scuola

N.13 Settembre 2020

TECNOLOGIA E DIDATTICA

È già una nuova era
e la scuola non tiene il passo

Una riflessione sullo schiaffo che il lockdown ha rifilato a tempi e metodi della didattica E un invito a cogliere la profondità del cambiamento che viene richiesto per fare in modo che gli studenti "indossino" la cultura di quest'epoca e non ne siano solo "coperti"

Alberto Petrò, "Automatic painting" - 2020 Stampa fotografica Fine Art a getto d’inchiostro Dalla mostra "GestoZero" , che sarà ospitata dal Museo del Violino di Cremona dal 1 ottobre al 1 novembre 2020

Il grande cambiamento che chiamiamo Rivoluzione Digitale, iniziato dopo la metà del secolo scorso ed entrato nel vivo all’inizio del terzo millennio con la diffusione di Internet, con l’avvento della Rete mobile e con la massiccia adozione di smartphone e altri dispositivi intelligenti, sta interessando l’umanità su tutti i fronti e in ogni modo, ma la sua progressione è tutt’altro che omogenea.

La rapida diffusione della tecnologia di consumo e l’entusiasmo con cui miliardi di persone in tutto il mondo ne hanno accolto e divorato i frutti, ha determinato nel corso di un brevissimo lasso di tempo (non più di un paio di decenni) un evidente squilibrio tra l’evoluzione degli stili di vita delle singole persone e quella delle organizzazioni di ogni genere, più lente nell’adozione degli strumenti e nella comprensione delle esigenze di un mondo che si sta spostando verso il futuro ad una velocità mai vista in passato.

La pandemia, che ha chiuso in casa per molti giorni miliardi di persone in tutti i continenti, ha risvegliato con una secchiata d’acqua gelida sulla faccia i molti che stavano ancora pianificando la transizione di aziende, organizzazioni, enti e istituzioni. Tra queste ovviamente la scuola.

Se proviamo a guardare indietro e ad elencare i cambiamenti che hanno interessato case, uffici, negozi e luoghi pubblici e privati di ogni genere, nell’arco degli ultimi 30 o 40 anni, non è difficile notare come soltanto la scuola sia rimasta pressoché ferma e uguale a sé stessa nell’arco di molti decenni. Le più moderne dispongono oggi di videoproiettori, della mirabolante LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), di qualche laptop e addirittura della connessione Internet, ma l’uso di questi strumenti è per lo più limitato e marginale.

La scuola si muove ancora più lentamente delle altre organizzazioni e questo è un paradosso inaccettabile. Non esiste un solo ragazzino che, dal gattonamento in avanti, non prenda tra le mani uno smartphone, un tablet, una consolle di gioco o qualsiasi altro strumento digitale e non riesca a capire in pochi minuti come si usa. È una nuova era e impone un cambiamento enorme nel modo di fare scuola e di educare i ragazzi. Non si tratta di insegnare loro ad usare la tecnologia, ma di guidarli in un’epoca in cui, oltre ai riferimenti culturali e nozionistici che la scuola non può e non deve abbandonare, ai ragazzi devono essere forniti solidi pilastri di consapevolezza, responsabilità, creatività e visione.

Alla millenaria domanda “chi siamo”, cui da sempre la scuola tenta di fornire strumenti d’indagine e di comprensione, oggi è impossibile non rispondere che siamo uomini aumentati dalla tecnologia, perennemente connessi e immersi in un ambiente che alcuni definiscono VUCA: volatile, incerto, complesso e ambiguo. Non che non fosse sufficientemente VUCA lo scenario in cui si muoveva la piccola vedetta lombarda di De Amicis, ad esempio, ma il mondo cui dobbiamo preparare i nostri ragazzi è qualcosa di enormemente più difficile da comprendere e da decifrare.

Ecco perché la scuola dovrebbe cambiare: radicalmente e in fretta.

Non si tratta di insegnare
ad usare la tecnologia,
ma di guidarli in un’epoca

Ciò che manca non è la tecnologia in sé, ma la capacità di inserire gli imprescindibili riferimenti didattici e il programma di studio suddiviso in materie in un contesto più ampio e non più slegato dalla realtà e dal momento, come oggi inevitabilmente appare a molti studenti.

«I professori sono quasi tutti fuori dal tempo», cantava Morgan con i Bluvertigo nel 1997, e in 23 anni poco o nulla sembra essere cambiato. Non per colpa degli insegnanti, ma perché la scuola non riesce a tenere il passo di una società e di una civiltà che vola letteralmente verso il futuro.

Un tempo, quando i libri di scuola e il programma da studiare sembravano molto più vicini alla vita reale, ci dicevano che ciò che imparavamo (e che allora ci sembrava del tutto inutile) ci sarebbe di sicuro servito in futuro. Una promessa che, oltre a trovare sbocco nei quiz televisivi, nella soluzione dei cruciverba e nel Trivial pursuit, a molti ha effettivamente cambiato la vita, ma che oggi sembra molto meno plausibile.

Questo non accade perché i ragazzini sono costretti a studiare sui libri come si faceva nel secolo scorso, anziché con nuovi formati multimediali o addirittura immergendoli nell’esperienza esaltante della realtà virtuale. Il problema è che tutte quelle nozioni trovano sempre meno sbocco e applicazione nel quotidiano e che, soprattutto, prevalgono in modo del tutto anacronistico sui riferimenti che ad ogni ragazzo dovrebbero essere forniti per renderlo un cittadino digitale, consapevole, responsabile, capace di usare gli strumenti anziché esserne usato.

Innovare non significa
fare qualcosa di vecchio in modo nuovo
ma aver capito così bene il vecchio
da poter passare alla fase successiva

Mancano percorsi di conoscenza e di consapevolezza capaci di spiegare, ad esempio, la fondamentale differenza tra imparare davvero qualcosa e reperire informazioni in Rete, attività che assomiglia molto da vicino all’esercizio di unire i puntini nel famoso gioco enigmistico senza che essi siano numerati.

Se è vero che la Rete offre infinite opportunità di conoscenza, infatti, è altrettanto vero che conoscere non significa appagare la propria curiosità andando a leggere di volta in volta qualcosa su wikipedia o su un’enciclopedia cartacea, ma ampliare gradualmente il proprio bagaglio passando attraverso tutte le tipologie di indumenti e di accessori, anziché riempirlo soltanto con un voluminoso e spesso inutile cappotto. Vestirsi non significa infatti coprire il corpo e combattere le intemperie, ma indossare la cultura della propria epoca, farla propria e conoscerne le opportunità, i limiti, i rischi e le caratteristiche.

Una scuola capace di formare veri cittadini digitali è dunque una scuola che non parte dalla tecnologia, dalle app, dal software e dall’hardware, ma che a tutto ciò arriva dopo aver insegnato ai suoi alunni che questi altro non sono che potenti e duttili strumenti, senza i quali l’umanità è arrivata a concepire, progettare e inventare tutto quel che conosciamo, mentre se oggi non fossimo più in grado di utilizzarli rischieremmo di ritrovarci in un’epoca buia e tragica, in cui ogni punto di riferimento scomparirebbe sotto i nostri occhi e ogni nostra certezza e comodità sarebbe bruciata nel giro di pochi giorni, se non ore. Innovare non significa fare qualcosa di vecchio in un modo nuovo, ma aver capito il vecchio così bene da poter passare alla fase successiva senza paura di perdercisi dentro e di scivolare giù nel pendio della storia, rischiando di dover ricominciare tutto da capo.