”, “il primo ad attraversare l’Himalaya”. Perché continuare ad alzare l’asticella? Ulisse, superate le Colonne d’Ercole, si è inabissato all’Inferno.

«Perché il mio viaggio è un’esplorazione dentro di me. Io voglio capire qual è il limite apparente e qual è il limite reale. Cosa succede quando la temperatura scende a -40° e decidi di proseguire invece di fermarti? Voglio esplorare me stesso, e unisco questo impulso all’esplorazione dell’ambiente che mi circonda».

Cos’è cambiato dai grandi esploratori del passato? Colombo, Marco Polo, Cook…

«Mi ha sempre affascinato scoprire cosa ispirava Ernest Shackleton o Walter Bonatti. I grandi del passato fanno quello che facciamo noi. Sono cambiate le coordinate spazio-temporali, ma la fiammella che tiene accesa la passione è sempre la stessa: la curiosità. Cristoforo Colombo viaggiava per scoprire una nuova terra, io voglio scoprire cosa succede al corpo umano. Le grandi scoperte nascono dalla curiosità. L’uomo si evolve per curiosità».

Come i viaggiatori mitici, anche tu sei entrato in contatto con culture allogene e hai potuto interrogarti sulla nostra civiltà occidentale.

«Per quanto possa leggerle su internet, non capisci le altre culture finché non le vivi di persona. Degli incontri con le altre popolazioni ne ho tratto quasi una legge fisica: maggiori sono le condizioni di essenzialità in cui si vive, maggiori sono le doti di umanità. L’indigenza materiale è compensata dalla ricchezza umana. Ho visto più felicità negli occhi dei poverissimi bambini nepalesi che nei nostri ragazzi, sempre insoddisfatti di quello che possiedono. In Groenlandia come nel Gobi ho capito che non esiste il “mio” o il “tuo”: il pezzo di pane si divide tra tutti i commensali».

In fin dei conti, la logica del possesso esclusivo è la stessa che governa il rapporto dell’uomo occidentale con la natura.

«Abbiamo preso possesso della natura e pensato di poterla adattare alle nostre esigenze senza vincoli. Voglio il palazzo più alto al mondo? Lo costruisco, senza curarmi dell’impatto ambientale. Ho freddo? Accendo il riscaldamento e faccio i Caraibi in casa, fregandomene delle conseguenze. In Mongolia l’uomo vive ancora in simbiosi con l’ambiente, si sposta nel deserto scrutando le stelle. Il mondo è la Casa dell’essere umano. Tra le popolazioni nordiche, alcune esigenze di sopravvivenza travalicano l’ambientalismo. In Groenlandia cacciano, ma lo fanno per mangiare, noi per puro divertimento. Questo dimostra quanto noi occidentali abbiamo perso ogni relazione di sintonia con la natura».

Esiste una ricetta per ritrovare il paradiso perduto?
«L’uomo può riscoprire la natura attraverso piccoli passi. Camminare, ascoltare i rumori, gustare i sapori. Vivere con più attenzione e rispetto».

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Avventure in due libri
e social da… record

Omar ha raccontato le sue avventure estreme e il suo pazzo amore per la bicicletta in due libri: “Pedalando nel silenzio di ghiaccio. Il ciclismo estremo e la felicità” (Rizzoli, 2020) e “Zona Omar. Stati Uniti coast to coast pedalando oltre il limite” (Baldini & Castoldi, 2021). Quotidianamente aggiorna i suoi follower su Instagram, Facebook e sul sito www.ultracyclingman.com. Le sue imprese sono tracciate live su Komoot, ogni record è certificato dall’International Board dell’ente Record Holders Republic.