sbagli

N.43 ottobre 2023

dialoghi

In confessionale, una stanza piena di luce

Dialogo con fra Andrea Cassinelli, confessore nel convento del Cappuccini di via Brescia sul bisogno umano e spirituale di fare i conti con se stessi, con il proprio peccato con la ricerca della luce

Saint Malachy © S. Billie Mandle

La fotografia qui sopra è tratta da Reconciliation di Billie Mandle – Leggi qui l’approfondimento

Siamo la mia giornata, la mia camicia bianca ed io. Entriamo in un bar e ordino un caffè. A raccontarla così sembra l’inizio di una barzelletta. Prendo lo zucchero, lo verso nel caffè e mescolo. Troppo in fretta forse e, per sbaglio, macchio la mia camicia.

Siamo la mia giornata, la mia camicia bianca, una macchia ed io. Davanti a noi ci sono due porte, la prima conduce ad una camera buia, dove posso rintanarmi e nascondere nel buio la macchia di caffè. La seconda conduce in una stanza luminosa, dove la macchia risalta ancora di più. Quale scegliere?

Ne parlo con fra Andrea Cassinelli, guardiano del convento dei frati Minori Cappuccini di via Brescia, a Cremona. Ne parlo con Andrea, uomo, come tutti noi, che di macchie di caffè ne ha viste molte nel corso degli anni.

La prima domanda che sorge spontanea riguarda il perché nasca la necessità di confessarsi. Istintivamente verrebbe da pensare che sia tutto collegato esclusivamente al credo religioso, ad un modo di pensare puramente legato ad un concetto di Fede e alle responsabilità che questa rappresenta. Il discorso però è molto più ampio e per certi versi anche più semplice.

foto diocesidicremona.it

«Sbagliare è umano.» Risponde tranquillamente Andrea. «Ogni qual volta una persona discute, litiga o commette un atto che percepisce come sbagliato, sente la necessità di rimediare, di chiedere scusa e di riconciliarsi. È un’esigenza innata il bisogno di ricongiungersi con uno stato di fisiologico equilibrio.»

Tutto ciò in effetti non ha a che fare solo con una pura questione di Fede, perché al di là del momento sacramentale in sé, del percorso a connotato religioso, della ricezione della Grazia per aumentare l’unione con Dio e provare a raggiungere la santità, c’è un discorso di coscienza e di ammissione, che ha un carattere naturale e che ci accomuna tutti. Dopotutto i dieci comandamenti, quelle regole che definiscono la fede cristiana e donano un connotato allo sbaglio, eccetto due, possono essere definite come leggi universali per una migliore convivenza.

Ed è a quel punto che tutto assume un valore molto più profondo ed importante. Perché capire l’importanza di uno sbaglio, diventa il principio per comprendere che c’è un percorso che ci accomuna tutti, perché ogni azione conduce a delle conseguenze e ogni conseguenza si riduce alla scelta tra due porte: quella buia e quella luminosa, quella che nasconde e quella che tiene l’occhio puntato sul nocciolo della questione.

San Carlo Borromeo si confessava ogni giorno, quasi volesse dimostrare la necessità di un dialogo quotidiano con noi stessi, di un confronto costante che funga da monito per restare vigili, per ricordarsi che dobbiamo sempre essere onesti con noi stessi per poterlo essere con gli altri, per non isolarci nel nostro egoismo e perseverare a vivere in stanze buie, in isole solitarie.

E l’assoluzione non è la totale remissione dei peccati per poi lavarsi la coscienza e ripartire come se nulla fosse successo. La benedizione non è l’intervento di Dio per eliminare un dolore o guarire una ferita, come se ciò fosse dovuto e scontato.

Sono solo il punto di partenza, di un cammino costante nella luce, di un capire che scegliere di vivere nell’Amore è una decisione quotidiana, un impegno che si ripete giorno dopo giorno e che assume significato solo quando non ci si aspetta nulla in cambio, solo quando si comprende che ciò che è in nostro potere è il solo provare a fare il massimo per raggiungere la pienezza.

«Perché solo Dio è perfetto
e non desiderava creare dei burattini
che eseguissero tutto nel migliore dei modi,
ma degli esseri liberi»

Perché gli sbagli non terminano mai e nessuno ne è esente, nemmeno i Santi che, come san Francesco d’Assisi, si sono spesso definiti dei grandi peccatori.

