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N.20 Aprile 2021

PENSIERO

La rivoluzione digitale non ci toglierà il… tocco

Dialogo con Giuliano Zanchi teologo, artista e scrittore sull'età della de-materializzazione: «Ma sarà sempre il corpo la nostra porta sulla realtà»

Nella foto l’opera "Everydays: the first 5000 days" dell’artista Beeple, venduta l’11 marzo 2021 al prezzo di 27.729,516 ETH, pari a quasi 70 milioni di dollari, dalla storica casa d’aste Christie’s L'opera è un file costituito dal collage di cinquemila immagini riconoscibili nella risoluzione originale di 21069×21069 pixel ed è la prima opera d’arte puramente digitale basata su NFT (non-fungible token) venduta da una grande casa d’aste *

La rivoluzione digitale è ancora incompiuta, ma già oggi è possibile “toccare con mano” molti degli enormi cambiamenti che essa ha innescato. Presto tutto ciò che potrà essere digitalizzato perderà la sua fisicità e diventerà un pezzo di codice conservato da qualche parte in cloud e protetto da sempre più raffinati e complessi sistemi di criptaggio e di accesso. Siamo dentro un enorme cambiamento, che stiamo vivendo per lo più con leggerezza e addirittura senza troppa meraviglia.
Eppure, oltre agli evidenti vantaggi, molti aspetti della digitalizzazione hanno un impatto ben più profondo e importante di quanto non si riesca ad immaginare. Il supporto fisico ha certamente i suoi limiti e le sue problematiche, ma non possiamo non chiederci come sarebbe il mondo e la società senza il denaro contante, senza più libri di carta, senza fotografie stampate e incorniciate, senza quadri dipinti ad olio o acqua, senza statue di marmo e senza molto altro ancora.
Il fenomeno della dematerializzazione riguarda molti diversi ambiti e ci accompagna per mano al più clamoroso dei bivi possibili per la nostra civiltà: la completa virtualizzazione della nostra esistenza, fortunatamente ancora lontanissima dal punto di vista tecnologico ma di assoluta attualità in un dibattito filosofico che oggi sembra impantanato su temi minori, sebbene spesso contigui e complementari.

Ne parliamo con don Giuliano Zanchi, teologo, direttore generale del Museo diocesano “Adriano Bernareggi” di Bergamo e autore di numerosi testi che spaziano tra l’estetica e la teologia.

La Rivoluzione Digitale va ben oltre i suoi aspetti tecnologici e impatta in modo diretto sulla nostra civiltà e sull’essenza stessa dell’uomo: come vede questi enormi cambiamenti?
«Quello di emanciparsi dalla materia e di trascendere il corpo è un sogno molto antico. Nei primi quattro secoli della cosiddetta era cristiana, il dibattito strisciante della cultura globale di allora era quello dominato dalla pressione delle tentazioni gnostiche. La gnosi era un distillato della filosofia religiosa greca, di prevalente matrice platonica, che immaginava come veramente reale solo quello che appariva accessibile alla conoscenza di natura intellettiva. Il vertice delle facoltà umane si concentrava nel theorein, una forma di accesso alle idee che era contemporaneamente un sapere e un vedere, una conoscenza che era anche visione, una contemplazione. Questa facoltà era tanto più effettiva quanto più l’essere umano che la perseguiva si metteva nelle condizioni di difendersi dalla pesantezza del corpo, dalle interferenze dei sensi e dal disturbo costante delle passioni. Lasciare la forza di gravità della materia per elevarsi all’attrattiva dello spirituale. L’apparizione di una religione del corpo come il cristianesimo, in tale contesto, è arrivata come una bizzarra intrusione nella pacifica ovvietà del buon senso. Il principio dell’incarnazione, che improvvisamente restituiva dignità al sensibile, al corporeo, in qualche modo persino al materiale, chiamando la realtà creazione e associando in Cristo trascendenza e storia, era arrivato come qualcosa di inconcepibile. La resistenza del sogno gnostico è stata talmente forte da generare molte versioni del cristianesimo improntate al suo criterio di fondo. Molte delle eresie cristiane dei primi secoli erano animate dal bisogno di riassorbire il tratto scandaloso dell’incarnazione per riportarlo dentro i normali cliché di una visione sostanzialmente dualista».

