scuola

N.13 Settembre 2020

RUBRICA

Perché la scuola
è così difficile da vedere?

Se la scuola è una questione di sguardi, per mostrarla (bene) sullo schermo occorre credere ciecamente ai ragazzi, facendo emergere senza finzioni il loro punto di vista

Il cielo è di tutti (Avisco)Cremona è stata la prima città italiana a concepire una “rassegna nazionale di film e video realizzati a scuola”, promossa dall’IIS Torriani nel dicembre 2019, per favorire la circolazione e lo scambio di esperienze nel settore: un piccolo festival che ha regalato vere e proprie sorprese, con video capaci di autentica poesia, come questi realizzati in una terza elementare dell’Istituto Kennedy Ovest 3 di Brescia a forte composizione multietnica (Il cielo è di tutti, e Un signore maturo con un orecchio acerbo).

Sulla scuola esiste un’ampia letteratura che – con voci, stili e sensibilità molto diverse – è riuscita a raccontare numerose esperienze di formazione. Da Eraldo Affinati a Domenico Starnone, passando attraverso Edoardo Albinati, Marco Balzano, Alessandro D’Avenia, e ancora Stefania Auci, Marco Lodoli, Paola Mastrocola, Sandro Onofri, Christian Raimo, Maria Pia Veladiano, il cremasco Alex Corlazzoli e tanti altri, si potrebbe fare l’appello degli scrittori-insegnanti (o insegnanti-scrittori? La differenza è rilevante!) i quali hanno saputo raccontare, con autenticità e partecipazione, il loro mondo e quello dei loro alunni, inquieti liceali o immigrati poverissimi, bambini innocenti o detenuti con lunghe pene da scontare.

Mediatori di saperi, questi docenti hanno sollevato lo sguardo dalle difficili contingenze della loro professione per fissare negli occhi coloro che avevano davanti, gli alunni, continuando a intercettarne lo sguardo nel tempo; sentitisi responsabili per loro, ne hanno voluto trattenere la storia per consegnarla, in un virtuoso circuito di scambi e di conoscenze, al pubblico più grande dei lettori.

Non altrettanto si può dire del cinema. Sia perché i film che parlano della scuola sono meno numerosi (e recenti), sia perché sono – in generale – meno convincenti.  Accanto alle pellicole che presentano classi irrequiete e vivaci in chiave comica (sul modello di ScuolaZoo), o ai racconti per adolescenti che assumono la scuola come contesto per portare in luce le dinamiche tipiche dell’età (come nella serie Skam Italia), il modello narrativo prevalente è quello del professore idealista che conduce un’impervia quanto solitaria battaglia per l’educazione dei ragazzi, destinata ai più grandi insuccessi sia per l’insensibilità dei colleghi e dell’istituzione sia per la completa indifferenza dei ragazzi.

Perché questa disparità? Perché la scuola è così difficile da vedere?

La risposta non risiede solo nelle indubbie condizioni socio-culturali del nostro tempo che, a fronte di complesse problematiche, hanno occultato la scuola e i suoi problemi facendola diventare quasi invisibile nei media, esibendola solo in banali parodie (reality come Il collegio) o nei ritagli del dibattito politico.

La scuola è difficile da vedere e da mostrare perché – come tutte le istituzioni totali o “semitotali”, parafrasando Foucault – pone in gioco il problema dello sguardo. L’identità di chi guarda (e il peso del suo modo di vedere, carico di pre-giudizi e/o di aspettative) è determinante nella messa in mostra della scuola. Ne è prova il fatto che i registi che l’hanno raccontata meglio sono documentaristi, abituati a lasciarsi provocare dalla realtà senza imporle (o anteporle) una visione già carica di significati (o anche solo di legittime preoccupazioni pedagogiche).

Si pensi alla sorprendente genuinità con cui il maestro della pluriclasse di un paese della campagna francese accompagna le stagioni e la vita dei suoi bambini in Essere e avere (di Nicolas Philibert, 2002), oppure alla difficile quotidianità della classe raccontata in Entre les murs (di Laurent Cantet, 2008), il cui titolo parla di un luogo (la classe) e della posizione delle macchina da presa (“in mezzo”, tra i banchi, tra gli studenti e i docenti e non “sopra” di loro). E come non ricordare il Diario di un maestro (di Vittorio De Seta, 1972, tratto da Un anno a Pietralata di Albino Bernardini), un film televisivo prodotto dalla Rai per raccontare un anno scolastico in una difficile borgata romana con lo sguardo di un raffinato antropologo capace di far emergere la verità delle cose.

Se la scuola è una questione di sguardi, per mostrarla (bene) sullo schermo occorre credere ciecamente alla verità del mezzo (la camera), alla sua capacità di rivelare un brano di realtà, al di là delle storie che le sceneggiature imbastiscono. Oppure occorre credere ciecamente a chi se la vive addosso, ossia i ragazzi, facendo emergere senza finzioni il loro punto di vista. Gli sguardi di sottecchi che Antoine Doinel rivolge al maestro ne I 400 colpi di François Truffaut (1959), regista profondamente convinto della sincerità interpretativa dei bambini, sono eloquenti come un trattato di pedagogia moderna.

Che fare allora per dare visibilità al mondo della scuola? 

Forse varrebbe la pena di ripristinare una vecchia locuzione, “a ben vedere”, per farne una materia scolastica. Non solo italiano, matematica, diritto, chimica …. ma lezioni di sguardo, per studenti e docenti. Perché nessuno è straniero nella civiltà delle immagini, e – con la complicità dei social – la nostra esposizione e abitudine quotidiana ad esse è aumentata a dismisura: abbiamo gusti precisi, processiamo migliaia di immagini, ma non è detto che abbiamo acquisito una vera consapevolezza, una capacità critica sul nostro sguardo.

L’educazione ai media (che costituisce l’oggetto di una disciplina, la media education) oggi è un obiettivo sempre più valorizzato dalle politiche nazionali, europee e mondiali come strumento per operare una piena cittadinanza, per dare a tutti parità di accesso all’interpretazione delle immagini.

Aumentare la media literacy è un auspicio promosso anche dalla recente legge sul cinema (n. 220, 14.11.2016), che ha messo a disposizione delle scuole dei fondi per l’educazione al cinema e agli audiovisivi. Portare il cinema nelle scuole è il primo passo per riconciliare queste due realtà e creare nuove sinergie, nuovi sguardi. Anche dal basso, valorizzando il punto di vista dei ragazzi, puntando però non a produzioni casalinghe (con un’estetica del mal fatto, di cui soffrono purtroppo tanti audiovisivi di “buona volontà” realizzati dalle scuole), ma a filmati che regalino il piacere di guardarli, di apprezzarli, di condividerli.

Al lettore-spettatore di queste pagine vorrei consegnare degli esempi realizzati in scuole che hanno beneficiato del contributo statale: due video creati rispettivamente dagli studenti del Liceo Scientifico (Questione di chimica) e dal Liceo delle Scienze Umane ed Economico Sociale di Cremona (00-320-75-2040), entrambi con la regia di Silvia Cascio. Storie di ordinaria “distopia” che mettono a tema questioni profonde (l’inclusione, la visione del futuro) con lo sguardo dei giovani.

A ben vedere…. la scuola inizia a mettersi in gioco.

Per tornare a rendersi visibile, non può che scommettere sui giovani.