Ma perché Dio, se ci ha creato a sua immagine e somiglianza, non ci ha fatto perfetti come Lui? – mi viene spontaneo domandare.

«Perché solo Dio è perfetto – risponde fra Andrea – e non desiderava creare dei burattini che eseguissero tutto nel migliore dei modi, ma degli esseri liberi, liberi di decidere. La disobbedienza è il punto cruciale, il grosso rebus del libero arbitrio. La scelta di mettere il proprio punto di vista personale e andare contro il bene comune».

Lo storico Barbero ne farebbe un discorso sulla differenza tra Storia e Memoria, spiegando come la seconda sia in grado di rendere a tutti la ragione che cercano, escludendo quella altrui e proseguendo così a contribuire ad un mondo fatto di guerre, arrivismi sociali e ostilità continue.

Allora chiamiamolo Dio, chiamiamola oggettività, chiamiamola coscienza o come preferiamo, ma il succo del discorso resta sempre uguale: abbiamo bisogno di luce, abbiamo la necessità di vedere la macchia e di capire da dove partire, di comprendere cosa abbiamo sbagliato per poterci impegnare a non ricommettere gli stessi errori.

Quindi perché perseveriamo? Perché continuiamo a scegliere la stanza buia dove pensiamo di nascondere la macchia di caffè?

O forse la domanda corretta è, perché continuiamo a seguire il male?

In televisione fanno audience gli scontri, le persone che urlano, i fatti di cronaca nera, i litigi che devono ancora nascere. Sui social spopolano le lamentele, i giudizi negativi, la propaganda all’odio. La notizia è insomma figlia del male, è una spinta all’astio e alla separazione. «Perché il male cammina più alla svelta, interessa alla gente ed è limpido e immediato, come una botta che si manifesta subito con il dolore o un ematoma. Il bene invece ha un rilascio lento ed è spesso meno visibile, dato per scontato, quasi fosse una condizione di normalità che ci spetta di diritto, che ci è dovuta.

Capire che non siamo al centro dell’universo, che non siamo soli nemmeno nella più banale delle nostre azioni, è oggi più che mai fondamentale e anche sempre più raramente realizzato. In un concetto puramente cattolico lo stato di fatto è che Dio c’è, ma forse non ci siamo noi e questo è palese anche senza connessioni religiose.»

Allora perché? Forse perché siamo figli di un periodo storico dove questo egoismo dilagante prolifica nel benessere. Già, quella ricchezza che crea stabilità e quella stabilità che genera immobilità e sfocia in pigrizia. Pigrizia di pensiero, di riflessione, di ricerca e di confronto. Pigrizia che toglie alle persone quello stimolo ad una confessione quotidiana, a una messa in contatto con noi stessi che rivelando genera delle domande e domandando prova a dare delle risposte.

Scegliere di vivere nell’Amore
è una decisione quotidiana

Stiamo così perdendo la propensione al sacrificio, quello reale per intenderci e non la scelta sul dover mantenere la temperatura di casa a venti gradi e non più a ventiquattro. Il sacrificio oggi ci è propinato come il doverci togliere quella montagna di cose in più che già possediamo e tutto ciò è illusorio. Per questo rimaniamo nel nostro orticello. Viviamo nella pigrizia e l’egoismo altro non è che la paura di perdere qualcosa che crediamo ci sia dovuto.

Forse è per questo che la povertà risulta essere l’unica vera condizione di uguaglianza. Il sacrificio per non dare per scontato il bene prezioso della vita, che è un lungo cammino fatto di sbagli, nel quale scegliere quotidianamente la direzione da seguire.

«C’è una visione distorta dell’io – riflette il padre cappuccino – Ciò che io penso e vivo è il mio punto di partenza e di arrivo. Per questo la Fede crolla; perché porta ad uscire da sé.»

Su questa frase termina il mio dialogo con fra Andrea Cassinelli.

Siamo la mia giornata, la mia camicia bianca e una stanza piena di luce. Dentro ci sono io, una macchia di caffè e una confessione. Ho deciso di vedere e di farmi illuminare. Perché io ci sono. E se i miei figli avranno bisogno, solo così mi potranno trovare.