Corpo e spirito…
«E la rivoluzione digitale, che qualcuno chiama la quarta rivoluzione, ha certamente in sé qualcosa di quell’antico sogno spiritualizzante. Dalla sua parte ha i formidabili poteri della tecnologia che alla dimensione della conoscenza ha conferito un’ampiezza di orizzonti senza precedenti. Non senza costi, naturalmente. Per esempio, quello di identificare la conoscenza con l’accumulo delle informazioni e la coscienza come una centralina di disbrigo delle funzioni operative. Il sapere come informazione, la coscienza come cervello, a sua volta assimilato al processo elaborativo del calcolatore elettronico (come una volta si chiamava il computer).

Per l’essere umano, niente è mai
semplicemente qualcosa,
è sempre anche altro.
Segno, traccia, messaggio, movente: senso

La tecnologia digitale è in grado di generare una super mente iperconnessa in cui una somma di informazioni sempre più tendenti all’infinito interagiscono per meri scambi elettromagnetici. Il sogno di riversare la stessa coscienza dell’individuo, concepita come una specie di memory card, in questo grande mare di informazioni interattive è per ora uno standard della fantascienza, ma anche un’immaginazione stabile dello sviluppo tecnologico: la visione di un futuro in cui la coscienza, in quanto dotazione digitale dell’identità, può consistere indipendentemente dal proprio supporto. Netflix ha prodotto una serie televisiva dal titolo Altered Carbon in cui la coscienza digitale degli individui può essere sintetizzata in una “pila”, potendo quindi servirsi di qualsiasi corpo come di un veicolo intercambiabile. Già queste immaginazioni fanno effetto su di noi rendendo pensabile quella eventualità e assegnando una concretezza tecnica alla prospettiva di una immortalità (del software rispetto all’hardware)».

Concentriamoci sugli aspetti legati alla dematerializzazione. Cosa significa per l’uomo perdere il contatto fisico con i documenti, il denaro, in prospettiva l’arte…
«Significa compromettere la natura simbolica del nostro rapporto con la realtà. Il nostro rapporto alla realtà non è mai semplicemente quello della constatazione quantitativa degli elementi e della catalogazione cognitiva dei fenomeni. È sempre inevitabilmente una decifrazione qualitativa del senso con cui una data realtà interpella la libertà del singolo individuo.
Per l’essere umano, niente è mai semplicemente qualcosa, è sempre anche altro. Segno, traccia, messaggio, movente: senso. Questo è il modo di conoscere dell’uomo. Rispetto a questo modo umano di conoscere, che è un istituire relazione con la realtà e non solo un raccogliere informazione, il corpo è un organo mediatore imprescindibile. I sensi sono tutt’altro che facoltà cieche e distorcenti, quanto piuttosto veicoli di perfetta decifrazione delle qualità in gioco nella realtà. La dichiarazione d’amore più esplicita e diretta può essere smascherata dagli indizi sensibili che un bacio imprime nella carne dimostrando esattamente il contrario: comprendiamo subito l’implicito di un bacio non sincero, perché ne percepiamo perfettamente la molestia.. Senza questo non esiste rapporto umano con la realtà, quindi vera conoscenza, cioè percezione della verità. La virtualizzazione di molte operazioni della vita, nella misura della loro importanza, erode le possibilità di un nostro rapporto sensato con essa. Non per niente succede che più nella nostra organizzazione civile cresce lo spazio delle astrazioni procedurali (una specie di burocratizzazione della vita), più nel corpo sociale affiorano esperienze estreme di affermazione del gesto immediato, fisico, istintuale, diretto, sintomatico. È nell’era dei computer che è riesplosa la pratica del tatuaggio, per esempio».

