viaggio

N.32 Giugno-Luglio 2022

RUBRICA

Quanta vita… c’è

Il viaggio (senza ritorno) di Orfeo tra i complotti del Rigoletto e l'amore cantato da Biagio Antonacci

Carl Andreas August Goos, Orpheus and Eurydice wikimedia.org

La storia non è più di grande interesse oggi o, almeno, chi prova a raccontarla dovrebbe inventarsi tanti e tali dettagli psicologici da farne una serie interminabile di vicende incrociate per attirare l’attenzione. È il mito di Orfeo, vicenda passata nei libri dei banchi di scuola senza che nessuno ci facesse capire i sottintesi e lasciata prigioniera del latino forbito o di aridi commentari.
Forse, però, si può semplificare il tutto e riuscire a capire con poco il senso di quel viaggio. Già, perché Orfeo è famoso per un viaggio agli inferi. Ma riassumiamo la storia, lasciandola per un momento nella sua apparente semplicità da favoletta per bambini.

Figlio della musa Calliope e di Apollo, Orfeo ricevette in dono dal padre una lira e ne divenne suonatore formidabile. Sposò Euridice, una bellissima ninfa, che tuttavia morì subito dopo le nozze, morsa da un serpente mentre cercava di fuggire alle insidie dell’apicoltore Aristeo. Orfeo, disperato, decise di scendere agli inferi per riprendersi l’amata. Con il suono della sua lira ammansì Caronte, il traghettatore delle anime dei defunti, incantò il terribile guardiano Cerbero e arrivò al cospetto degli dei. Avuto pietosamente il permesso di riavere la moglie, a condizione di non voltarsi durante il tragitto che li avrebbe condotti fuori dall’Ade, Orfeo condusse Euridice verso il mondo dei vivi ma, giunto sulla soglia, non resistette a voltarsi indietro, perdendo per sempre la sua sposa.

Ebbene, cosa nasconde questa storia che sembra appartenere al genere di “amore e morte” e invece tenta una spiegazione del senso della musica? Possiamo decodificarla e renderla trasparente oggi che tutto sembra razionalizzabile e senza segreti? Certamente, anche se cozzeremo ancora contro i limiti e i misteri dell’uomo.

Ogni viaggio in musica
è insieme esaltazione
e limite dell’uomo

Orfeo è semplicemente un artista (o, filosoficamente, l’Artista). Uomo “dal bel canto” o anche “soggetto a privazioni, orfano”; gli étimi non si eliminano a vicenda, se solo si pensa al fatto che l’artista ha bisogno di un campo proprio, separato dal mondo per poter realizzare qualcosa che è fuori dalle necessità del vivere: la cecità di Omero, la sordità di Beethoven, la nostalgia della patria di Chopin, le sofferenze del giovane Verdi, possono simbolicamente darcene un’idea.
Orfeo è figlio di Apollo (“lo splendente”) e di Calliope (“dalla bella voce”): ciò indica che l’agire dell’artista musicista è illuminante per l’umanità, è benefico per il genere umano e si avvale di una facoltà umana per eccellenza, la voce impostata al canto.

Orfeo che incanta oggi riusciamo perfino a spiegarlo con la scienza: la musica influisce sul battito cardiaco, sulla pressione sanguigna, sulla respirazione e sul livello di alcuni ormoni in particolare quello dello stress e sulle endorfine. Chi è stato a un concerto del suo beniamino rock ricorderà sicuramente l’adrenalina in corpo, mentre chi ama i quartetti di Beethoven conosce il profondo rilassamento mentale che si raggiunge nell’ascolto.
È stato provato che la musica di Mozart provoca benefici sulla memoria e sull’apprendimento, in quanto favorisce l’attenzione e migliora la produttività. Per non parlare della musica d’insieme, che porta al rispetto dell’altro, alla coralità di azione, all’unità di intenti e, in ultima analisi, a un’idea di società in armonia.
La storia di Orfeo che sposa Euridice (“dispensatrice di giustizia”) suggerisce l’idea che l’arte, quando è tale, non può che essere una condivisione di positività. Non solo la musica, creando il bello, fa convergere persone nella fruizione estetica e dunque accorda menti e anime ma, nel momento in cui dovesse anche trattare qualcosa di negativo (per dire, La dannazione di Faust di Berlioz piuttosto che molto heavy metal di oggi), porta quello stesso lato oscuro a essere controllato emotivamente, in qualche modo a esorcizzarlo mettendolo in luce e trasformandolo in qualcosa di esteticamente apprezzabile.

La ninfa che muore per il morso di un serpente (simbolo di conoscenza e saggezza) anticamente voleva intendere che la conoscenza porta alla rovina, inganna gli uomini facendo credere di essere delle divinità, mentre in realtà non lo sono. E qui ci sarebbero libri da scrivere, sul fatto che l’uomo di oggi si crede Dio e padrone del proprio destino…
Aristeo simboleggia la bruta carnalità che rovina la propensione al bene e alla purezza. Orfeo, invece, scende agli inferi, armato della sua lira e capace di incantare addirittura le anime dei morti (in antico si credeva che nell’Ade vi fossero le anime di tutti i morti, reprobi e giusti). Cosa può voler dire questo, se non che l’arte musicale può prendere su di sé tutto l’umano, può scoprire ed esprimere tutti i lati della psiche umana, ispirandosi a tutto ciò che sta intorno e dentro di noi?
Quanta vita c’è in un Rigoletto, dove si covano rabbie, si tramano libertinaggi, si complottano delitti, si progettano atroci scherzi e vendette, ma “quanta vita c’è” anche in Iris di Biagio Antonacci, per esempio, canzone che parla d’amore come migliaia di altre oggi, quando si sa che l’Amore è una metafora del meglio delle propensioni dell’Essere di ognuno, anche se lo si nasconde sotto parole di tutti i giorni. I pericoli che Orfeo supera sono segno della forza straordinaria della musica; è il potere della bellezza, l’unica che può fare intuire la luce divina elevando dalla materialità.

È a questo punto che Orfeo perde Euridice disobbedendo agli dei, perché la natura umana è incorreggibile, non c’è nulla da fare se l’uomo cerca sempre di intestarsi imprese. Addirittura, Orfeo vuole essere sicuro di avere dietro Euridice. Ancora, emerge qui l’aspetto razionale dell’uomo che diffida, che sospetta e rifiuta tutto ciò che non è inquadrabile in una logica, alla ricerca di motivazioni e nessi causali che abbiano un senso. Ma che gli sfuggono di mano, inevitabilmente.
Il viaggio di Orfeo racconta dei poteri della musica, di qualcosa che proviene dalle profondità dell’essere umano e che non può conoscere falsità perché la bellezza non può contenerne.
E così siamo ripiombati nel mistero: ogni viaggio in musica o in arte è insieme esaltazione e limite dell’uomo; esaltazione perché è intuizione pura che va oltre il tempo dato all’artista, limite perché come ogni cosa è pur sempre destinata a finire: “Ars longa, vita brevis”, si diceva un tempo.
Perché l’uomo abbia qualcosa di divino, poi, nessun mito lo può spiegare.