Se una parte di ciò che conosciamo sarà presto del tutto dematerializzata, la pervasività della Rete sarà invece una realtà ben tangibile e, nei prossimi anni, oggetti fisici e virtuali, “intelligenti” e connessi, risponderanno al comando della nostra voce e interagiranno tra loro per far fronte alle nostre esigenze ed esaudire i nostri desideri: che idea di uomo ne deriverà?
«Sono evidenti i rischi della consegna crescente di funzioni vitali all’intelligenza artificiale. Ma sono certo anche di una strenua resistenza del fattore umano e corporeo nel fluire di questi processi.
La questione è complessa anche dal punto di vista della cosiddetta intelligenza artificiale. È così sicuro che essa possa replicare e incorporare quella tipica della coscienza umana?
La grande fantascienza ha riflettuto molto su questo tema. Ho sempre trovato istruttivo che in “2001 Odissea nello spazio” l’elaboratore di ultima generazione HAL 9000 non appena arrivi a toccare veramente il livello delle facoltà umane del pensiero finisca per sviluppare una coscienza tipicamente umana che consiste nel raddoppio simbolico del desiderio. Come tutti sanno il computer sviluppa il sentimento della paura di essere rimosso e il fantasma dell’altro come minaccia. HAL 9000 diventa subito Caino. Entra nel conflitto etico. La coscienza è questo. Il film di Kubrick sembra suggerire, non so se volontariamente o meno, che l’intelligenza ha sempre la forma della coscienza e se anche una macchina finisse per possederne una, si umanizzerebbe, sarebbe una macchina umana, che si percepisce corporalmente».

Oggi non servono più né carta né strumenti per comporre ed eseguire una sinfonia: che ne sarà (cosa ne è già) della “filiera” di uomini, competenze, interazioni e addirittura errori, interpretazioni, rivisitazioni… che danno vita all’opera d’arte?
«Credo che nasceranno modi di fruizione di quei prodotti dematerializzati determinati a reintrodurre il protagonismo dell’oggetto, del corpo e della relazione. Magari mi sbaglio, ma finché avremo un corpo e non saremo ancora dei prodotti degli dèi della biomeccanica, la vera interfaccia con qualsiasi tipo di realtà sarà pur sempre il nostro corpo: gli occhi, le mani, le orecchie. Avremo comunque bisogno di supporti. Si tratterà certamente di evoluzioni nel comportamento, ma non di estinzione di esperienze. Molti passaggi drastici li abbiamo avuti anche in passato. Nel medioevo la lettura era concepita come un atto esclusivamente vocale. Si leggeva ad alta voce, anche leggendo da soli. Dopo l’invenzione della stampa, la lettura è diventata qualcosa di prevalentemente silenzioso e interiore. La musica è certamente entrata nell’era del suo stoccaggio nell’immateriale. Ma questa era è la stessa che ha visto nascere i grandi concerti oceanici, raduni di corpi che hanno le chiare caratteristiche di indispensabili riti di massa. E se anche per ipotesi, davvero la musica fosse assorbita in un limbo di smaterializzazione digitale, il suo spazio fisico sarebbe subito rimpiazzato da qualche imprevedibile invenzione azionistica. Pensiamo al fatto che proprio in questo tempo di tecnicizzazione della musica è nato il rap con tutti i suoi derivati, che è la rivincita del gesto e del verbo che vogliono stare al loro posto nel cuore della città».

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L’IMMAGINE

Sono opere d’arte digitali pubblicate su una blockchain sotto forma di Token Non Fungibili (NFT), “gettoni digitali” utilizzati per dimostrare la proprietà di un’opera digitale e per consentire il suo trasferimento o la vendita in modo certificabile e sicuro.
Un Non-Fungible Token è un gettone unico, che non può essere rimpiazzato da nessun altro. Per capirci meglio, una banconota in corso di validità può essere definita come fungibile, in quanto può essere scambiata con altre di pari valore; se su una banconota da 5 Euro c’è l’autografo di un personaggio famoso, però, quella banconota acquisisce un valore molto più alto e non è più intercambiabile con una di pari valore nominale.
Acquistare, ovviamente in criptovaluta, una di queste opere su uno dei siti specializzati, significa garantirsi dunque la proprietà di un gettone che certifica la proprietà esclusiva e certificata dell’opera stessa. Un’opera che, al pari di altri oggetti virtuali collezionabili (meme, tweet, gif, filmati…), può essere visibile online da chiunque in modo del tutto gratuito, ma appartenere soltanto a chi ne detiene il prezioso token.
Secondo il portale cryptoart.io il mercato di queste opere è cresciuto negli ultimi mesi in modo vertiginoso, passando dagli 1,5 milioni di dollari di novembre 2020 ai 120 milioni di dollari di marzo 2021 ed è in costante crescita, anche se il dubbio che si tratti soltanto dell’ennesima bolla speculativa pervade molti.
(c.g.)